ISLAM - tutto quello che c'è da sapere


ECCO PERCHE' RISCHIAMO L'ISLAMIZZAZIONE DELL'ITALIA, CULLA DEL CRISTIANESIMO

Bersani vuol dare la cittadinanza a tutti gli stranieri, i tribunali già passano loro l'assegno INPS, ma agli italiani chi ci pensa? 

di Caelsius Mars

"Se farò un governo io, la sua prima norma riguarderà il diritto dei figli di immigrati nati qui e che studiano qui in Italia a chiamarsi finalmente italiani".

Capito? La prima, mica la seconda o la terza cosa. Intervistato dal Corriere della Sera, il segretario del PD Pierluigi Bersani ribadisce una promessa già fatta in altre occasioni. Aggiungendo che le prossime elezioni "non saranno solo una scelta politica ed economica. In qualche misura saranno anche una scelta di civiltà". Beh, questo l'avevamo capito guardandoci intorno ad osservare quello che succede e le proposte scellerate che la sinistra fa rimbalzare sui media nazionali. In effetti, tra Sel, IdV e PD si è scatenata una corsa furibonda al voto extracomunitario. Del resto, con un Paese spaccato a metà, il voto dei naturalizzati fa gola perché può fare la differenza. Tanto a loro non è che gliene freghi qualcosa dell'Italia e degli italiani: l'importante è arrivare al potere e tutto è lecito e tutto fa brodo per arrivare a Palazzo Chigi, pure l'islamizzazione della culla del cristianesimo e la mortificazione degli ideali e delle aspirazioni dei veri italiani. Bersani parla della sua "riforma", cioè della nostra decristianizzazione, rispondendo ad una domanda su Beppe Grillo che aveva definito "senza senso" il dibattito sulla cittadinanza per le seconde generazioni, oltre ad avere atteggiamenti che Bersani definisce ambigui, su altri temi legati all'immigrazione.

Il segretario del PD accusa Grillo di "dar voce ad insorgenze populiste", invece la sua cos'è? Gli stranieri nati in Italia, o anche arrivati nel nostro Paese, possono conseguire la cittadinanza in soli 10 anni secondo l'iter previsto dalla legge che prevede, tra i requisiti necessari, quello di risiedere in permanenza e continuità in Italia. Questa norma è essenziale per evitare che il soggiorno degli extracomunitari in Italia sia solo un pretesto per ottenere la cittadinanza, il relativo passaporto comunitario e tutte le provvidenze che derivano dalla nazionalità italiana, dal lavoro all'assistenza sanitaria gratuita. Si vuole evitare che i cittadini naturalizzati se ne vadano a lavorare col passaporto italiano in America o in Germania, salvo passare da noi quando gli fa comodo, a ritirare assegni di assistenza, a partecipare all'assegnazione di case popolari che poi si rivendono togliendole alle famiglie italiane, per sottoporsi a terapie o interventi chirurgici a nostre spese, godendo di priorità di trattamento dal risultare disoccupati in Italia. Senza dire dell'aspetto legato alla micro-criminalità ed alla criminalità organizzata, per cui ci dovremo tenere tutti i delinquenti naturalizzati, ladri, assassini, spacciatori e stupratori senza neanche più la possibilità di rispedirli da dove sono arrivati. Oltre a questa, il PD punta a compiere un'altra prodezza, cioè la cancellazione del reato di immigrazione clandestina con "una iniziativa volta a realizzare una presunta scelta di "civiltà e di democrazia".

Lo ha detto il responsabile Giustizia del Pd, Andrea Orlando, nel corso di una conferenza stampa alla Camera per presentare la "Festa nazionale della Giustizia", in programma ad Abano Terme dal 20 al 30 luglio. "Il reato di clandestinità", ha spiegato Orlando "è stato sostanzialmente svuotato dalle pronunce della Corte europea, ma esiste e continua a campeggiare come elemento di abominio nell'ordinamento italiano. E' un residuo archeologico di una stagione, quella della maggioranza Pdl-Lega, che fortunatamente si è conclusa, tuttavia ha ancora un forte valore simbolico". "L'abolizione e' un fatto di civiltà", ha rincarato la dose Marco Pacciotti, responsabile forum Immigrazione del Pd. "Bisogna pensare a chi sta in Italia anche da 10-15 anni, che in questa situazione di crisi perde il lavoro e dopo 6 mesi di fatto diventa clandestino", ha ricordato.

Chissà perché i Pdiini si agitano tanto per gli stranieri che stanno in "Italia da 10-15 anni", e non riservano alcuna attenzione agli italiani che invece qui ci sono nati e ci vivono da sempre, e chissà in base a quale diritto naturale, o "scelta di civiltà", si devono negare posti di lavoro agli italiani per darli agli stranieri che altrimenti diventano clandestini. E chi se ne frega, chi ce li ha chiamati qui? Noi no. Proviamo a mettere insieme questi fatti: più nessuno sarà un clandestino, nemmeno quelli appena sbarcati dal gommone: infatti se li respingi incorri nelle ire della Ue per cui li devi far sbarcare; se uno è libero di sbarcare non è un clandestino e non gli puoi negare il permesso di soggiorno, altrimenti sarebbe un arbitrio; ma se uno è in possesso del regolare permesso di soggiorno come gli si può negare uno straccio di occupazione? Gli danno il posto. Ma se lavora, la sera dovrà riposare, unirsi alla propria famiglia attorno al focolare domestico, per cui gli va data la casa.

Ma quando ha la casa, il lavoro e un regolare permesso, gli puoi negare la cittadinanza? No. Ma se è cittadino italiano ha diritto a tutto, alla scuola per i figli, nel frattempo naturalizzati italiani, all'assistenza sanitaria, alla pensione, alla Cig, tutto. Però c'è un problema: dove vanno a pregare se sono musulmani? Bene, facciamo come in Olanda, dove le chiese cristiane sono in corso di sconsacrazione per poterle trasformare in moschee, come fecero gli Ottomani ad Istanbul con la basilica di Santa Sofia.

Poi va considerato che attualmente gli stranieri in Italia si aggirano sui 6 milioni, per metà clandestini e per metà regolari o naturalizzati. Tranne quelli dell'est europeo, in larga minoranza, sono tutti di fede islamica. Tra 20 anni, con i decreti Bersani per l'immigrazione, l'accentuarsi del flusso di stranieri la fuga degli italiani verso altri lidi, la metà degli abitanti in questo Paese saranno musulmani, tra 25 saremo in minoranza. Ora gettate uno sguardo al trattamento cui sono sottoposte le minoranze nei paesi islamici, tipo i Curdi o gli abitanti di fede cristiana in Indonesia, Sudan e Nigeria dove ne ammazzano a centinaia ogni giorno e fatevi un'idea di quello che ci aspetta in questo Paese, non solo a noi, ma poi ai nostri figli ed ai nostri nipoti. Questa è la scelta di civiltà di Bersani, Di Pietro, Vendola e dei loro complici. Se vi sta bene, compratevi il kefiah bianco o rosso, a seconda se vi piace essere sunniti o sciiti, o il burqa se siete donne, e votateli.

Nel frattempo, le toghe rosse si sono già adeguate anticipando i tempi per quanto auspicato da Bersani. Infatti, secondo il tribunale di Milano già adesso, senza aspettare che Vendola o Bersani diventino premier, gli extracomunitari titolari di permessi da "lungo soggiornanti" vanno equiparati ai cittadini italiani o comunitari e che le restrizioni imposte dal Comune e dall'Inps in tema di sussidi sono discriminatorie. In altri termini, questi cittadini extracomunitari hanno diritto all'assegno INPS per nuclei familiari numerosi rilasciato dai Comuni alla pari dei cittadini italiani e comunitari cui sono equiparati.

Lo ha ribadito il giudice del lavoro del Tribunale di Milano, accogliendo lo scorso 16 luglio i ricorsi anti-discriminazione presentati contro il Comune e contro l'Inps dalle associazioni Asgi e Avvocati per Niente Onlus e da due immigrati ai quali era stato negato il contributo. Il giudice ha affermato "la titolarità dei cittadini di Paesi terzi lungo soggiornanti in Italia del diritto a beneficiare dell'assegno INPS in virtù della clausola di parità di trattamento con i cittadini nazionali in materia di prestazioni sociali e di assistenza sociale contenuta nell'art. 11 c. 1 e 4 della direttiva europea n. 2003/109/Ce" commenta Walter Citti, consulente legale del servizio antidiscriminazioni dell'Asgi. E' una bufala sesquipedale. Infatti, la direttiva prevede la possibilità di deroga al principio di parità di trattamento per le prestazioni sociali di natura non essenziale. Cioè, l'Europa ha emesso una direttiva che prevede la possibilità di essere applicata solo alle prestazioni sociali essenziali, invece sarà applicata sempre ed a tutti, pure a quelli che puliscono i vetri al semaforo.

