I Fratelli di Gesù
«Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli conoscerete la verità e la verità vi farà liberi». Giovanni 8:31-32 |
Spesso in certi ambienti,
soprattutto protestanti, si sente parlare dei fratelli carnali di Gesù, a dir
loro tale ipotesi trova conferma
in alcuni versetti
biblici, più avanti
dimostreremo che non è così. Gesù non ebbe nessun fratello
carnale, e analizzando diversi versetti biblici vedremo le prove.
Qui di seguito analizzeremo d’apprima alcuni elementi sia biblici che storici, più avanti vedremo nel Nuovo Testamento chi erano uno per uno i presunti fratelli di Gesù, utilizzando sia i versetti presi dai prostanti, sia altri che chiariscono definitivamente la questione. Abbiate soltanto la pazienza di seguire le prime pagine di analisi e considerazioni.
Il significato della parola
“fratello” nel contesto biblico, rappresenta uno dei punti di discordia tra
cattolici e protestanti, esso però non nacque col protestantesimo, ma
successivamente in seguito a rielaborazioni forzate di alcuni studiosi
protestanti moderni. Ho specificato protestanti moderni, in quanto Lutero, Calvino e Zwingli, i padri della Riforma, difesero la verginità
perpetua di Maria. Solo molti secoli dopo, i loro discendenti spirituali la
negarono, probabilmente solo in funzione anticattolica.
Ecco cosa scriveva Giovanni Calvino nel suo commento al Vangelo di Matteo:
« Secondo il
costume ebraico si chiamano
FRATELLI tutti i PARENTI.
E tuttavia Elvidio si è mostrato
troppo ignorante, nel dire che Maria ha avuto diversi
figli perché in qualche punto si è fatta menzione di
fratelli di Cristo »
(Commento a Matteo
13,55) - GIOVANNI
CALVINO
« Cristo ... è stato L'UNICO
FIGLIO DI MARIA, e
la vergine Maria non ha avuto altri figli oltre a
lui ...
"FRATELLI" significa in realtà CUGINI,
poiché la sacra scrittura e gli ebrei
chiamano sempre fratelli i
cugini...
Egli, Cristo, il nostro salvatore,
fu il frutto reale e naturale del grembo verginale di Maria... Ciò avvenne
senza cooperazione dell'uomo, ed ELLA RIMASE VERGINE ANCHE DOPO.
»
(Martin Lutero, Sermone sopra Giovanni, capitoli 1-4)
L’esistenza di fratelli e sorelle
di Gesù sembra contraddire il dogma della perpetua verginità di Maria, proclamato dal Concilio Lateranense del 649 d.C.,
ma già esposto esplicitamente nel 553 dal Secondo Concilio ecumenico di
Costantinopoli.
In verità in epoche assai
vicine a quella di Gesù, la perpetua verginità di Maria fu messa in discussione da alcuni eretici,
che non menzionavano la presenza di altri fratelli
carnali, bensì la stessa nascita di Gesù, che avrebbe
compromesso la verginità della madre.
Oggi le posizioni in merito alla questione sono tre:
1) Secondo la Chiesa cattolica i fratelli e le sorelle di Gesù erano cugini, parenti affini o comunque membri del clan familiare di Gesù.
2) Secondo le Chiese orientali essi erano i fratellastri di Gesù, figli di un precedente matrimonio di S.Giuseppe, in seguito rimasto vedovo, adottati da Maria in seguito al matrimonio.
3) Secondo le chiese protestanti moderne, i Testimoni di Geova e gli studiosi della corrente storico-critica, essi erano veri figli carnali di S.Giuseppe e Maria, nati dopo il primogenito Gesù.
E’ importante sapere se Gesù abbia avuto o meno altri fratelli e
sorelle? Ai fini della divinità di Gesù nulla cambia, ma ai fini di
conoscere la semplice e cruda verità è importante, anche per evitare
fantastiche speculazioni, che fanno perno proprio sulla ignoranza diffusa in
ambito religioso; una di queste è il Codice da Vinci, il famoso
romanzo-storico, che pretendeva di riscrivere la storia della intera
cristianità, attribuendo a Gesù Cristo addirittura dei figli avuti con Maria di
Magdala. E’ importante sapere se Cristo ha avuto figli, o se era sposato con
Maria Maddalena? Certo che lo è, la verità va difesa in quanto tale, e lo
stesso vale per le verità riguardanti Maria la madre di Gesù. Se il
cristianesimo ci insegna a predicare la verità, significa che dobbiamo pure
difenderla da calunnie e insinuazioni più o meno articolate, ecco perché ho
redatto questo capitolo
dedicato ai presunti
fratelli uterini di Gesù, semplicemente per difendere la verità. Come si sviluppa questa ingiustificata tesi sulla molteplice
figliolanza di Maria?
Nei primi secoli del cristianesimo nessuno
pone obiezioni. Perché
la Chiesa non aveva ancora elaborato il dogma della perpetua
verginità di Maria?
Nient’affatto: perché nessuno dei
primi discepoli, ancora a conoscenza dell’uso polisemico dei termini
fratello/sorella nelle lingue semitiche e nelle relative traduzioni in greco
ellenistico, ha il minimo dubbio che i
fratelli/sorelle di Gesù altri non
siano che suoi parenti stretti, non
certo figli di Maria. Del resto non si può credere che Gesù abbia cominciato ad essere Figlio di Dio, generato e non creato,
della stessa sostanza
del Padre, solo dopo il Concilio di Nicea, nel quale è stato proclamato il dogma della uguale
sostanza delle tre Persone della Trinità, e quindi la
figliolanza divina
di Gesù, che implica
la generazione assai diversa dalla
creazione. Anche il Credo
cristiano fu proclamato in quel Concilio. Dobbiamo
forse intendere che prima di tale data Gesù non era generato ma solo creato dal
Padre?
Certamento
no, il Concilio di Nicea, e quindi il
dogma fu necessario a causa della eresia diffusa da Ario, che predica
un Gesù creato, primo tra tutte le creature,
eresia oggi ripresa
dai Testimoni di Geova.
Lo stesso vale per tutti
gli altri dogmi
cristiani, essi sono stati proclamati ufficialmente solo
quando se ne sentiva la necessità, cioè quando si doveva dare certezza ai fratelli cristiani in balia di
nuove e perniciose eresie.
La prima
contestazione sulla perpetua verginità di Maria, appare solo nel 380 d.C.,
quando un certo Elvidio, nel tentativo di rivalutare i rapporti coniugali tradizionali,
dinanzi alla sopravvalutazione della verginità, dovuta al grande successo del monachesimo, afferma
che anche Maria e Giuseppe
avevano avuto più figli.
A rispondergli è il più famoso
biblista del tempo, S.Girolamo, che, con il trattato De perpetua virginitate Mariae, demolisce
con solidi argomenti le tesi di Elvidio (Messori, 2005).
Curioso che il Santo si pigli tanta pena per difendere
un dogma che verrà dichiarato solo 270 anni dopo. Forse perché non di dogma si
tratta, ma di semplice verità?
Tutto tace per altri 1300 anni.
Solo tra il settecento e l’ottocento salta fuori nuovamente l’ipotesi della multipla figliolanza di Maria, nell’ambito del
protestantesimo liberale, dell’illuminismo, del razionalismo.
Quindi si tratta di una ipotesi
recente, decisamente priva
di quel carattere di sicurezza scientifica con cui viene spacciata, che
contrasta con le certezze di fede proclamate sin dai primordi del cristianesimo.
La sicumera con cui studiosi
profondamente ideologicizzati propongono questa teoria è esemplare:
“Non esiste un problema dei fratelli del
Signore per la storia, ma soltanto per la dogmatica cattolica.” (M.Goguel,
riformato razionalista)
“Soltanto convenienze dottrinali cattoliche (od ortodosse), non i documenti di cui disponiamo, hanno fatto di questi
fratelli dei fratellastri o dei cugini, per difendere la perpetua verginità di Maria. “ (J.Bornkamm, luterano)
“Se,
prescindendo dalla fede e dall insegnamento successivo della Chiesa, lo storico
o l’esegeta è chiamato ad esprimere un giudizio sul Nuovo Testamento e sui
testi patristici che abbiamo esaminato, considerati semplicemente come fonti storiche, l’opinione più probabile è che i fratelli e le sorelle di Gesù siano veri fratelli”
.