A questo punto, nei panni di Bersani noi ci preoccuperemmo: con gli immigrati rischia di arrivare tardi, dopo le toghe rosse.

Fonte: Qelsi, 20/07/2012



LE TERRE ISLAMICHE GRONDANO DI SANGUE CRISTIANO, MA IL MONDO SE NE FREGA

Obama va in Indonesia a esaltare questo Paese come esempio di Islam buono: figuriamoci com’è quello cattivo

di Antonio Socci

Le terre islamiche grondano di sangue cristiano. Ma il mondo se ne frega. Altri sei cristiani ammazzati in Iraq, con 33 feriti, dopo la carneficina del 31 ottobre nella chiesa di Bagdad, dove le vittime sono state cinquanta.
Ma non solo. Domenica sera in Pakistan una madre di due figli, Asia Bibi, operaia agricola di 37 anni, è stata condannata a morte da un tribunale del Punjab, semplicemente perché cristiana: la famigerata “legge sulla blasfemia” infatti in quel Paese manda a morte chiunque sia accusato da musulmani di aver offeso Maometto. 
Secondo l’agenzia Asianews, tutto risale a “una discussione molto animata avvenuta nel giugno 2009 a Ittanwali. Alcune delle donne che lavoravano con Asia Bibi cercavano di convincerla a rinunciare al cristianesimo e a convertirsi all’islam.
Durante la discussione, Bibi ha risposto parlando di come Gesù sia morto sulla croce per i peccati dell’umanità, e ha chiesto alle altre donne che cosa avesse fatto Maometto per loro.
Le musulmane si sono offese, e dopo aver picchiato Bibi l’hanno chiusa in una stanza. Secondo quanto raccolto da ‘Release International’ una piccola folla si è radunata e ha cominciato a insultare lei e i bambini.
L’organizzazione caritativa, che sostiene i cristiani perseguitati, ha detto che su pressione dei leader musulmani locali è stata sporta denuncia per blasfemia contro la donna”.
La condanna a morte per “blasfemia” era purtroppo già stata comminata a dei cristiani maschi. Per una donna invece è la prima volta.
Tuttavia nessuno si solleverà per salvare una donna cristiana. I cristiani sono carne da macello. Come ai tempi di san Paolo sono “la spazzatura del mondo”.
Il mondo intero si è indignato e si è sollevato per salvare Sakineh, la donna condannata a morte in Iran per presunta complicità nell’omicidio del marito e per adulterio.
Bernard Henri Lévy ha (meritoriamente) scatenato la protesta dell’intero Occidente: si sono uniti a lui giornali, tv, governi, ministri, Unione europea, sindaci, intellettuali, montagne di premi Nobel, di Saviani e di Carlebruni. Perfino noi. E poi migliaia di firme, di foto esposte.
Bene. Niente di simile sarà fatto per la povera Bibi, che ha la sola colpa di essere cristiana. Il mondo non fa una piega quando si tratta di cristiani.
Anche altre recenti notizie di stupri e uccisioni di ragazze cristiane in Pakistan sono scivolate allegramente via dai mass media occidentali. Senza drammi.
Ma l’esempio supremo dell’indifferenza dell’Occidente per i massacri dei cristiani lo ha dato ieri il presidente americano Obama.
L’ineffabile Obama ha appena visitato l’Indonesia dove aveva vissuto qualche anno da bambino. E se n’è uscito con queste mirabolanti dichiarazioni riportate dai media del mondo intero: “L’Indonesia è un modello”.
Ecco qualche perla di Obama: “Una figura paterna mi insegnò qui da bambino che l’Islam è tolleranza, non l’ho dimenticato”. Poi il presidente americano “esalta l’Indonesia ‘laica, pluralista, tollerante, la più grande democrazia in una nazione a maggioranza islamica’ ”

. Ed ecco un’altra perla: “Lo spirito della tolleranza, sancito nella vostra Costituzione, è uno dei caratteri fondanti e affascinanti di questa nazione”.
Ma davvero? L’Indonesia, con i suoi 212 milioni di abitanti, è il paese musulmano più popoloso del mondo ed è una potenza economica. Il 75 per cento della popolazione è musulmano, i cristiani sono il 13,1 per cento, cioè 27 milioni e 800 mila persone.
E’ vero che la Costituzione, sulla carta, riconosce il pluralismo religioso e una buona percentuale di musulmani effettivamente è favorevole a una convivenza pacifica con i cristiani.
Ma concretamente cosa è accaduto? Sia sotto il regime di Suharto che sotto il successivo i cristiani hanno subito massacri e persecuzioni inenarrabili.
A Timor Est – un’isola abitata da cristiani – il regime indonesiano, che la occupò contro la deliberazione dell’Onu, ha perpetrato un vero e proprio genocidio.
Secondo monsignor Carlos Belo, premio Nobel per la pace, sono state 200 mila le vittime e 250 mila i profughi su una popolazione totale di 800 mila abitanti.
Dal 1995 al 2000 sono state distrutte 150 chiese. I massacri sono continuati anche dopo che la comunità internazionale, nel 1999, ha imposto l’indipendenza di Timor Est.
In quello stesso anno stragi di cristiani sono stati perpetrate anche in un’altra zona cristiana dell’Indonesia: l’arcipelago delle Molucche.
In tre anni di scontri si sono avute circa 13.500 vittime e 500 mila profughi. Più di 6 mila cristiani delle Molucche sono stati costretti a convertirsi all’Islam (con il solito corredo di stupri e infibulazioni forzate). Altri 93 cristiani dell’isola di Keswi sono morti perché si rifiutavano di convertirsi.
Le cronache parlano di episodi orrendi come quello in cui sei bambini cristiani sono stati uccisi ad Ambon, in un campo di catechismo: “inseguiti, sventrati, evirati e decapitati dagli islamisti che fendevano le bibbie con la spada”.
In altri casi gli attacchi degli islamisti avevano “l’ausilio di truppe militari regolari… come nell’isola di Haruku il 23 gennaio 2000, quando sono rimasti uccisi 18 cristiani” (dal Rapporto 2001 sulla libertà religiosa nel mondo).
A Natale del 2000 i fondamentalisti hanno fatto una serie di attentati colpendo la cattedrale di Giakarta e altre dieci città, con 17 morti e circa 100 feriti.
Nel 2001 l’agenzia Fides dava notizia di nuovi attacchi di guerriglieri islamici contro i cristiani nell’isola di Sulawesi e anche a Makassar con scene di caccia all’uomo. Poi altre chiese bruciate e molte vittime.
Un gruppo di cristiani indonesiani firmarono un appello drammatico: “Preghiamo per i cristiani di Indonesia. Preghiamo per la loro fede durante gli attacchi e per quanti subiscono la tentazione di nascondere la loro identità di fedeli a Cristo. Preghiamo per il mondo perché prenda provvedimenti contro la persecuzione, dovunque essa si verifichi”.
Invece il mondo se ne frega delle stragi di cristiani e Obama va in Indonesia a esaltare questo Paese come esempio di Islam buono. Figuriamoci com’è quello cattivo.
Nel paese indicato da Obama come modello di tolleranza, il 19 ottobre 2005, tre studentesse cristiane, Yusriani di 15 anni, Theresia di 16 anni e Alvita di 19 anni, furono assalite mentre si recavano a scuola (in un liceo cattolico di Poso) da un gruppo di fondamentalisti islamici.
I fanatici le immobilizzarono e poi, con un machete, le sgozzarono. Quindi tagliarono loro la testa a causa della loro fede in Gesù. La testa di una di loro è stata poi lasciata davanti alla chiesa cristiana di Kasiguncu.
Più di recente si è avuto il triste episodio della condanna a morte di tre contadini cattolici, Fabianus Tibo, Domingus da Silva e Marinus Riwu, colpevoli di essersi difesi nel 2000 dagli attacchi degli islamisti a Poso.
Monsignor Joseph Suwatan, vescovo di Manado, andò a confortarli in prigione a Palu in veste di “inviato speciale del Vaticano”, perché – spiegò – Benedetto XVI vuole condividere il dolore ed esprimere la sua solidarietà per l’ingiustizia legale subita dai tre cattolici durante il loro processo.
Un’ultima notizia dal “paese modello” di Obama. Nel settembre 2009 il parlamento di Aceh ha approvato all’unanimità l’introduzione della legge islamica. Ecco il titolo del Corriere della sera del 15 settembre: “Sharia in Indonesia, lapidazione per gli adulteri”.
Con buona pace delle Sakineh che ne faranno le spese. Di cui in realtà non frega niente a nessuno in Occidente. In particolare però non frega niente della tragedia dei cristiani, veri agnelli sacrificali.