(J.P.Meier, sedicente cattolico) (cfr Adriano Stagnaro)
Il presente
capitolo dunque è chiaramente collegato a quello
su Maria.
Qualche pagina addietro
accennavo al fatto che esistono antiche testimonianze che parlano di s.Giuseppe
vedovo -soprattutto nei vangeli apocrifi- che avrebbe avuto figli con la prima
moglie, per cui questi presunti fratelli di Gesù altro non erano che fratellastri,
ma la verità storica ci insegna che per Giuseppe Maria fu l’unica sposa. In
ogni caso, analizzeremo anche l’ipotesi che fratellastri non siano. Uno dei padri che sostenevano la tesi dei fratellastri
è Epifanio di Salamina, vescovo di Costanza, nato nel 315 d.C. Tuttavia
la Chiesa cattolica considera cugini, i “fratelli” di Gesù, menzionati nel Nuovo Testamento,
nelle pagine che seguono, dunque, vedremo se con la stessa Bibbia si può
dimostrare.
«Giuseppe viene chiamato padre del Salvatore non perché lo fosse veramente, come pensavano i Fotiniani, ma perché, al fine di salvaguardare il buon nome di Maria, passasse come padre agli occhi della gente». Nel Vangelo [Lc 3, 23] infatti si legge: «Figlio di Giuseppe, come si credeva».
Oppure, come spiega S. Agostino [De cons. evang. 2, 1], Giuseppe viene detto padre di Cristo per la stessa ragione per cui è detto «sposo di Maria, senza unione carnale, ma in forza del solo matrimonio: cioè molto più congiunto a Cristo che se lo avesse adottato.
Bisogna considerare che il significato delle parole dipende
profondamente dal contesto
in cui sono inserite e dall’ambiente culturale che li usa. Quando un
comunista italiano della metà del ‘900 diceva di <<portare in giro una sua compagna>>, tutti capivano
che si trattava non della sua consorte, ma di una sua collega di partito. Se
invece oggi un tale mi dice <<che ha una compagna>>, io penso
immediatamente alla sua amante o convivente. Così quando leggiamo la parola “fratello” dobbiamo intendere questa
parola così come era intesa nella cultura ebraica di quel tempo, e non secondo
le nostre attuali mode culturali. Se non seguissimo questo elementare
principio di interpretazione della lingua faremmo dei pericolosi anacronismi.
E’ pure il caso ad esempio
della parola “Mare”
citata nei Vangeli,
noi tutti sappiamo
che il luogo dove Pietro e compagni pescavano era un lago, non un mare.
Eppure gli ebrei usavano lo stesso termine per dire “mare o lago”, anche coloro
che hanno tradotto la Bibbia, a cominciare dai Settanta, si sono attenuti a queste usanze, come pure gli
evangelisti del N.T. pur disponendo del termine “lago” contenuto nella lingua
greca ad esempio, hanno scritto “mare”.
L’ipotesi accettata dalle Chiese ortodosse, cioè di s.Giuseppe vedovo, con figli avuti dalla precedente moglie, trova conferma in un Vangelo apocrifo, il Protovangelo di Giacomo (circa 150 d.C.).
Lo stesso documento, chiamato
Libro di Giacomo,
è citato anche da Origene
nel Commentario al Vangelo di
Matteo (246-248 d.C.), proprio in merito alla questione dei fratelli di Gesù.
Purtroppo la scarsa attendibilità storica del documento, comune anche agli altri apocrifi,
non consente di accettare tale scritto come prova.
Esiste la
testimonianza di Eusebio di Cesarea, il quale, in un brano della sua Storia Ecclesiastica
(323-326 d.C.), in particolare in Storia Ecclesiastica 2,1,2, riporta che
Giacomo fratello del Signore era chiamato
figlio di Giuseppe.
Tale documento confermerebbe l’interpretazione dei
Fratellastri, ma più avanti vedremo dalla stessa Bibbia che erano semplicemente
cugini.
Si fa tuttavia
notare che Eusebio,
che utilizza come fonte Egesippo,
un autore cristiano
del II secolo vissuto in
Palestina, la cui opera è andata perduta, afferma testualmente che Giacomo era
chiamato figlio di Giuseppe, non che era figlio di Giuseppe. La questione non è di secondaria
importanza, poiché lo stesso, quando
citerà Simone fratello di Gesù,
preciserà che era figlio dello zio del Signore,
Klopa (St. Eccl. 4,22,4).
Quindi essere chiamato
figlio di qualcuno
non significherebbe automaticamente essere effettivamente suo figlio.
Peraltro S.Girolamo, in De viris illustribus (392 d.C.), afferma
testualmente:
Giacomo, chiamato
fratello del Signore,
soprannominato il Giusto,
alcuni ritengono che fosse
figlio di Giuseppe con un'altra moglie ma a me pare piuttosto il figlio di
Maria sorella della madre di nostro
Signore di cui Giovanni fa menzione nel suo libro.
I protestanti e gli esegeti
storico-critici identificano i fratelli di Gesù con suoi fratelli carnali sulla base delle seguenti considerazioni:
La parola greca adelphòs, derivando dal termine delphus che significa utero, indica il
fratello carnale, figlio della stessa madre. Non esistono esempi, né presso gli
scrittori classici, né presso gli autori ebrei che hanno scritto in greco, né
nello stesso Nuovo Testamento, di documenti che attestino l’uso di adelphos nel significato di cugino. Se
gli evangelisti avessero voluto intendere con tale termine
i cugini di Gesù, avrebbero
adoperato il termine anepsios,
utilizzato, per esempio, in Col 4, 10:
Vi salutano
Aristarco, mio compagno
di carcere, e Marco, il cugino di
Barnaba, riguardo al quale
avete ricevuto istruzioni se verrà da voi, fategli buona accoglienza e Gesù,
chiamato Giusto.
Secondo la testimonianza di Mt 1, 25, Giuseppe
non ebbe rapporti
sessuali con Maria
fino alla nascita del figlio , il che ne esclude la perpetua verginità.
In Lc 2, 7, l’evangelista
riferisce che Maria diede alla luce il suo figlio primogenito. Se Gesù fosse stato figlio
unico, anziché il termine primogenito avrebbe adoperato il termine
unigenito .
Se i fratelli di Gesù fossero
stati veramente cugini, perché vengono elencati per nome assieme alla madre di Gesù in Mt 13, 55-56 ed in Mc 6, 3-4? Allo
stesso modo, l’antitesi fratelli contro discepoli
osservanti riportata in Mt 12, 46-50, Mc 3, 31-34 e Lc 8, 19-21 perderebbe la
sua forza, se Gesù stesse parlando dei suoi cugini. (fin qui i protestanti)
Queste affermazioni sono facilmente confutabili, secondo quanto esposto qui di seguito.
Nei testi di ambiente greco classico, la parola adelphos indica effettivamente il
fratello carnale, figlio degli stessi
genitori. Il concetto
di fratello couterino insito nell etimologia del termine viene tuttavia ampliato ed esteso
ai figli di uno stesso genitore, compreso il padre. Adelphos può quindi
indicare il fratello in senso stretto, oppure il fratellastro.
Non mancano
delle eccezioni a questa
regola.
L’imperatore Marco Antonino, per esempio, chiama
adelphos il padre di suo genero, Severo. Esiste poi un iscrizione greca
risalente al III secolo a.C. in cui
una donna, maritata a suo cugino, viene chiamata sua sorella e moglie .
A volte, poi, il termine adelphos viene utilizzato con intento elogiativo, indipendentemente
dai rapporti di parentela: per es. Caligola
chiama Tiberio, figlio di Druso e di sua zia Livilla, per discendenza cugino, per affetto fratello.
Nei testi ellenistici di
provenienza orientale il termine adelphos
assume una gamma di significati ancora più ampia: secondo l’esperta
papirologia Orsolina Montevecchi (1957),
nei papiri esso può significare fratello (o sorella) in senso stretto,
ma anche cugino,
cognato, parente, marito
(o moglie).
Tale ampiezza di significati è ben
documentata nei testi greci provenienti da ambienti semitici. Nelle lingue
ebraica ed aramaica, che sono lessicamente molto più povere del greco, manca un
termine specifico per esprimere il concetto di cugino o cugina, per cui molto
spesso si ricorre
alla parola fratello (in ebraico ah;
in aramaico aha ) o sorella (in
ebraico hôt; in aramaico ahot ).
Solo per i parenti del fratello
del padre l’ebraico dispone di termini più brevi. Il fratello del padre viene indicato
con la parola dôd. Suo figlio,
ovvero il nipote
per parte di padre, può essere chiamato ben-dôd e sua figlia bat-dôd.
Per indicare il figlio o la
figlia della sorella del padre bisogna ricorrere a complicate circonlocuzioni, che diventano ancora
più complesse dovendo
parlare dei parenti
del fratello o della
sorella della madre, mancando termini adeguati per esprimere questo rapporto di
parentela.
Per evitare lunghi giri di parole,
nel testo masoretico, ovvero nell Antico
Testamento ebraico, è attestato un uso molto ampio della
parola fratello/sorella.
I termini ah ed
aha (fratello), ovvero hôt e ahot (sorella), vengono adoperati per indicare
i rapporti di parentela più vari:
Fratello, ovvero figlio degli
stessi genitori (es. Caino e
Abele):
Adamo si unì a Eva sua moglie, la quale concepì
e partorì Caino e disse:
Ho acquistato un uomo
dal Signore . Poi partorì ancora suo fratello
Abele.
(Gen 4, 1-2)
Fratellastro, ovvero
figlio dello stesso
padre ma di madre diversa
(es. i figli di Giacobbe, avuti da quattro mogli
diverse):
Giuseppe all età di diciassette anni pascolava il gregge con i fratelli. Egli era giovane
e stava con i
figli di Bila e i figli di Zilpa, mogli di suo padre. (Gen 37, 2)
Si noti che Giuseppe, essendo figlio di Rachele, aveva come fratello
effettivo solo Beniamino. Parente, cugino, o comunque
membro del clan familiare:
Abram disse a Lot: Non vi sia discordia
tra me e te, tra i miei mandriani e i tuoi, perché noi siamo fratelli (… ). (Gen 13, 8)
(Abramo chiama fratello il nipote Lot, figlio di suo fratello).
Figli di Macli: Eleazaro
e Kis. Eleazaro morì senza figli, avendo soltanto figlie;
le sposarono i figli
di Kis, loro fratelli. (1Cr 23, 21-22)
(i figli di Kis, fratello
di Eleazaro, sono i cugini
in primo grado
delle figlie di Eleazaro)
Membri della
stessa tribù del popolo di Israele:
Il Signore
parlò a Mosé: Questo riguarda i leviti: da venticinque anni in su il levita
entrerà a formare la squadra per il servizio nella tenda del convegno. Dall età
di cinquant anni si ritirerà dalla squadra del servizio e non servirà più.
Aiuterà i suoi fratelli nella tenda
del convegno sorvegliando ciò che è affidato
alla loro custodia;
ma non farà più servizio.
Così farai per i leviti, per quel che riguarda i loro
uffici. (Nm
8, 23-26)
Amico o alleato:
Perché son caduti gli eroi in mezzo alla battaglia? Gionata,
per la tua morte sento
dolore, l angoscia mi stringe per te, fratello mio Gionata! (2Sam 1, 25-26)
(Davide si rivolge
qui a Gionata, figlio di Saul,
con il quale non ha legami di parentela).
Collega, ovvero persona
che svolge un medesimo incarico
o è investito di una medesima
autorità:
Si legarono
sacchi ai fianchi e corde sulla
testa, quindi si presentarono al re d Israele e
dissero:
Il tuo servo Ben-Hadad
dice: Su, lasciami
in vita! . Quegli domandò:
E ancora vivo? Egli è mio fratello!
. (1Re 20,
32)
(Acab, re d Israele, parla di Ben-Hadad, re di Aram)
Prossimo, ovvero persona verso la
quale si hanno degli obblighi
morali:
Ognuno si guardi dal suo amico,non
fidatevi neppure del fratello,
poiché ogni fratello inganna il
fratello,e ogni amico va sprgendo calunnie
(Ger
9, 3).
Compagno di fede:
In quel tempo
diedi quest ordine
ai vostri giudici:
Ascoltate le cause dei vostri fratelli e giudicate con giustizia le questioni
che uno può avere con il
fratello o con lo straniero che sta presso
di lui (Dt 1, 16).
In tutti questi casi, la traduzione in greco detta dei
Settanta , realizzata tra il III ed il
I sec. a.C., comprendente il testo masoretico ed altri scritti,
chiamati deuterocanonici, adopera il termine adelphos.
Anche gli
scritti del Nuovo Testamento furono redatti in un greco ellenistico ricco di
semitismi e in essi la parola
adelphos è caratterizzata dalla stessa ampiezza
di significati che caratterizza il termine
ebraico/aramaico che sta per fratello nel testo masoretico.
Vediamo alcuni esempi della polisemia della
parola adelphos nel Nuovo Testamento:
Fratello in senso stretto (figlio degli stessi genitori):
Andando oltre,
vide altri due fratelli, Giacomo di Zebedeo
e Giovanni suo fratello, che nella barca insieme con Zebedeo, loro padre,
riassettavano le reti; e li chiamò (Mt 4, 20)
Tra costoro
Maria di Magdala,
Maria madre di Giacomo e di Giuseppe,
e la madre dei figli di
Zebedeo (Mt
27, 56)
(Giacomo maggiore
e Giovanni, apostoli, erano figli di Zebedeo e di Salome). Fratellastro (un solo genitore
in comune):
Nell anno decimoquinto dell impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio
Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca
della Galilea e Filippo, suo fratello, tetrarca dell Itumea
e della traconitide ( ) (Lc 3, 1)
Erode Antipa
e Filippo erano
entrambi figli di Erode il Grande, ma avevano madri
diverse: Maltace e Cleopatra
di Gerusalemme.
Parente o cugino:
Il caso specifico si riferisce proprio
ai presunti fratelli
di Gesù, come verrà dimostrato in seguito. Per ora
soprassediamo.
Discepolo di Gesù:
Ma voi non fatevi chiamare
rabbì , perché uno solo
è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli
(Mt23, 8)
Compagno di fede, credente:
La grazia
del Signore nostro Gesù Cristo sia con il vostro spirito, fratelli. Amen. (Gal 6, 18)
Se ne può concludere che l
uso della parola adelphos nei
Vangeli, nonostante il significato etimologico
del termine, non indichi necessariamente il fratello carnale,
figlio degli stessi genitori,
ma venga utilizzato in accezione più ampia, fino a definire vari gradi di
parentela o di comunanza spirituale.
Il termine anepsiòs, che nel greco classico significa
effettivamente cugino, nei testi ellenistici di origine semitica viene utilizzato per indicare una parentela
piuttosto remota, di grado non ben definibile, comportante spesso anche una
distanza geografica:
Partirono
insieme di buon mattino per andare alle nozze. Giunti da Raguele, trovarono
Tobia adagiato a tavola. Egli saltò in piedi a salutarlo e Gabael pianse e lo benedisse: Figlio ottimo di un uomom ottimo, giusto e largo di elemosine, conceda il Signore la benedizione del cielo a te, a tua moglie,
al padre e alla madre di tua moglie. Benedetto
Dio, poiché ho visto
mio cugino Tobi, vedendo te che tanto gli somigli! (Tb 9, 6)
Gabael e Tobi erano parenti alla lontana ed abitavano molto distanti: il primo
a Ninive
(Mesopotamia), il secondo a Ecbatana (Media).
Il grado di parentela non è chiaro,
poiché, in Tb 7,
2, Gabael chiama Tobi mio fratello .
Nel Nuovo
Testamento, il termine è utilizzato solo in
Col 4, 10 per indicare la lontana parentela tra Marco e Barnaba. Essi sono distanti
anche geograficamente, dato che il primo abita
a Gerusalemme ed il secondo è
originario di Cipro.
Vi salutano Aristarco, mio compagno di carcere, e Marco, il cugino di Barnaba,
riguardo al quale avete ricevuto istruzioni se verrà
da voi, fategli buona accoglienza e Gesù, chiamato Giusto.
(Col 4, 10)
Nel caso
dei fratelli di Gesù , essi vivevano in stretto contatto con lui ed erano
parenti assai prossimi: se fossero
stati cugini di primo grado, il greco ellenistico dei Vangeli non avrebbe
adoperato il termine anepsioi.