Non frega niente all’Onu, alla Ue, ai premi Nobel, ai giornali progressisti, alle carlebruni e ai saviani (che non hanno lanciato appelli né fatto monologhi televisivi su questo genocidio censurato). E tanto meno frega a Obama.
Fonte: Libero, 11 novembre 2010
Pubblicato su BASTABUGIE n.167


Il Corano e La Bibbia Falso pacifismo musulmano

L'obiettivo dei Mussulmani è quello di conquistare il mondo con i ventri delle loro donne.

I nascituri acquisiscono la nazionalità dei paesi occidentali, e appena diventeranno la maggioranza, scenderanno in politica e comanderanno loro, tentando di distruggere definitivamente il cristianesimo. Non è affatto vero che i musulmani sono pacifici, la storia ce lo insegna e il video che vedere qui sotto lo fa capire molto chiaramente. Dal libro Guida politicamente scorretta all'Islam e alla Crociate ed. Lindau. Non servono chissà quali studi per rendersi conto che l'esistenza in un paese islamico è diversa dalla vita che si conduce negli Stati Uniti o in Gran Bretagna. La rottura incomincia con Maometto. Oggi che in così tanti invocano le parole e i gesti del Profeta per giustificare atti di violenza e spargimenti di sangue, è dunque essenziale conoscere più da vicino questa personalità determinante. In Occidente, la vita di Maometto è in generale molto meno nota rispetto a quella delle altre grandi figure religiose. La maggior parte della gente, ad esempio, sa che Mosè ricevette i Dieci Comandamenti sul monte Sinai, che Gesù morì crocifisso per poi risuscitare dopo tre giorni e forse persino che Buddha raggiunse l'illuminazione mentre sedeva sotto un albero. Ma di Maometto si sa molto meno, e anche il poco che si conosce è oggetto di discussione. Attingeremo le nostre informazioni, di conseguenza, unicamente da testi islamici. Primo dato fondamentale: Muhammad 'Ibn 'Abdallah 'Ibn 'Abd al-Muttalib (570-632), il Profeta dell'Islam, fu un uomo di guerra. Esortò i suoi seguaci a combattere per la nuova religione da lui fondata e disse che Allah, il loro dio, aveva ordinato ai fedeli di imbracciare le armi. E lui stesso, anziché limitarsi a predicare la guerra, combatté in numerose battaglie. Si tratta di fatti cruciali per chiunque voglia davvero capire cosa abbia scatenato le crociate, secoli fa, o cosa abbia condotto, oggi, a una mobilitazione su scala globale dei combattenti del jihad. Nel corso di questi scontri Maometto articolò numerosi principi, che da allora i musulmani non hanno mai smesso di seguire. Ripercorrerli può gettare nuova luce sugli articoli che ogni giorno campeggiano sulle prime pagine dei quotidiani - una luce che purtroppo a tanti esperti continua a sfuggire.


Maometto conobbe l'esperienza della guerra prima ancora di assumere il ruolo di Profeta. Prese infatti parte a due scontri locali fra la sua tribù, gli Hurays, e i vicini Banu Hawazin, loro rivali. Ma la doppia posizione di Profeta-combattente risale a un periodo successivo. In seguito alla rivelazione, ricevuta nel 610 dall'arcangelo Gabriele, in un primo tempo Maometto si limitò a predicare il culto esclusivo di Allah e il proprio ruolo di Profeta. Ma alla Mecca l'accoglienza dei suoi fratelli Hurays fu alquanto deludente: essi reagirono in maniera sprezzante alla sua chiamata profetica e rifiutarono di abbandonare gli antichi idoli. Al che iniziarono a crescere in lui la frustrazione e la collera. E quando persino suo zio, 'Abu Lahab, si rifiutò di ascoltarlo, il Profeta imprecò con violenza contro di lui e sua moglie, rivolgendo loro parole che il Corano, il libro sacro dell'Islam, non manca di riportare: «Periscano le mani di 'Abu Lahab, e perisca anche lui. Le sue ricchezze e i suoi figli non gli gioveranno. Sarà bruciato nel Fuoco ardente, assieme a sua moglie, la portatrice di legna, che avrà al collo una corda di fibre di palma » (Corano CXI, 1-5). Dopodiché, dalle parole, Maometto passò ai fatti, che si rivelarono altrettanto violenti. Nel 622 il Profeta lasciò la nativa Mecca per l'attigua città di Medina, dove un gruppo di guerrieri tribali lo aveva accettato come Profeta giurandogli fedeltà. E fu a questo punto che i nuovi musulmani, spesso guidati da Maometto in persona, iniziarono ad assaltare le carovane degli Hurays: razzie che contrassegnarono l'origine del neonato movimento musulmano, contribuendo alla formazione della teologia islamica. Tristemente noto, tra gli altri, è l'episodio di Nakhla, un insediamento non lontano dalla Mecca in cui una banda di musulmani assalì una carovana Hurays. I predoni attaccarono il convoglio nel mese sacro di Rajab, durante il quale combattere era proibito. Tornati con il bottino all'accampamento musulmano, Maometto non volle partecipare alla divisione della refurtiva né avere nulla a che fare con l'accaduto, limitandosi a dire: «Io non vi ho ordinato di combattere durante il mese sacro» Ma poi da Allah giunse una nuova rivelazione che spiegò come la resistenza degli Hurays a Maometto costituisse una trasgressione peggiore dell'avere violato il mese sacro. In altre parole, l'incursione era giustificata. «Ti chiedono del combattimento nel mese sacro. Di': "Combattere in questo tempo è un grande peccato, ma più grave è frapporre ostacoli sul sentiero di Allah e distogliere da Lui e dalla Santa Moschea. Ma, di fronte ad Allah, peggio ancora scacciarne gli abitanti. L'oppressione è peggiore dell'omicidio."» (Corano II, 217) Qualsiasi peccato avessero commesso i predoni di Nakhla, esso passava in secondo piano rispetto al rifiuto che gli Hurays opponevano a Maometto. Proprio come oggi: stragi di civili Quando Osama bin Laden provocò la morte di migliaia di cittadini inermi nell'attentato al World Trade Center dell'11 settembre 2001, e in seguito i suoi correligionari irakeni fecero prigionieri e decapitarono numerosi ostaggi innocenti, i portavoce dei musulmani americani asserirono senza troppa convinzione che l'Islam proibiva di accanirsi sui civili. Un'affermazione discutibile, dal momento che alcune autorità giudiziarie islamiche considerano l'uccisione di cittadini inermi lecita qualora a questi ultimi sia imputabile una qualche forma di collaborazione con i nemici dell'Islam2. Un'idea la cui diretta conseguenza sarebbe il principio teorizzato in seguito alla razzia di Nakhla: «L'oppressione è peggiore dell'omicidio». Da cui risulta che non esiste azione più meritevole dell'attaccare con ogni mezzo possibile chiunque perseguiti i musulmani.