Infatti, nell unico caso in cui la parentela
è chiara ed indica un legame di cuginanza di primo grado, il greco biblico usa proprio il
termine adelphos:
Figli di Macli:
Eleazaro e Kis. Eleazaro morì senza figli,
avendo soltanto figlie;
le sposarono i figli
di Kis, loro fratelli. (1Cr 23, 21-22)
Esaminiamo il punto successivo.
Il testo che viene citato
dagli storico-critici contro la verginità di Maria
è il seguente:
Destatosi dal
sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l angelo del Signore e prese con
sé la sua sposa; ma non si accostò a lei, fino alla nascita
del figlio; e gli pose nome Gesù. (Mt 1, 24-25)
(Testo tratto dalla Nuovissima versione della Bibbia, 1991)
Qualche manoscritto della versione siriaca
aggiunge (o sostituisce) a non si accostò a lei
la frase
e visse santamente con lei .
La traduzione interlineare di A.Bigarelli (1998)
suona così:
Alzatosi
allora Giuseppe da il sonno, fece come ordinò a lui l angelo del Signore e
prese la moglie di lui, e non conobbe lei finché non partorì (un) figlio; e chiamò il nome di lui Gesù (Mt 1,
24-25)
Una lettura superficiale del
testo potrebbe lasciar supporre che, con le parole fino a o finché non, l’evangelista volesse intendere che Giuseppe non toccò Maria
prima della nascita
di Gesù, ma che in seguito lo
fece, ma questo lo approfondiremo più avanti.
“Nel tentativo di giustificare
il loro rifiuto verso la verginità perpetua di Maria, evangelici ed
evangelicali sono costretti a forzare il significato dei termini “finché” e
“fratelli” dando ad essi un solo e singolo significato. Ridicolizzano pure la Chiesa
cattolica, attribuendogli non meglio precisate
intenzioni di sostituire in toto la parola “fratello” con “cugino” ovunque
se ne incontri una. Non è
così, non si può attribuire alla Chiesa cattolica una tale sciocchezza, sarebbe
più corretto precisare che anche i
cugini vengono inglobati nel “fratello” scritto dagli ebrei. Non si può
tradurre scelleratamente fratello=cugino, ogni volta che si incontra tale
termine, bisogna sempre tener conto del contesto. Così affermano, come fanno
diversi autori protestanti, che per i cattolici il termine adelfòs (letteralmente fratello) vuole, quando è applicato agli adelfòi (letteralmente fratelli) di Gesù, dire sempre e solo
"cugino". Non è vero!
Per quanto riguarda il termine "finché" sono ovviamente costretti a sostenere che "finché" indica sempre la fine di un’azione e l’inizio di un’altra. Non è vero!”
(cfr, del fratello Massimo del sito
Difendere la vera fede)
In greco, obiettano i fratelli non cattolici, esistono
due termini diversi
per indicare rispettivamente fratello e cugino, adelphos=fratello, anepsiòs=cugino, questo è parzialemente vero, ma dimenticano che i
Vangeli sono stati scritti in greco raccontando episodi ebraici, raccontano il
modo di esprimersi e di comportarsi del popolo ebraico, che sicuramente non è uguale a quello del popolo greco, né di
quello occidentale. Sul vocabolario di Greco – Rocci, usato nelle
università e nei licei,
il termine Adelphos,
viene tradotto con “fratello”, lo stesso dizionario, come è solito di tutti i dizionari, riporta anche altri
significati attribuiti alla stessa parola, tra questi il Rocci dice che
Adelphos può essere usato anche per indicare un “parente, connazionale, membro
della stessa tribù”. Il termine “fratello” pronunciato da un ebreo quindi
poteva significare anche compatriota, compaesano, membro della stessa tribù,
cugino di primo grado, parente stretto, nipote, di questi esempi ne troviamo
diversi nella Bibbia, stranamente però in un libro scritto da Jean Gilles (protestante) intitolato “I fratelli e sorelle di Gesù” ed. Claudiana, di esempi relativi
al Vecchio Testamento ne vengono riportati solo tre. In questo modo si
induce il lettore a ritenere che esistano i tre soli esempi riportati
dall’autore, quando invece di esempi se ne trovano molti altri, li vedremo più
avanti.
Nei testi ellenistici di provenienza orientale il termine adelphos assume una gamma di significati
ancora più ampia: secondo l’ esperta papirologia Orsolina Montevecchi (1957),
nei papiri esso può
significare fratello (o sorella) in senso stretto, ma anche cugino, cognato,
parente, marito
(o moglie). Tale ampiezza
di significati è ben documentata nei testi greci
provenienti da ambienti semitici. Per sapere chi è la
papirologa Montevecchi, e conoscere e il suo potete usare il link seguente su
Internet.
http://niconarsi.tumblr.com/post/74784650/orsolina-montevecchi-in-memoriam
Abbiamo visto che esiste una iscrizione greca risalente al III secolo
a.C. in cui una donna,
maritata a suo cugino, viene
chiamata sua sorella e moglie.
Più avanti vedremo nella stessa Bibbia chi sono in realtà
i fratelli di Gesù, per ora continuiamo ad analizzare altri elementi.
L’imperatore Marco Antonino, per esempio, chiama adelphos
il padre di suo genero, Severo. La
cultura ebraica era molto diversa da quella greca, e se Paolo in una occasione
usa il termine “cugino” per indicare la parentela tra Barnaba e l’evangelista
Marco, non rappresenta certo una prova. In tal senso bisogna chiedersi come
mai, i protestanti fautori dei due o tre versetti, che confermerebbero una
verità, non si siano accorti che nel N.T. cugino anepsios viene usato solo nella lettera ai Colossesi 4,10 e in un solo versetto, quello
del saluto finale.
In compenso Paolo
per quasi 120 volte usa il termine “fratello” per indicare una comunanza
spirituale o un legame che non è quello uterino e, spesso, neanche familiare.
Sappiamo ad
esempio che Maria era cugina di Elisabetta la madre di Giovanni, ma nella
Bibbia non troviamo scritta la parola
anepsios riferita alle due, e nemmeno per indicare il legame
di parentela tra Giovanni il battista e Gesù.
I figli di cugini,
sono a loro volta cugini, misteriosamente però chiunque (oltre ai genitori) rapportato
a Gesù non viene indicato con termini di parentela, ma come fratello.
Le differenze interpretative che dividono cattolici
e protestanti, si incentrano prevalentemente sul significato letterale che vogliono dare a taluni versetti i
fratelli protestanti, mentre per altri, adottano anche loro l’interpretazione,
non sempre corretta, come ad esempio nel caso dell’Eucaristia. A proposito del
significato di certi versetti i fratelli non cattolici che amano interpretare
alla lettera la Bibbia dovrebbero chiedersi perché ad esempio Luca (14,26)
riporta le seguenti parole di Gesù:
“Se uno viene a me e non
odia
suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere
mio discepolo”.
In particolare dovrebbero chiedersi come mai Luca usa la
parola “odia”, infatti a prima vista
sembrerebbe che Gesù ci chieda di odiare i nostri genitori, i nostri figli e
fratelli, solo così saremo degni di Lui. Eppure in greco c’erano
altri termini per esprimersi in maniera meno equivoca, Luca poteva benissimo scrivere “se uno ama
suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli…più di
me non è degno di me” eppure nonostante scriva in greco usa i modi espressivi, propri, degli ebrei, ammesso che in greco scriva, alla
luce delle recenti ricerche. Interpretando alla lettera come fanno (o dicono di
fare) i fratelli protestanti questo brano di Luca però ci sta dicendo di odiare
i nostri familiari. Nella Bibbia ci sono parecchi altri versetti che
prendendoli alla lettera si sbaglia, fra i più
clamorosi troviamo senz’altro i versetti che consigliano di tagliare una mano
che ci è d’inciampo, o di cavarci un occhio e, come abbiamo accennato, troviamo
pure i versetti che ci parlano dell’Eucaristia.
“...chi non mangia la mia carne e beve il mio sangue non avrà la vita eterna…” e “…questo è il
mio corpo offerto in sacrificio per voi, prendete a mangiatene tutti…”.
Ecco il chiaro-scuro che troviamo spesso negli insegnamenti biblici.