Si trattava dunque di una rivelazione di straordinaria importanza, e altrettanto determinanti sarebbero state le sue ripercussioni nel tempo. Il bene divenne identificabile con qualsiasi cosa andasse a beneficio dei musulmani, indipendentemente dal fatto che violasse la morale o altre leggi. La morale assoluta dei Dieci Comandamenti e gli altri dettami delle grandi religioni che precedettero l'Islam furono accantonati a favore di un soverchiante principio di convenienza. La battaglia di Badr Subito dopo Nakhla i musulmani affrontarono la loro prima battaglia. Maometto aveva saputo che dalla Siria stava arrivando una grande carovana Hurays, carica di merci e denaro. «È la carovana che trasporta i beni degli Hurays», disse ai suoi seguaci. «Attacchiamola, forse Dio ci aiuterà a catturarla. »3 Quindi si avviò verso la Mecca alla guida dei predoni. Ma questa volta gli Hurays non si fecero cogliere impreparati, e andarono incontro ai trecento uomini di Maometto forti di quasi mille guerrieri. Al che il Profeta, che probabilmente non si aspettava un nemico tanto numeroso, preso dal panico si rivolse ad Allah: «O Dio, se oggi saremo sconfitti, nessuno più adorerà il tuo nome». E nonostante la loro superiorità numerica, gli Hurays furono sbaragliati. Secondo falcune tradizioni musulmane Maometto stesso partecipò al combattimento; altre fonti riferiscono che si limitò a incitare i compagni dalle retrovie. In ogni caso, la vittoria gli offrì l'occasione di vedere finalmente vendicati anni di frustrazione, risentimento e odio verso coloro che l'avevano respinto. In seguito, uno dei combattenti musulmani ricordò la maledizione lanciata da Maometto all'indirizzo dei capi Hurays: «Il Profeta disse "O Allah! Distruggi i capi dei Hurays, Allah! Distruggi 'Abù Gahl bin Hisam, 'Utabah biri Rabfah, Saybah bin Rabl'ah, 'Uqba bin Abr Mu'ayt, 'Umaiyyah bin Halaf (o 'Ubay bin Halaf)"». Tutti questi uomini furono catturati o uccisi durante la battaglia di Badr. 'Uqba, uno dei capi Hurays a cui Maometto aveva augurato la morte, supplicò i nemici perché gli fosse risparmiata la vita: «Chi si occuperà dei miei bambini?». «L'inferno», rispose il Profeta dell'Islam, e ordinò che 'Uqba venisse giustiziato. Un altro capo tribù Hurays, 'Abu Gahl (appellativo attribuitogli dagli storici musulmani che significa «padre dell'ignoranza »; il suo vero nome era 'Amr bin Hisam), fu decapitato. Il guerriero che gli mozzò il capo mostrò orgogliosamente a Maometto il proprio trofeo: «Gli ho tagliato la testa e l'ho portata a vedere ai fedeli, dicendo loro "Questa è la testa del nemico di Dio, 'Abu Gahl"». Maometto ne fu deliziato. «Sia lodato Allah», esclamò, «non c'è altro Dio al di fuori di Lui». E rese grazie per la morte del suo nemico7. Le salme di tutti gli uomini maledetti da Maometto vennero gettate in una fossa. Così riferì un testimone oculare: «In seguito vidi che erano morti tutti durante lo scontro. I cadaveri furono poi gettati in un pozzo a eccezione del corpo di Umaiya o Ubai, il quale era così grasso che per farlo entrare nella buca lo si dovette squartare». Allora Maometto, schernendoli e apostrofandoli «gente della fossa», rivolse ai morti una questione teologica: «Avete visto realizzarsi le promesse di Dio? Quanto a me, tutto ciò che gli avevo chiesto si è avverato ». E quando gli domandarono perché stesse parlando ai defunti, il Profeta rispose: «Essi sentono quello che dico proprio come lo sentite voi, ma non possono rispondermi». Per i musulmani la battaglia di Badr divenne un punto di svolta leggendario. Maometto sostenne persino che schiere di angeli si erano unite ai suoi uomini per punire gli Hurays, e che anche in futuro i seguaci di Allah avrebbe potuto contare su simili aiuti: «Allah vi fece vincere, deboli com'eravate, a Badr: siate timorati di Allah, ché forse, così, diventerete riconoscenti. Tu dicevi: "Iddio vi manderà in rinforzo dall'alto tremila Angeli. Non vi bastano?". Certo che vi bastano. Ma se siete costanti e timorati, e quelli vi giungono addosso all'improvviso, il vostro Signore vi manderà in rinforzo ben cinquemila Angeli, coi loro distintivi» (Corano III, 123-125). Un'altra rivelazione da parte di Allah sottolineò che era stata la devozione, e non la forza militare, a far sì che i musulmani vincessero a Badr: «Vi fu certamente un segno nelle due schiere che si fronteggiavano: una combatteva sul sentiero di Allah e l'altra era miscredente, li videro a colpo d'occhio due volte più numerosi di quello che erano. Ebbene, Allah presta il Suo aiuto a chi vuole. Ecco un argomento di riflessione per coloro che hanno intelletto» (Corano III, 13). Un altro passaggio coranico spiega come a Badr i musulmani non fossero stati altro che strumenti passivi della volontà divina: «Non siete certo voi che li avete uccisi: è Allah che li ha uccisi» (Corano Vili, 17). E Allah avrebbe garantito ai fedeli musulmani la vittoria su eserciti anche più numerosi di quello sconfitto a Badr: «O Profeta, incita i credenti alla lotta. Venti di voi, pazienti, ne domineranno duecento e cento di voi avranno il sopravvento su mille miscredenti. Ché in verità è gente che nulla comprende» (Corano Vili, 65). Oltre a garantire loro la vittoria, Allah ricompensò i guerrieri di Badr con un ricco bottino - così ricco da divenire oggetto di contesa. Ed erano tali i dissidi che lo stesso Allah ne parlò in una sura del Corano interamente dedicata alla battaglia di Badr: si tratta dell'ottavo capitolo, intitolato «Al' Anfal» («Il bottino di guerra» o «Bottino»). Qui Allah ammonisce i musulmani affinché considerino il bottino di Badr proprietà di nessun altro a eccezione di Maometto: «Ti interrogheranno a proposito del bottino. Di': "Il bottino appartiene ad Allah e al Suo Messaggero". Temete Allah e mantenete la concordia tra di voi. Obbedite ad Allah e al Suo Messaggero, se siete credenti» (Corano Vili, 1). Alla fine Maometto distribuì equamente il bottino ai musulmani, tenendone un quinto per sé: «Sappiate che del bottino che conquisterete, un quinto appartiene ad Allah e al Suo Messaggero, ai parenti, agli orfani, ai poveri, ai viandanti, se credete in Allah e in quello che abbiamo fatto scendere sul Nostro schiavo nel giorno del Discrimine, il giorno in cui le due schiere si incontrarono» (Corano Vili, 41). E Allah sottolineò che si trattava di una ricompensa per la devozione dimostratagli: «Mangiate quanto vi è di lecito e puro per voi nel bottino che vi è toccato e temete Allah, Egli è perdonatore misericordioso» (Corano Vili, 69). La minuscola, disprezzata comunità dei musulmani divenne così una forza che i pagani d'Arabia non poterono più permettersi d'ignorare, e che col tempo iniziò a seminare il terrore nel cuore dei suoi nemici. La pretesa di Maometto di essere l'ultimo Profeta dell'unico vero Dio sembrava confermata da vittorie che andavano al di là di ogni aspettativa. Vittorie che avevano radicato nell'animo dei musulmani una serie di atteggiamenti e di presupposti ancora oggi ampiamente diffusi. In particolare: L'idea che, finché i musulmani rimarranno fedeli ai suoi comandamenti, Allah assicurerà loro la vittoria anche contro nemici più numerosi e più potenti. Che il successo in battaglia dia loro il diritto di appropriarsi dei beni dei nemici sconfitti.

Che la vendetta cruenta contro i propri nemici non sia soltanto prerogativa divina, ma spetti anche a coloro che gli si sottomettono sulla terra. Non a caso lo stesso termine Islam

significa sottomissione.

Che i prigionieri di guerra possano essere giustiziati a discrezione dei capi musulmani.

Che coloro che rifiutano l'Islam «di tutta la creazione siano i più abbietti» (Corano XCVIII, 6) e dunque non meritino alcuna pietà.

Che chiunque offenda o in qualche modo si opponga a Maometto o ai suoi seguaci meriti una morte umiliante - se possibile per decapitazione. Il che corrisponde del resto al volere di Allah, che ordina di «colpire al collo» i «miscredenti» (Corano XLVII, 4).