Quando si incontrano versetti come
quelli appena citati i fratelli protestanti li interpretano, contraddicendosi vistosamente. Ma allora non è
affatto vero quello vanno dicendo (cioè che la Bibbia è facile da capire e non
si interpreta) perché è palese che quando fa comodo loro, alcuni versetti non
li prendono alla lettera, bensì li interpretano. Il chiaro-scuro della Bibbia,
che usa Dio per istruirci, per un atto di infinita misericordia, lascia
abbastanza luce per chi vuole credere, e abbastanza ombra per chi non vuole. Se
tutto fosse chiaro e lampante, chi non crede non avrebbe scusanti, verrebbe
condannato inesorabilmente, ma Dio è amore, e non vuole
condannare nessuno, se non
chi, pur conoscendo, rifiuta Gesù Cristo, bestemmiando quindi contro lo Spirito
Santo.
Chi si illude però che alla luce dell’infinita misericordia di Dio l’inferno sia vuoto farebbe
bene e riflettere sulla frase
pronunciata da Gesù in Mt 8,12; i demoni non hanno denti e neppure piangono,
quindi è, e sarà, qualcun altro a farlo.
Abbiamo visto
in Luca, un chiaro esempio
di come si debba conoscere bene il linguaggio ebraico antico, e quel particolare modo di espressione, altrimenti si cade facilmente nell’errore. La parola “odiare” per gli ebrei non aveva lo stesso significato
odierno che ha per noi occidentali, oggi con “odio” indichiamo disprezzo, inimicizia, ostilità, malevolenza, ecc.,
ma ai tempi di Gesù (e anche prima) gli ebrei con “odiare”
intendevano solo “amare di meno”, per gli ebrei “odiare” non significava
disprezzare, ma solo “amare di meno” quindi nella mentalità ebraica “odio” non
significava “disprezzo”. Ecco come alla luce
di questo semplice esempio
possiamo capire perché l’evangelista
ha usato il verbo “odiare”; Gesù,
quindi, non ci dice di “odiare” i nostri parenti, ma solo di amarli meno di Lui, di mettere al primo posto Lui. Ma, senza la opportuna conoscenza del linguaggio e dei costumi degli antichi ebrei, avremmo
capito correttamente la frase che Luca ci racconta? Sicuramente no!
Non tutti gli odierni
protestanti sanno che i loro padri nei primi secoli della Riforma credevano
nella perpetua verginità di Maria.
“Sia Lutero che Calvino difesero
a spada tratta la verità
di fede, insegnata sin
dall’antichità, della verginità perpetua di Maria. E fra’ Martino, con la
consueta acerbità di linguaggio (i cultori del dialogo non lo mettano tra i
loro autori!), definì <<pazzi e villani>> i pochi eretici che
avevano negato questa credenza. Più di un secolo dopo, a metà del Seicento, la
confessione di fede dei calvinisti, l’ala protestante più dura, confermava che,
anche secondo i riformati, continuava ad essere vero che <<Gesù nacque
dalla Vergine Maria che è rimasta vergine prima, nel e dopo il parto>>.
Dunque anche i padri della Riforma
smentiscono drasticamente questi loro lontani discendenti che in effetti
oggi, a larga maggioranza, non hanno alcuna esitazione nel metter da parte,
come relitto sessuofobico del passato, la verginità perpetua di Maria; e
nell’affermare –con sicurezza che in realtà non è affatto fondata, come
vedremo- che, poiché dovere del solito <<credente adulto>> è
prendere sul serio la Scrittura, e giocoforza ammettere che Maria non fu che la
consueta sposa palestinese, carica di figli: almeno quattro maschi e due
femmine, se non di più” (cfr V.Messori, Ipotesi su Maria).
Evidentemente chi li istruisce ha cura di non rivelare
tutta la loro storia,
tralasciando volutamente quella più
scomoda, che indubbiamente susciterebbe diversi interrogativi nei fedeli più
attenti.
Facciamo un altro
esempio di come cambia col tempo il significato certi
termini.
Se io infatti scrivo “a causa
di un paradossale equivoco, avevamo capito, che l’aereo di mia nonna stesse precipitando…” nessun italiano oggi mi fraintende, ma con molta probabilità uno straniero che leggesse questa frase
dopo diversi secoli capirebbe che mia nonna possedeva un aereo “… l’aereo di mia nonna…”.
Questo modo di scrivere
e di parlare che risulta
familiare ed elementare oggi agli italiani, potrebbe generare equivoci nei secoli futuri a popoli stranieri
che leggessero questa frase, eppure nessuno scrittore contemporaneo andrebbe a
specificare che con la frase “l’aereo di mia nonna” non si indica la proprietà legale dell’aereo, ma bensì “l’aereo
su cui viaggiava mia nonna”,
questo perché tra i
potenziali lettori odierni nessuno fraintenderebbe. Qualcuno potrebbe obiettare
che un bravo scrittore deve prevedere il mutamenti dei modi espressivi e dei
costumi, quindi potrebbe aggiungere qualche nota esplicativa, al fine di
evitare fraintendimenti futuri. Sì, ma il bravo scrittore sa pure che ogni
storico serio si deve preoccupare di confrontare l’opera che sta leggendo con
altre della stessa epoca, per meglio capire i modi espressivi propri di
quell’epoca e magari di un popolo in particolare. Quindi non è affatto scontato
l’aggiungere note esplicative ad ogni frase che si scrive.
Ecco perché è fondamentale
conoscere bene le lingue e i costumi degli antichi ebrei, perché sicuramente il loro modo di esprimersi non è uguale
al nostro. I modi espressivi occidentali non
rappresentano l’universalità dei linguaggi, tuttavia noi occidentali siamo
abituati a pensare e spiegare tutto con i nostri canoni linguistici,
sbagliando. Le mentalità dei popoli spesso differiscono enormemente, e
l’occidentalizzare la lingua e i modi espressivi ebraici ci porta sicuramente a
sbagliar strada.
Abbiamo visto che gli ebrei
con la parola “ah” (=fratello) esprimevano la parentela in genere o addirittura
semplicemente compaesano o compatriota; essi quando volevano indicare un
fratello germano (=uterino, di sangue) ricorrevano ad espressioni più lunghe, come “figlio di suo fratello”, “figlio di sua madre” ecc..
Gesù è sempre indicato come figlio di Maria. GLI ALTRI MAI.
Le parole greche che
significano “fratello e “sorella”, non sempre in senso stretto ed anche in
senso traslato, traducono termini ebraico-aramaici che oltre a designare i
figli di stessi genitori, designano anche parenti
prossimi, specialmente per consanguineità, senza specificare il grado di parentela.
Per i vari gradi di parentela, poi, le due lingue non possiedono neppure
tutti i vari termini che hanno le nostre lingue odierne.
Dimostreremo -come accennato in apertura- che i fratelli
di Gesù menzionati nella Bibbia in realtà sono suoi parenti.
Chi avrebbe il dovere di
confrontare e verificare, per “mestiere” sono i teologi, ma “ciò che
chiaramente determina l’atteggiamento degli studiosi protestanti (e di qualche
cattolico deviato) è la convinzione che la tesi cattolica (“cugini” o, comunque
, membri del clan familiare) non sia il frutto di una ricerca rigorosa sui
documenti storici, bensì conseguenza obbligata della dottrina della perpetua
verginità di Maria che ogni cattolico è tenuto a credere. Ha scritto il
riformato razionalista Maurice Gougel: <<Non esiste un problema dei
fratelli del Signore per la storia ma soltanto per la dogmatica
cattolica>>. O il luterano Joseph Bornkamm: <<Soltanto convenienze
dottrinali cattoliche (od ortodosse), non i documenti di cui disponiamo, hanno
fatto di questi fratelli dei fratellastri o dei cugini,
per difendere la perpetua verginità di Maria>>. Questa
è pure la tesi di qualche
teologo cattolico progressista. Il professor Joseph Blinzer
grande esegeta tedesco
ci dice che: <<Possiamo dimostrare che ci troviamo di fronte a un preconcetto e che l’interpretazione cattolica
dell’espressione “fratelli del Signore” non è aprioristica, non è difesa
astratta di un
dogma, bensì prende seriamente in considerazione la testimonianza della storia, vale a dire del
Nuovo Testamento e della Tradizione più antica>>.
Una sfida che, però è rimasta
ancora una volta inascoltata: come notava, con amarezza, lo stesso Blinzer,
<<se c’è una differenza nel modo con cui l’esegesi protestante e quella
cattolica presentano le loro posizioni, essa consiste nel fatto che da parte cattolica si ha cura di tenere
conto degli argomenti della controparte, per replicare; mentre gli
autori protestanti di regola ritengono superfluo perdere ancora tempo e
procedere al confronto>>.