Ma soprattutto, la battaglia di Badr fu il primo esempio pratico di quella che in seguito sarebbe divenuta nota come la dottrina islamica del jihad: una dottrina la cui comprensione getterà nuova luce sia sulle crociate sia sull'attuale scontro di civiltà. «Amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori.» Gesù (Matteo 5,44) «Preparate, contro di loro, tutte le forze che potrete [raccogliere] e i cavalli addestrati per terrorizzare il nemico di Allah e il vostro e altri ancora che voi non conoscete, ma che Allah conosce.» Corano VII, 60


Infibulazione islamica Escissione circoncisione femminile

La barbarie che avanza (soprattutto islamica) martirizza le donne perfino in Europa: ben 70mila le donne sottoposte a vergognose mutilazioni genitali in Italia

di Andrea Lorenza Nini

In questi giorni di pieno dibattito elettorale al cui centro, a torto o a ragione, ci sono le donne, è passato in sordina un evento di significativa importanza: il 6 gennaio, infatti, si è svolta la quinta Giornata Mondiale contro le mutilazioni genitali femminili organizzata dalle Nazioni Unite. Mutilazioni genitali: il nome fa gelare il sangue nelle vene e sembra distante dal nostro evoluto e avanzato Occidente (anche se ormai è da chiedersi se noi occidentali siamo davvero libere...). Eppure oggi, solo in Italia, le donne che hanno ricevuto un trattamento del genere sono ben settantamila. Se ne potrebbe parlare in maniera soft, riferendosi solamente al perché sociale, alle origini storiche e alle statistiche ma ciò tenderebbe a sminuire queste gravi violenze, a ridurle a semplici fattori culturali. Il punto di partenza è, indubbiamente, l'atavica volontà maschile, ancora viva in società tribali organizzate in gerarchie patriarcali, di sottomettere sessualmente la donna, umiliandola in un corpo che non le permette di trasgredire e neanche di sognare lontanamente l'emancipazione (o presunta tale, ma questa è un'altra storia!). Per analizzare nello specifico il problema, bisogna partire da un distinguo, già effettuato in Italia negli anni novanta dall'Organizzazione Non C'è Pace Senza Giustizia che, da quasi vent'anni, denuncia il problema e si batte per la libertà delle donne con una serie di campagne ed eventi. Sono stati così categorizzati tre tipi di "interventi" - se tali li si può definire - in una scala basata sulla gravità dell'amputazione e del trauma psico-fisico.

Quella di minore entità è l'al-sunna, vale a dire la circoncisione femminile. Essa consiste nell'asportazione della punta del clitoride, con la fuoriuscita di sette gocce di sangue. In quanto rito di purificazione meno doloroso e castrante, l'al-sunna è stato visto da molti antropologi e sociologi come il compromesso tra tradizione e modernizzazione, partendo dal presupposto che l'indottrinamento occidentale non può far altro che accrescere il senso di attaccamento alle proprie tradizioni. Ma questa non sembra certo la soluzione ottimale, perché è da combattere il principio dell'inferiorità femminile che, anche in questo caso, verrebbe rimarcato, seppur in maniera in più blanda.

Come forma più diffusa nel mondo, abbiamo, poi, l'escissione (al-wasat), che consiste nella totale asportazione del clitoride e delle piccole labbra. Infine, pratica più mostruosa e degradante, figura l'infibulazione. Oltre alla circoncisione e l'escissione, vengono anche recise le grandi labbra. Poi viene la cauterizzazione, cioè la bruciatura dei residui con un particolare strumento ed, infine, la vulva viene cucita, lasciando aperto solo un forellino per la fuoriuscita delle urine e del sangue mestruale. Ma, sebbene tutto ciò sia una vera e propria sevizia, nelle società in cui si pratica, essa viene percepita come una vera e propria necessità per la purezza e l'integrità morale delle bambine (perché parliamo di bambine, per lo più dai due ai quattordici anni) che la subiscono. La cosa paradossale è che per loro l'infibulazione rappresenta il diventare donna, in un gioco che le priva proprio di ciò che la natura ha dato loro in quanto donne. Generalmente è una festa: le madri annunciano l'evento alle proprie figlie, che vengono portate, in piccoli gruppi, in casa di una mammara-stregona (come definirla?) che le amputerà per sempre.

Alle ragazzine viene spiegato che non devono piangere, perché questo porterebbe disonore alla famiglia e il padre se ne vergognerebbe. Dopo la dolorosissima operazione, effettuata con coltelli arrugginiti, pezzi di vetro o di legno, sono costrette all'immobilità per giorni e giorni, finché (se si è fortunate e non si presentano infezioni) la ferita non è cucita. Tutto questo si sopporta con rassegnazione: altrimenti, si sarebbe nient'altro che un'emarginata sociale, una donnaccia, e non si troverebbe marito. Eppure, anche la vita matrimoniale, che altro può essere se non il continuo di questa sofferenza? Non basta infatti la frigidità sessuale alla quale sono ovviamente condannate: la prima notte di nozze le attende la deinfibulazione (la recisione della chiusura da parte dell'uomo che darà così prova di indubbia virilità), poi ad ogni parto le attenderà il rischio di un soffocamento del nascituro (ed un'altra miriade di sofferenze) o di morte, e quando tutto questo sarà finito non sarà abbastanza: si dovrà reinfibulare e così via.

Come detto, l'usanza delle mutilazioni risale a tempi antichissimi, precedenti le religioni monoteistiche. Il grande storico greco Erodoto (V secolo a.C) parla già di popoli che praticano questi interventi e l'esercizio sembra risalire ad un'antica credenza per la quale il clitoride, se non reciso, crescerebbe fino a diventare un pene, portando così a rapporti di natura lesbica ed alla masturbazione. È da queste credenze, poi evolutesi, che - seppur condannate da Ebraismo e Cattolicesimo (religioni per le quali è un abominio contro l'integrità del corpo voluta da Dio), e più recentemente anche dall'Islamismo (in quanto nel Corano non vi è alcun riferimento a questa pratica) - le mutilazioni genitali continuano ad esistere in molti paesi dell'Africa, del sud-est asiatico e della penisola arabica, interessando, per lo più società di religione islamica (nei cui dogmi la sottomissione femminile è costantemente rivendicata) ma non solo.

Da ricordare, infine, che l'infibulazione non è una pratica lontana e distante che nulla ha a che vedere con noi: moltissime sono le operazioni clandestine in Italia ed è nostro dovere far a sapere a queste donne che non sono costrette a far patire il medesimo trattamento alle proprie figlie, che in Italia esiste una legge severissima contro questo reato e che ci si può ribellare ad un sistema che le umilia nel profondo. Fonte: L'

Ottimista, 25 Gennaio 2011


L'EUROPA O RIDIVENTERA' CRISTIANA O DIVENTERA' MUSULMANA

Vi mostriamo un drammatico video che spiega, dati alla mano, che il Cardinal Biffi aveva visto giusto nel 2000 mettendo in luce il problema della denatalità e della necessità di selezionare i flussi migratori

di Giacomo Biffi

Dovrebbe essere evidente a tutti quanto sia rilevante il tema dell'immigrazione nell'Italia di oggi; ma credo sia altrettanto innegabile l'inadeguata attenzione pastorale e lo scarso realismo con cui finora esso è stato valutato e affrontato. Il fenomeno appare imponente e grave; e i problemi che ne derivano - tanto per la società civile quanto per la comunità cristiana - sono per molti aspetti nuovi, contrassegnati da inedite complicazioni, provvisti di una forte incidenza sulla vita delle nostre popolazioni. (...)

PROGETTI REALISTICI COMPLESSIVI


Ciò che dobbiamo augurare al nostro Stato e alla società italiana è che si arrivi presto a un serio dominio della situazione, in modo che il massiccio arrivo di stranieri nel nostro paese sia disciplinato e guidato secondo progetti concreti e realistici di inserimento che mirino al vero bene di tutti, sia dei nuovi arrivati sia delle nostre popolazioni.

Tali progetti dovrebbero contemplare tanto la possibilità di un lavoro regolarmente remunerato quanto la disponibilità di alloggi dignitosi non gratuiti: per questa strada si potrà arrivare a un sicuro innesto entro il nostro organismo sociale, senza discriminazioni e senza privilegi.

Chi viene da noi deve sapere subito che gli sarà richiesto, come necessaria contropartita dell'ospitalità, il rispetto di tutte le norme di convivenza che sono in vigore da noi, comprese quelle fiscali. Diversamente non si farebbe che suscitare e favorire perniciose crisi di rigetto, ciechi atteggiamenti di xenofobia e l'insorgere di deplorevoli intolleranze razziali.