Una sorta di complesso un po’
sprezzante di superiorità -complesso non limitato peraltro a questo tema- con
cui specialisti che dicono di rifarsi alla Riforma (i cui fondatori, lo
ripetiamo, in realtà danno loro torto:
ma si ha cura di non farlo
sapere) guardano a quegli attardati, miracolisti, magari
superstiziosi cattolici, per i quali sarebbero importanti banali questioni
trivialmente ginecologiche come la verginità perpetua della madre di Gesù.”
(Cfr. V. Messori, Ipotesi su Maria.)
In effetti fino all’anno
380 non ci fu problema
alcuno sull’interpretazione della parola “fratello” nel contesto biblico.
“L’equivoco fu volutamente provocato da Elvidio, un oscuro laico che si
inseriva nel dibattito allora rovente sulla superiorità del celibato religioso
rispetto al matrimonio. L’esplosione del fenomeno del monachesimo (quasi come un sostituto al martirio), dopo i provvedimenti liberali di
Costantino, portava una tale sopravvalutazione della verginità e a una così
forte diffidenza verso i rapporti coniugali da provocare una reazione vivace.
Il pamphlet di Elvidio si inseriva in questa polemica ed era <<basato non
sull’antica Tradizione ma su un’esegesi del Nuovo Testamento certamente errata,
da dilettante>>. Così Blinzer. Ciò che l’oscuro polemista voleva era replicare ai fautori della superiorità
del monachesimo, cercando di dimostrare che anche Giuseppe e Maria avevano
fondato una famiglia che, oltre al Primogenito, aveva avuto molti altri
figli.
Partiva dunque non da un approfondimento dei testi della fede, bensì
da una tesi prefissata per
la quale trovare giustificazioni.
Il maggiore biblista
del tempo era san
Girolamo che, probabilmente non avrebbe replicato a un polemista così mediocre, rispetto a
lui. Ma, sollecitato da persone autorevoli (era allora a Roma e non in Oriente
dove, soprattutto il Palestina, visse a lungo), scrisse un trattato: De perpetua virginitate Mariae.
Quell’incauto dilettante di Elvidio era fatto a pezzi dal focoso santo, che
conosceva ogni riposta sfumatura della Scrittura e delle lingue, ebraico e
greco, in cui è scritta, tanto da darci la traduzione in latino che è restata
canonica. Per Girolamo, comunque, i “fratelli” e le “sorelle” di Gesù erano cugini e non
figli di Giuseppe: e lo dimostrava con argomenti la cui sostanziale validità è
riconosciuta anche oggi.
Tutti i grandi
scrittori cristiani, sia allora che dopo,
plaudirono all’opera, divenuta
classica.
Da allora non ci furono
praticamente altre discussioni su Gesù come unico figlio nato per opera dello Spirito
Santo; come ricordavo, neppure da parte della Riforma.
La tesi di Maria come madre
di famiglia numerosa rinacque solo tra Sette e Ottocento, nell’ambito del protestantesimo liberale, dell’illuminismo, del
razionalismo. Anche se da molto tempo è preponderante tra gli evangelici – e
insidia ora i cattolici complessati-, non va dimenticato che, malgrado la
sicurezza
<<scientifica>> con cui è spacciata, è una teoria
recente, limitata a dei professori e contrasta con la certezza di fede espressa
unanimemente per tanti secoli. Ultimamente si è cominciato a fare i conti con
il fatto che almeno tre dei Vangeli sarebbero la traduzione in greco di un testo aramaico; e che, dunque, dietro
alle espressioni elleniche c’è un sostrato semita, non di rado tradotto in modo
impreciso. Tra l’altro, queste indagini -che stanno dando risultati
sorprendenti- contribuiscono a rendere sempre meno salda quella esegesi
cosiddetta <<storico-critica>>.
All’orizzonte si affaccia
quindi l’ipotesi, sempre
più reale, che i Vangeli sono stati scritti
prima dell’anno 70, in lingua aramaica.
Per quanto ci interessa qui,
alla luce delle nuove ricerche prendiamo, per esempio, le nozze di Cana dove,
dice Giovanni (2,1s.), <<c’era la madre di Gesù. Fu invitato anche Gesù
con i suoi discepoli>>. Non c’è traccia dei <<fratelli>>, che compaiono però alla fine dell’episodio: <<Dopo questo fatto, discese a Cafarnao insieme
con sua madre, i fratelli
e (in greco: kai) i suoi discepoli e si fermarono là solo pochi
giorni>>. (2,12).
Sentiamo Josè Miguel
Garcia, uno dei biblisti che stanno aprendo
nuove strade, indagando ciò che
<<sta dietro>> alla lingua in cui
leggiamo i Vangeli: <<La particella greca kai traduce testualmente un waw
aramaico, che spesso corrisponde alla congiunzione copulativa italiana e.
Ma, in questo caso, il waw è
esplicativo e il suo equivalente italiano è “cioè, vale a dire, ossia”. Nel greco dei Vangeli non sono rari i
casi in cui questa congiunzione greca riveste tale significato>>. Per esempio, Marco 15,1:
<<I sommi sacerdoti, con gli anziani, gli scribi e (kai)
tutto il Sinedrio…>>. Incomprensibile,
visto che quelle tre categorie
rappresentavano già
<<tutto il Sinedrio>>. In realtà, nell’originale aramaico c’era anche qui un waw che non è stato tradotto correttamente come
esplicativo ma come copulativo. La frase, dunque, va letta come
<<I sommi
sacerdoti, con gli anziani e gli scribi, cioè tutto il Sinedrio>>: l’evangelista, prima di alludere all’insieme del tribunale,
specifica con precisione storica i suoi componenti.
Per tornare a Cana e al
biblista spagnolo: <<Anche il contesto del racconto di quelle nozze
richiede che al greco kai sia
attribuito il valore di cioè>>. In effetti,
<<all’inizio, Giovanni menziona come accompagnatori di Gesù sua madre e i
suoi discepoli. Allora, perché, alla
fine dice che discese a Cafarnao con la madre, i fratelli e i discepoli? La
congruenza narrativa tra l’inizio e la fine del racconto richiederebbe che anche nella
parte finale vengano
menzionati solo due gruppi di
accompagnatori: sua madre e i suoi discepoli.
E ciò diventa perfettamente
possibile leggendo la congiunzione greca come particella esplicativa>>.
Dunque, il testo andrebbe letto correttamente così: <<Dopo questo fatto,
discese a Cafarnao insieme con sua madre
e i suoi fratelli, cioè i suoi discepoli, e si fermarono
là solo pochi giorni>>.
Ma il professor Garcia
aggiunge un altro rilievo che ci sembra portare una conferma: <<Se si
trattasse di veri e propri
fratelli, sarebbe ovvio supporre un ritorno a Nazareth, dove tutti avevano la casa. Se si recano a Cafarnao,
la città scelta da Gesù come base per il suo operato in Galilea, è
semplicemente perché i suoi accompagnatori non sono fratelli o altri familiari,
bensì discepoli.
Di conseguenza, questo versetto
di Giovanni specifica
con chiarezza chi siano davvero
questi “fratelli”>>.
I Vangeli sono davvero
chiari, parlando de <<l’altra Maria>> ai piedi della croce
(lo vedremo nel dettaglio più avanti, ndr) ed
escludendo dunque che quella che è per noi la santa Maria per eccellenza fosse la
madre almeno di due di quelli che vengono
chiamati <<fratelli del Signore>>. Ma, come ribadivamo spesso
proprio coloro che dicono di volersi basare sulla Scrittura, e su quella soltanto, evitano poi di confrontarsi con ciò che contrasta con quanto si vuol dimostrare: in questo caso, che colei che per i cattolici è la Donna per
eccellenza (la <<Madonna>>), sbrigatasi della prima gravidanza – quasi una sorta di
incarico a termine datole
dal Cielo, che necessitava di una femmina ebrea -non fu che una madre
nella norma e, come tale, il contrario stesso di una vergine. E’ chiaro che dietro a questo
c’è la demitizzazione protestante di Maria, il voler toglierle quelli che sono considerati
<<assurdi e antibiblici privilegi>>, forse anche l’eterna
tentazione ariana: Gesù come <<uomo di Dio>> ma non <<Figlio di Dio>>, come <<grande Iniziato>>, non come <<Redentore e Signore>>.