CRITERI ATTUATIVI

La pratica attuazione di questi progetti obbedirà necessariamente a criteri che saranno anche economici: l'Italia ha bisogno di forze lavorative che non riesce più a trovare nell'ambito della sua popolazione. A questo proposito, dovrebbero essere tutti ormai persuasi di quanto sia stata insipiente la linea perseguita negli ultimi quarant'anni, con l'ossessivo terrorismo culturale antidemografico e con l'assenza di ogni correttivo legislativo e politico che ponesse qualche rimedio all'egoistica e stolta denatalità, da molto tempo ai vertici delle statistiche mondiali. Tutto questo nonostante l'esempio contrario delle nazioni d'Europa più accorte, più lungimiranti, più civili, che non hanno esitato a prendere in questo campo intelligenti e realistici provvedimenti.

LA SALVAGUARDIA DELL'IDENTITÀ NAZIONALE

Ma i criteri di cui si parla non potranno essere soltanto economici e previdenziali. Una consistente immissione di stranieri nella nostra penisola è accettabile e può riuscire anche benefica, purché ci si preoccupi seriamente di salvaguardare la fisionomia propria della nazione. L'Italia non è una landa deserta o semidisabitata, senza storia, senza tradizioni vive e vitali, senza una inconfondibile fisionomia culturale e spirituale, da popolare indiscriminatamente, come se non ci fosse un patrimonio tipico di umanesimo e di civiltà che non deve andare perduto. Sotto questo profilo, uno Stato davvero "laico" - che cioè abbia di mira non il trionfo di qualche ideologia, ma il vero bene degli uomini e delle donne sui quali esercita la sua attività di amministrazione e di governo, e voglia loro preparare con accortezza un desiderabile futuro - dovrebbe avere tra le sue preoccupazioni primarie quella di favorire la pacifica integrazione delle genti (come si è già storicamente verificato nell'incontro tra le popolazioni latine e quelle germaniche sopravvenute) o quanto meno una coesistenza non conflittuale; una compresenza e una coesistenza che comunque non conducano a disperdere la nostra ricchezza ideale o a snaturare la nostra specifica identità. Bisogna perciò concretamente operare perché coloro che intendono stabilirsi da noi in modo definitivo "si inculturino" nella realtà spirituale, morale, giuridica del nostro paese, e vengano posti in condizione di conoscere al meglio le tradizioni letterarie, estetiche, religiose della peculiare umanità della quale sono venuti a far parte. A questo fine, le concrete condizioni di partenza degli immigrati non sono ugualmente propizie; e le autorità non dovrebbero trascurare questo dato della questione. In una prospettiva realistica, andrebbero preferite (a parità di condizioni, soprattutto per quel che si riferisce all'onestà delle intenzioni e al corretto comportamento) le popolazioni cattoliche o almeno cristiane, alle quali l'inserimento risulta enormemente agevolato (per esempio i latino-americani, i filippini, gli eritrei, i provenienti da molti paesi dell'Est Europa, eccetera); poi gli asiatici (come i cinesi e i coreani), che hanno dimostrato di sapersi integrare con buona facilità, pur conservando i tratti distintivi della loro cultura. Questa linea di condotta - essendo "laicamente" motivata - non dovrebbe lasciarsi condizionare o disanimare nemmeno dalle possibili critiche sollevate dall'ambiente ecclesiastico o dalle organizzazioni cattoliche.


Come si vede, si propone qui semplicemente il "criterio dell'inserimento più agevole e meno costoso": un criterio totalmente ed esplicitamente "laico", a proposito del quale evocare gli spettri del razzismo, della xenofobìa, della discriminazione religiosa, dell'ingerenza clericale e perfino della violazione della Costituzione, sarebbe un malinteso davvero mirabile e singolare; il quale, se effettivamente si verificasse, ci insinuerebbe qualche dubbio sulla perspicacia degli opinionisti e dei politici italiani. IL CASO DEI MUSULMANI Se non si vuol eludere o censurare tale realistica attenzione, è evidente che il caso dei musulmani vada trattato a parte. Ed è sperabile che i responsabili della cosa pubblica non temano di affrontarlo a occhi aperti e senza illusioni. Gli islamici - nella stragrande maggioranza e con qualche eccezione - vengono da noi risoluti a restare estranei alla nostra "umanità", individuale e associata, in ciò che ha di più essenziale, di più prezioso, di più "laicamente" irrinunciabile: più o meno dichiaratamente, essi vengono a noi ben decisi a rimanere sostanzialmente "diversi", in attesa di farci diventare tutti sostanzialmente come loro. Hanno una forma di alimentazione diversa (e fin qui poco male), un diverso giorno festivo, un diritto di famiglia incompatibile col nostro, una concezione della donna lontanissima dalla nostra (fino a praticare la poligamia). Soprattutto hanno una visione rigorosamente integralista della vita pubblica, sicché la perfetta immedesimazione tra religione e politica fa parte della loro fede indubitabile e irrinunciabile, anche se aspettano prudentemente a farla valere di diventare preponderanti. Non sono dunque gli uomini di Chiesa, ma gli stati occidentali moderni a dover far bene i loro conti a questo riguardo. Va anzi detto qualcosa di più: se il nostro Stato crede sul serio nell'importanza delle libertà civili (tra cui quella religiosa) e nei princìpi democratici, dovrebbe adoperarsi perché essi siano sempre più diffusi, accolti e praticati a tutte le latitudini. Un piccolo strumento per raggiungere questo scopo è quello della richiesta che venga data una "reciprocità" non puramente verbale da parte degli stati di origine degli immigrati. Scrive a questo proposito la Nota Cei del 1993: 'In diversi paesi islamici è quasi impossibile aderire e praticare liberamente il cristianesimo. Non esistono luoghi di culto, non sono consentite manifestazioni religiose fuori dell'islam, né organizzazioni ecclesiali per quanto minime. Si pone così il difficile problema della reciprocità. E' questo un problema che non interessa solo la Chiesa, ma anche la società civile e politica, il mondo della cultura e delle stesse relazioni internazionali. Da parte sua il papa è instancabile nel chiedere a tutti il rispetto del diritto fondamentale della libertà religiosa' (n. 34). Ma - diciamo noi - chiedere serve a poco, anche se il papa non può fare di più. Per quanto possa apparire estraneo alla nostra mentalità e persino paradossale, il solo modo efficace e non velleitario di promuovere il "principio di reciprocità" da parte di uno Stato davvero "laico" e davvero interessato alla diffusione delle libertà umane, sarebbe quello di consentire in Italia per i musulmani, sul piano delle istituzioni da autorizzare, solo ciò che nei paesi musulmani è effettivamente consentito per gli altri. (...)


CONCLUSIONE

In un'intervista di una decina d'anni fa, mi è stato chiesto con molto candore e con invidiabile ottimismo: "Ritiene anche Lei che l'Europa o sarà cristiana o non sarà?". Mi pare che la mia risposta di allora possa ben servire alla conclusione del mio intervento di oggi. Io penso - dicevo - che l'Europa o ridiventerà cristiana o diventerà musulmana. Ciò che mi pare senza avvenire è la "cultura del niente", della libertà senza limiti e senza contenuti, dello scetticismo vantato come conquista intellettuale, che sembra essere l'atteggiamento largamente dominante nei popoli europei, più o meno tutti ricchi di mezzi e poveri di verità. Questa "cultura del niente" (sorretta dall'edonismo e dalla insaziabilità libertaria) non sarà in grado di reggere all'assalto ideologico dell'Islam, che non mancherà: solo la riscoperta dell'avvenimento cristiano come unica salvezza per l'uomo - e quindi solo una decisa risurrezione dell'antica anima dell'Europa - potrà offrire un esito diverso a questo inevitabile confronto. Purtroppo né i "laici" né i "cattolici" pare si siano finora resi conto del dramma che si sta profilando. I "laici", osteggiando in tutti i modi la Chiesa, non si accorgono di combattere l'ispiratrice più forte e la difesa più valida della civiltà occidentale e dei suoi valori di razionalità e di libertà: potrebbero accorgersene troppo tardi. I "cattolici", lasciando sbiadire in se stessi la consapevolezza della verità posseduta e sostituendo all'ansia apostolica il puro e semplice dialogo a ogni costo, inconsciamente preparano (umanamente parlando) la propria estinzione.

La speranza è che la gravità della situazione possa a un certo momento portare a un efficace risveglio sia della ragione sia dell'antica fede. È il nostro augurio, il nostro impegno, la nostra preghiera.


Crociate aggressione o difesa?

tratto da MADDEN Thomas F., La vera storia delle Crociate, 24 ottobre 2004, in zenit.org.

I crociati non erano persone che aggredivano senza essere provocati, non erano avidi predoni, o colonizzatori medievali, come riportato in alcuni libri di storia.