Certo, riesce difficile capire
come specialisti del Medio Oriente antico non vogliano accettare un fatto ovvio
e che può constatare anche oggi chi viaggia da quelle parti:
dietro il greco
dei Vangeli Adelfòs, fratello, c’è l’aramaico aha, o l’ebraico ‘ah, che può significare
al contempo fratello di sangue, fratellastro, cugino,
nipote ma anche discepolo, alleato,
membro della stessa tribù, sino al
<<prossimo>> in
generale, purché della medesima città o nazione. Ancora adesso, non esiste
nell’ebraico moderno un termine per distinguere il fratello dal cugino e
occorre ricorrere a espressioni come <<figlio della stessa madre (o dello
stesso padre)>>. Nell’Antico Testamento ci sono
centinaia di passi (e li vedremo più avanti, ndr) dove la parola
<<fratello>> è usata per indicare le parentele o le prossimità più
diverse.” (cfr. V.Messori, Ipotesi su Maria)
Gilles (protestante), nel suo
libro, cita soltanto tre episodi del V.T. dove compare la parola “fratello” intesa ai parenti,
e precisamente Gen 13,8; 14,16;
29,15; Lev. 10,4;
1Cr. 23,22, e ci dice a pag. 25, che la Bibbia stessa
precisa che in realtà si tratta di parenti, cosa che non fa mai nel Nuovo
Testamento riguardo ai fratelli di Gesù. Ma è corretto citare solo questi tre episodi per asserire una tesi
simile?
Secondo la distorta prassi
protestante, bastano due o tre versetti per confermare una verità, ma in
questo caso i tre episodi citati dal Gilles -che si definisce cattolico, senza
precisare se romano-, calpestano almeno una cinquantina di altri episodi che
vedremo più avanti.
Per passare al Nuovo Testamento,
abbiamo accennato che Paolo per quasi
120 volte (Anche qui il Gilles stranamente non menziona questi episodi, ma
va a beccare solo quello in cui Paolo usa anepsios
per indicare Barnaba,ndr), usa il
termine <<fratello>> per indicare una comunanza spirituale o un legame
che non è quello uterino e, spesso, neanche familiare. Proprio per questo gli evangelisti – o i traduttori
dall’aramaico al greco- non esitarono a usare la parola <<fratello di
Gesù>>, all’uso generale del tempo, sicuri di non essere fraintesi da
alcuno. Così è ancora in Oriente (anche l’arabo moderno, come l’ebraico
attuale, non ha un termine per distinguere i fratelli dai cugini), è in Africa
e in tutte le culture tradizionali. Mi diceva un missionario che quel che
sembra un problema per i biblisti europei o nordamericani- spesso
incredibilmente persuasi che le loro categorie siano universali, dunque anche
quelle dei tempi biblici- non lo è affatto per i suoi seminaristi neri, nelle
cui lingue e dialetti esiste solo il termine <<fratello>> per
indicare la parentela più vasta o l’appartenenza alla tribù. Per indicare senza
equivoci la provenienza dallo stesso seme e utero, l’Africa dice:
<<stesso padre, stessa madre>>. La Scrittura ci viene da un
universo che non è quello dell’Occidente moderno, da un universo semitico,
orientale, mediterraneo dove la fratellanza non è quella ristretta delle nostre
famigliole mononucleari, rinchiuse ciascuna nell’alloggetto dei condomini
metropolitani. Non a caso, come ricordavo, nei primi secoli non ci fu alcun
equivoco sul termine “fratello del Signore”.
Del resto, anche l’italiano ha un caso simile di carenza linguistica: distingue i fratelli
di sangue dai cugini, ma usa lo stesso termine, <<nipote>>, per indicare sia i figli dei figli che i figli dei fratelli. Aggiunge ancora
Blinzer: <<Come si può dedurre dal silenzio dei Vangeli su Giuseppe,
questi deve essere morto presto. Dopo la sua morte, Maria con suo figlio, deve essersi unita alla famiglia del suo (o dei suoi?) parenti più prossimi. I figli di questa famiglia (o famiglie?), cresciuti insieme a Gesù,
furono chiamati dalla popolazione suoi fratelli e sorelle, perché non esisteva
nelle lingue semitiche altro termine conciso per indicarli>>.
Esiste, in greco, una parola per indicare cugino,
(l’abbiamo vista, ndr). Ma anche la
versione greca della Scrittura ebraica, quella detta
dei Settanta, compiuta
poco più di un secolo
prima di Cristo, non la impiega quasi mai, preferendo anch’essa
tradurre adelphòs. Nei Vangeli, poi,
deve esserci stato un motivo in più: meglio il termine generico
<<fratelli>>, visto che probabilmente non di soli cugini si
trattava ma di un clan eterogeneo, di un <<gruppo di
pressione>>, per dirla con
Ravasi, e occorreva dunque un termine che li indicasse tutti. Ricordiamo
l’episodio famoso e talmente significativo che finì col far breccia addirittura
nel criticismo impenetrabile di Ernest Renan. Questi, nelle prime edizioni
della sua celeberrima e razionalista Vita
di Gesù, accettò l’ipotesi dei fratelli e delle sorelle carnali che
cominciava a diffondersi nel protestantesimo liberale. Ma a partire dalla decima edizione
di quel Vita e, poi, in
studi successivi, Renan si ricredette:
fu forse la prima ed unica volta in cui ritrattò una sua convinzione in
contrasto con la prospettiva cattolica. Ci ripensò a causa, soprattutto, della
riflessione sul drammatico e patetico episodio
di Giovanni 19,25ss., dove Gesù morente
affida la Madre <<al
discepolo che egli amava>>: <<”Donna ecco tuo figlio!”.
Poi disse al discepolo: “Ecco
la tua madre!”. E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa>>.
Aggiunge ancora Blinzer: <<Se Maria avesse avuto altri figli (e figlie),
sarebbe eccezionalmente singolare
che Gesù morente
avesse affidato la madre al discepolo. Gesù conscio
che avrebbe lasciato la madre veramente sola, cioè senza figli reali che si
prendano cura di lei, impegna il più fidato dei discepoli ad averne cura come della propria madre.
[…] perché considerò necessario prendere in extremis
una simile decisione?
Essa è comprensibile solo se Gesù era l’unico
figlio di Maria,
ma sarebbe sembrata
molto strana se ci fossero
stati altri quattro figli maschi, con i quali ella, come aveva rapporti prima
–come risulta dai evangeli – continuò ad averne anche dopo (Atti 1,14). La tesi
protestante che vede l’affidamento di Maria a Giovanni una conseguenza della
scarsa fede dei fratelli, che non potevano dunque offrire un supporto
spirituale a Maria, cozza contro la scena di Atti che vede questi “fratelli”
assidui nella preghiera riuniti assieme a Maria e agli apostoli. In tre anni di
predicazione fatta da Gesù non avrebbero creduto, e poi in appena una
cinquantina di giorni diventarono addirittura assidui nella preghiera.
Un fatto simile sicuramente era possibile, tutto è possibile a Dio, ma appunto per questo, e per la preveggenza di Gesù, non c’era bisogno
di affidare Maria a Giovanni. Con
tale atto di affidamento, Gesù avrebbe
tolto a degli uomini adulti –
che, come lui, erano veri figli di Maria e che finora le erano stati legati
strettamente- il diritto di continuare a vedere in lei la propria
madre>>. Comprensibile la
conclusione, un po’ sdegnata, del biblista tedesco: <<Che razza di
atteggiamento vorrebbero attribuire a Gesù morente!>>.
Forse, se Gesù si intenerisce
sino alle lacrime vedendo un funerale e interviene addirittura per resuscitare
il defunto, a Naim, è perché, come precisa il Vangelo, il giovane era
<<figlio unico di una madre vedova>>: la stessa situazione in cui
presto si sarebbe trovata anche sua madre e cui volle porre rimedio negli
ultimi istanti di vita, poiché
era impensabile che una donna vivesse sola. Ma l’esemplare ripensamento di Renan, maestro suadente (<<un
marron glacé con dentro degli aghi>>, come lo definiva Mauriac) di ogni
razionalista ottocentesco, fu determinato anche dall’osservazione che, mentre
dei <<fratelli>> e <<sorelle>> non si dice mai
<<figli di Maria>>, Gesù è invariabilmente chiamato <<il
figlio di Maria>>. Il, dunque, non un, come a specificare
che era il solo. Non basta: nel mondo ebraico, e semitico in generale, il
figlio non è mai indicato con il nome della madre, a meno che il padre non sia
morto e la vedova non abbia altra prole.