Thomas Madden, professore associato e preside della facoltà di storia dell'Università di St. Louis (Missouri) e autore di "A Concise History of the Crusades", sostiene che i crociati rappresentavano una forza difensiva che non approfittava delle proprie imprese al fine di guadagnarci in ricchezze terrene o in acquisizioni territoriali. Madden ha ripercorso con ZENIT il quadro sui miti più diffusi relativi ai crociati, a fronte dei recenti accertamenti che li destituiscono di fondamento.

Quali sono gli errori storiografici più comuni sulle crociate e su chi vi prendeva parte?

Madden: Alcuni dei miti più comuni e le ragioni della loro infondatezza sono i seguenti:

Mito n. 1: Le crociate erano guerre di aggressione non provocate, contro un mondo musulmano pacifico.

Questa affermazione contiene quanto di più sbagliato ci possa essere. Dai tempi di Maometto, i musulmani avevano tentato di conquistare il mondo cristiano. Ed avevano ottenuto anche notevoli successi. Dopo alcuni secoli di continue conquiste, gli eserciti musulmani dominavano l'intero nord-Africa, il Medio Oriente, l'Asia Minore e gran parte della Spagna.

In altre parole, per la fine dell'XI secolo, le forze islamiche avevano conquistato due terzi del mondo cristiano. La Palestina, casa di Gesù Cristo; l'Egitto, luogo di nascita del cristianesimo monastico; l'Asia Minore dove San Paolo aveva gettato i semi delle prime comunità cristiane - queste non erano la periferia della Cristianità, ma il vero cuore. E gli imperi musulmani non terminavano lì. Essi continuarono a spingersi verso Occidente, verso Costantinopoli, oltrepassandola e varcando i confini della stessa Europa. Le aggressioni provocate erano quindi tutte dalla parte dei musulmani. Ad un certo momento, ciò che rimaneva del mondo cristiano avrebbe per forza dovuto difendersi o in caso contrario soccombere alla conquista islamica.

Mito n. 2: I crociati indossavano croci, ma erano in realtà interessati unicamente a conquistarsi ricchezze e terreni. I loro pii propositi erano solo una copertura sotto la quale si nascondeva una rapace avidità.

Gli storici, tempo fa, ritenevano che in Europa si era verificato un aumento demografico che aveva portato ad avere un numero eccessivo di nobili cadetti, addestrati nell'arte bellica cavalleresca, ma privi di terreni feudali da ereditare. Le crociate quindi erano viste come una valvola di sfogo che spingeva questi uomini bellicosi lontano dall'Europa, verso terre da conquistare a spese di qualcun'altro.

La storiografia moderna, assistita dall'avvento dei database computerizzati, ha fatto crollare questo mito. Noi sappiamo oggi che erano piuttosto i primogeniti d'Europa a rispondere all'appello del Papa del 1095, e a partecipare alle successive crociate. Andare in crociata implicava enormi spese. I signori erano costretti a vendere o a ipotecare le proprie terre per radunare i fondi necessari. Gran parte di loro, inoltre, non aveva interesse a costituire un regno oltre mare. Più o meno come i soldati di oggi, i crociati medievali erano fieri di fare il proprio dovere, ma altrettanto desiderosi di tornare a casa.

Dopo i successi spettacolari della prima crociata, con la conquista di Gerusalemme e di gran parte della Palestina, praticamente tutti i crociati tornarono a casa. Solo una minima parte di loro rimase indietro al fine di consolidare e governare i nuovi territori.

Anche il bottino non era granché. Infatti, sebbene i crociati sognassero vaste ricchezze nelle opulente città orientali, praticamente nessuno di loro riuscì anche solo a recuperare le spese sostenute all'inizio. Tuttavia i soldi e la terra non rappresentavano il motivo per cui avventurarsi nelle crociate. Essi andavano ad espiare i peccati per guadagnarsi la salvezza mediante le buone opere in una terra lontana. Essi sostenevano spese e fatiche perché credevano che, andando in soccorso ai loro fratelli e sorelle cristiani in Oriente, avrebbero accumulato ricchezze dove la ruggine e la tarma non corrodono. Avevano ben presente l'esortazione di Cristo secondo cui chi non prenderà su di sé la propria croce non sarà degno di lui. Essi ricordavano anche che "nessuno ha un amore più grande di chi dà la propria vita per gli amici".

Mito n. 3: Quando i crociati conquistarono Gerusalemme nel 1099, essi massacrarono tutti gli uomini, donne e bambini della città, fino ad inondare le strade di sangue.

Questa è una delle storie preferite da chi vuole dimostrare la natura malvagia delle crociate.

Certamente è vero che molte persone a Gerusalemme furono uccise dopo che i crociati conquistarono la città. Ma questo deve essere considerato nel contesto storico del tempo. In ogni civiltà europea o asiatica dell'epoca, era normale ed accettato moralmente che una città che aveva resistito alla cattura ed era stata presa con la forza, apparteneva ai vittoriosi. E questo non comprendeva solo gli edifici e i beni, ma anche le stesse persone che l'abitavano. E' per questo che ogni città o fortezza doveva valutare attentamente se poteva permettersi di contrastare l'assediante. Se no, era più saggio negoziare i termini della resa.

Nel caso di Gerusalemme, la difesa fu tentata fino alla fine. Si calcolava che le formidabili mura della città avrebbero tenuto a bada i crociati fino all'arrivo di una forza proveniente dall'Egitto. Ma si sbagliarono. E quando la città cadde, essa fu saccheggiata. Molti furono ammazzati, ma molti altri furono riscattati o lasciati liberi.

Secondo il criterio moderno questo può sembrare brutale. Ma un cavaliere medievale potrebbe far notare che un numero molto maggiore di uomini, donne e bambini innocenti vengono ammazzati mediante le tecniche moderne di guerra, rispetto al numero di persone che potrebbe cadere sotto la spada nell'arco di uno o due giorni. E' utile osservare che in quelle città musulmane che si arresero ai crociati, le persone erano lasciate indisturbate. Venivano requisite le loro proprietà ed essi erano lasciati liberi di professare la propria fede.

Mito n. 4: Le crociate erano una forma di colonialismo medievale rivestito di orpelli religiosi.

E' importante ricordare che nel Medio Evo l'Occidente non era una cultura potente e dominante che si avventurava in una regione primitiva e arretrata. Era l'Oriente musulmano ad essere potente, benestante e opulento. L'Europa era il Terzo mondo.

Gli Stati crociati, fondati in seguito alla prima crociata, non erano nuovi stanziamenti di cattolici in un mondo musulmano estraneo alle colonizzazioni britanniche dell'America. La presenza cattolica negli Stati crociati era sempre molto ridotta, solitamente inferiore al 10% della popolazione. Essi ricoprivano il ruolo di governanti e di magistrati, e altri erano commercianti italiani e membri degli ordini militari. La stragrande maggioranza della popolazione degli Stati crociati era musulmana.

Non erano quindi colonie nel senso di piantagioni o fabbriche, come nel caso dell'India. Erano degli avamposti. La finalità ultima degli Stati crociati era di difendere i luoghi santi in Palestina, specialmente in Gerusalemme, e di fornire un ambiente sicuro per i pellegrini cristiani in vista in quei luoghi.

Non vi era un Paese di riferimento per gli Stati crociati, con cui questi intrattenessero rapporti economici, né gli europei traevano vantaggio economico da tali Stati. Al contrario, le spese delle crociate finalizzate al mantenimento dell'Oriente latino, gravavano fortemente sulle risorse europee. Come avamposto, gli Stati crociati mantenevano un'impostazione militare. Mentre i musulmani combattevano tra di loro, gli Stati crociati erano al sicuro, ma una volta che i musulmani si unirono, furono in grado di far cadere le fortificazioni, catturare le città e nel 1291 espellere del tutto i cristiani.

Mito n. 5: Le crociate furono fatte anche contro gli ebrei.

Nessun Papa ha mai lanciato una crociata contro gli ebrei. Durante la prima crociata un folto gruppo di malfattori, non associati all'esercito principale, discese nei paesi della Renania e decise di depredare e ammazzare gli ebrei che vi risiedevano. Questo fu causa, in parte di pura avidità, ma in parte derivava anche da un'errata concezione per cui gli ebrei, in quanto responsabili della crocifissione di Cristo, sarebbero stati legittimi bersagli della guerra.

Il Papa Urbano II e i successivi Papi condannarono fortemente questi attacchi contro gli ebrei. I vescovi locali e gli altri ecclesiastici e laici tentarono di difendere gli ebrei, anche se con scarso successo. Analogamente, durante la fase iniziale della seconda crociata, un gruppo di rinnegati uccise molti cristiani in Germania, prima che San Bernardo riuscisse a raggiungerli e a fermarli.

Queste realtà erano un disdicevole effetto collaterale derivante dall'entusiasmo delle crociate, ma non erano lo scopo delle crociate. Per usare un'analogia moderna, durante la seconda guerra mondiale alcuni soldati americani commisero crimini mentre si trovavano oltre oceano. Essi furono arrestati e puniti per tali crimini, ma il motivo per cui erano entrati in guerra non era di commettere crimini.

Crede che i contrasti tra Occidente e mondo musulmano siano in qualche modo una reazione alle crociate?

Madden: No. Potrebbe sembrare una risposta strana considerando che Osama bin Laden e altri islamici si riferiscono spesso agli americani come "crociati". Tuttavia è importante ricordare che nel corso del Medioevo - e in realtà fino al tardo XVI secolo - la superpotenza del mondo occidentale era l'Islam. Le civiltà musulmane erano ricche, sofisticate e immensamente potenti. L'Occidente invece era arretrato e relativamente debole.

E' interessante notare anche che, ad eccezione della prima crociata, sostanzialmente tutte le altre crociate dell'Occidente - e ve ne furono centinaia - non ebbero successo. Le crociate possono aver rallentato l'espansione del mondo musulmano, ma non ne hanno assolutamente procurato un arresto. Gli imperi musulmani hanno continuato ad espandersi nei territori cristiani, conquistando i Balcani, molta dell'Europa orientale, compresa la più grande città cristiana al mondo, Costantinopoli. Agli occhi dei musulmani del tempo, le crociate non erano considerate molto importanti. Normalmente, le persone del mondo musulmano del XVIII secolo non sapevano granché delle crociate. Queste erano invece importanti per gli europei, perché rappresentavano imprese notevoli, caratterizzate dal fallimento.

Tuttavia, durante il XIX secolo, quando gli europei iniziarono a conquistare e colonizzare i Paesi del Medio oriente, molti storici - in particolare scrittori francesi nazionalisti o monarchici - iniziarono a considerare le crociate come il primo tentativo dell'Europa diretto a esportare i frutti della Civiltà occidentale al mondo arretrato musulmano. In altre parole, le crociate furono trasformate in guerre imperialiste.

Queste interpretazioni della storia furono diffuse nelle scuole coloniali e divennero l'impostazione accettata nel Medio oriente e oltre. Nel XX secolo, l'imperialismo fu oggetto di discredito. Allora, alcuni nazionalisti arabi e islamisti fecero propria l'impostazione coloniale delle crociate ed iniziarono a sostenere che l'Occidente era responsabile delle loro afflizioni perché aveva depredato il mondo musulmano sin dai tempi dalle crociate.

Spesso si dice che le persone, nel Medioevo, hanno lunga memoria; è vero. Ma nel caso delle crociate, essi hanno recuperato memoria: ricordi fabbricati per loro stessi dai conquistatori europei.

Vi è qualche similitudine tra le crociate e la guerra contro il terrore di oggi?

Madden: A parte il fatto che i soldati di entrambe le guerre sono spinti dalla volontà di servire qualcosa che è più grande di loro stessi, a cui essi tengono, e che desiderano tornare a casa appena queste terminano, non vedo altre similitudini tra le crociate medievali e la guerra contro il terrore. Le motivazioni di una società secolare posti-illuminista sono molto diverse rispetto a quelle del mondo medievale.

In che modo le crociate si differenziano dalla jihad islamica o da altre guerre di religione?

Madden: Lo scopo fondamentale della jihad è di espandere il Dar al-Islam -- la dimora dell'Islam -- nel Dar al-Harb -- la dimora della guerra. In altre parole, la jihad è espansionistica e persegue la conquista dei non musulmani per porli sotto il governo musulmano. A coloro che vengono conquistati viene data una semplice alternativa. Per coloro che non appartengono alle "Genti del Libro" - ovvero i non cristiani o i non ebrei - la scelta è convertirsi all'Islam o perire. Per coloro che appartengono alle "Genti del Libro", la scelta è sottomettersi al governo musulmano e alla legge islamica o perire. L'espansione dell'Islam, quindi, era direttamente legata al successo militare della jihad.

Le crociate furono qualcosa di molto diverso. Nel Cristianesimo, sin dall'inizio, fu sempre proibita la conversione forzata di qualsiasi tipo. La conversione per mezzo della spada non era possibile per il Cristianesimo. Diversamente dalla jihad, lo scopo delle crociate non era né quello di allargare l'estensione territoriale del mondo cristiano, né quello di diffondere il cristianesimo mediante la conversione forzata. Le crociate erano invece una risposta diretta e tardiva a secoli di conquiste musulmane di territori cristiani. L'evento che seguì [l'autore forse voleva dire "precedette", ndr] immediatamente la prima crociata fu la conquista turca di tutta l'Asia minore nel corso dei decenni dal 1070 al 1090. La prima crociata fu lanciata da Papa Urbano II nel 1095 in risposta ad un urgente appello di aiuto dell'imperatore bizantino di Costantinopoli. Urbano II allora chiamò i cavalieri del mondo cristiano per accorrere in aiuto ai fratelli d'Oriente.

L'Asia minore era cristiana. Questa parte dell'Impero bizantino fu evangelizzata a partire da San Paolo. San Pietro fu il primo vescovo di Antiochia. Paolo scrisse le sue famose lettere ai cristiani di Efeso. Il credo della Chiesa fu scritto a Nicea. Tutti questi luoghi si trovano in Asia minore. L'imperatore bizantino pregò i cristiani d'Occidente di aiutarlo a riconquistare i territori e ad espellere i turchi. E le crociate rappresentarono questo aiuto. Il loro scopo, tuttavia, non era solo quello di riconquistare l'Asia minore, ma di riconquistare altre terre anticamente cristiane, che erano state perse a causa delle jihad islamiche. Tra queste vi era la Terra santa.

In una parola, quindi, la principale differenza tra le crociate e le jihad è che le prime erano una difesa contro queste ultime. Tutta la storia delle crociate orientali è una storia di risposta ad aggressioni musulmane.

I crociati ebbero qualche successo nella conversione del mondo musulmano?

Madden: Nel XII secolo alcuni francescani iniziarono una missione in Medio oriente nel tentativo di convertire i musulmani. Ma non ebbe successo in gran parte perché le leggi islamiche considerano la conversione ad altra religione come un'offesa capitale. Questo tentativo fu, peraltro, portato avanti separatamente rispetto alle crociate, le quali non avevano nulla a che fare con il discorso della conversione, e mediante mezzi pacifici di persuasione.

Come razionalizzò, il mondo cristiano, la propria sconfitta nelle crociate? I crociati stessi furono sconfitti?

Madden: Lo fecero così come gli ebrei del Vecchio Testamento. Dio non diede la vittoria al suo popolo perché era nel peccato. Questo portò ad un movimento di pietà di larga scala in Europa, il cui obiettivo era di purificare in ogni modo la società cristiana.

Il Papa Giovanni Paolo II, in realtà, ha chiesto scusa per le crociate. Le ha condannate...

Madden: Questo è un mito curioso, visto che il Papa è stato cosi palesemente criticato per non aver chiesto scusa in modo espresso per le crociate, nell'ambito della sua richiesta di perdono a tutti coloro a cui i cristiani avevano procurato del male ingiustamente. Il Santo Padre non le ha condannate, né ha chiesto scusa per esse. Egli ha chiesto scusa per i peccati dei cattolici. Recentemente è stato ampiamente riportato il fatto che Giovanni Paolo II ha chiesto scusa al Patriarca di Costantinopoli per la conquista crociata di Costantinopoli del 1204.

Ma in realtà, il Papa ha solo ribadito ciò che aveva detto il suo predecessore, Papa Innocenzo II (1198-1216). Quell'evento fu un tragico esempio di un attacco non andato a buon fine, che peraltro lo stesso Innocenzo II cercò in ogni modo di evitare. Egli ha chiesto scusa per i peccati dei cattolici che presero parte alle crociate, ma non ha chiesto scusa per le crociate stesse o per i loro risultati.


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