Dunque, dire <<il figlio
di Maria>> e non <<di Giuseppe>> era un’altra
indicazione della situazione
<<anagrafica>> del Cristo.
E’ Renan stesso che osserva
come l’usanza sia continuata anche nel mondo occidentale, citando l’esempio del pittore Piero della Francesca:
figlio unico, anch’egli, di madre vedova. Per continuare con gli indizi (il
Vangelo invita spesso a una sorta di <<caccia al tesoro>>; o, se si
vuole, è una sorta di giallo, dove bisogna interpretare le tracce: è la logica
del Deus absconditus, il
Dio che vuole essere cercato), per continuare, dunque: tutti coloro che credono
a una figliolanza
numerosa di Maria riconoscono che,
come il Vangelo precisa, Gesù è stato il primo nato. Ma, mentre accettano
questa preminenza cronologica, mostrano ancora una volta di conoscere poco o
nulla le civiltà antiche, soprattutto orientali. In effetti, questi <<fratelli>>
criticano, consigliano, cercano addirittura di mettergli le mani addosso
per ridurlo all’impotenza, considerandolo alienato
(<<E’ fuori di sé>>).
Atteggiamenti impensabili, scandalosi e, dunque,
non tollerati dalla società di quel tempo
e di quei luoghi per dei fratelli minori. Le rigide gerarchie
familiari stabilivano ben altri modi di comportarsi, ben altrimenti rispettosi,
davanti al primogenito maschio che solo il padre aveva il diritto di redarguire
e, soprattutto, di percuotere! Così il libro del Genesi istruisce il maggiore
tra la prole: <<Sii il padrone
dei tuoi fratelli, si inchinino davanti a te i figli di tua madre>>. (Gen
27,29) Blinzer: <<L’idea che al più anziano spetti
una posizione di privilegio nei confronti di chi è venuto dopo di lui è estranea al nostro
modo di pensare da occidentali moderni, ma è fortemente ancorata nel pensiero
orientale. Per conseguenza, i fratelli di Gesù di Mc 3 o Gv 7 devono essere
stati, necessariamente, più anziani di lui. E anche da questo viene escluso che
fossero figli di Maria>>.
Ma, a proposito di più anziano
tra i figli, ecco Luca 2,7 <<[Maria] diede alla luce il suo figlio
primogenito>>.
Obiezione di
<<esperti>> che non sai se più disinformati o tendenziosi: se si
dice primogenito è perché altri ne
sono seguiti. Possibile che non si sappia, o non si voglia sapere, che tra gli
ebrei ogni primo figlio, anche se unico, era indicato come
<<primogenito>> perché a quella primogenitura – si veda l’Antico
Testamento- erano legati privilegi e precisi adempimenti religiosi? Quel
<<primogenito>> ha un significato (come vedremo più avanti, ndr)
giuridico- religioso, come testimonia lo stesso Luca poco più avanti (2,23)
narrando della presentazione del bambino al tempio e citando l’antica Scrittura: <<Ogni
maschio primogenito sarà sacro al Signore>>. Abbiamo lapidi e papiri aramaici
del primo secolo
che ricordano madri
morte di parto mentre davano alla luce il loro
<<primogenito>>: al quale, evidentemente, altri non erano seguiti…
(anche questo lo approfondiremo più avanti, ndr) (cfr V. Messori, Ipotesi su
Maria).
Esiste un ossario che dice che
Giacomo è fratello di Gesù!
E’ stato dimostrato che l’urna è un falso! Anche questo punto
lo approfondiremo piu avanti. Esistono testimonianze di storici e di persone
dei primissimi secoli,
persone che confermano quello che la Bibbia afferma esplicitamente.
In realtà cita solo quattro o cinque nomi.
Un pò poco se riferito
alla mole di documenti patristici che sostengono la verginità di Maria. Anche la testimonianza
"dei primissimi secoli" è contestabile.
L’eresia di Bonoso, di Gioviniano
e di Elvidio, per esempio, è della fine del 300, ma a favore della perpetua verginità di Maria ci sono
molti esempi precedenti. Una lampante e tra le più antiche è questa:
Clemente Alessandrino,
Padre della Chiesa, ci fa partecipi di una curiosità, scrive:
" Sembra che ancora
oggi molti ritengono
che Maria, dopo la nascita
del Figlio suo, si sia trovata
nelle
condizioni di una puerpera, mentre
invece NON lo era. Addirittura alcuni affermano
che, dopo aver partorito, sia stata esaminata da un'ostetrica, la quale l'ha
trovata vergine. "
In verità Clemente si sta
riferendo al protovangelo di Giacomo
19,1-20: un testo apocrifo, tuttavia questo ci fa comprendere il giro di voci che all'epoca catturavano l'attenzione sia dei Padri, sia delle persone più semplici e di
come questo tema fosse sempre presente nei dialoghi e nei discorsi del popolo cristiano che ogni volta
combatteva col fiorire
di nuove eresie, (oggi da taluni il
combattere le eresie viene considerato perdita
di tempo, utile solo per alimentare le divisioni)
e risponde sulla questione della Verginità perpetua:
"Queste cose sono attestate
dalle Scritture divine,
le quali pure continuano a partorire la Verità e rimangono vergini (incorrotte), nel
nascondimento dei misteri della Verità stessa". Clemente paragona la
Verginità Perpetua di Maria con il Mistero delle Sacre Scritture.
E' il primo ad accostare il mistero della
Madre Vergine, al mistero della
Chiesa che è "Madre e Vergine!" e per spiegarlo dice:
"Il Signore Gesù, frutto
benedetto della Vergine Maria, non ha proclamato beato il seno delle donne; nè le ha scelte per dare il nutrimento. Ma quando
il Padre, pieno di
bontà e di amore per gli
uomini, ha fatto piovere sulla terra il suo Verbo, la Sua Parola, questo Verbo
stesso divenne nutrimento spirituale
degli uomini virtuosi. Quale misterioso prodigio!!
Vi è un solo Padre per tutti, un
solo Verbo per tutti e lo Spirito Santo è identico e uno dappertutto. E
vi è anche una sola Vergine Madre, che amo chiamare CHIESA. Essa è Vergine e Madre contemporaneamente:
integra in quanto Vergine e piena di amore come Madre. Attrae a sé i suoi figli
e li allatta con latte sacro, cioè il Verbo divino fatto Bambino. Non ebbe
latte perché questo latte era questo bambino, bello e appropriato, cioè il
Corpo di Cristo".(Pedagogo 1,6...) S.Clemente paragona Maria Vergine alla Chiesa
per questo annulla il concetto di latte che
per i figli diventa non un latte
materno, ma "latte" cioè nutrimento è la Parola
di Dio, ecco perché Gesù dirà la famosa
frase "chiunque fa la volontà del Padre mio mi è madre, sorella, ecc"
I Padri della Chiesa associarono da subito Maria alla Chiesa, la sua verginità
all'infallibilità della Chiesa come Madre e maestra dei Misteri di Dio.
vediamo una affermazione che usano alcuni
protestanti: Matteo 22:24 –
"Maestro, Mosè ha detto che se qualcuno muore senza avere
figli, il suo fratello ne sposi la moglie, per dare una discendenza a suo
fratello".
‘Perché i cattolici dicono che, in questo caso,
il termine fratello
indica un cugino,
un parente, ma non un
fratello carnale? Non conoscono costoro
la legge Mosaica, al riguardo?’
La risposta la lasciamo
al commento di Rinaldo Fabris,
cattolico, nel suo testo intitolato "Matteo" Ed. Borla 1996.
A pag. 470 nelle note
leggiamo: "Il testo biblico riferito da Matteo 22,24 combina liberamente
alcune formule della legge sul Levirato
di Dt 25,5-6 con Gen 38,8: parole di Giuda a suo figlio
Onan, perché si prenda in moglie la vedova di suo fratello.
Quindi non è vero che i cattolici dicono che, in questo caso, il termine
fratello indica un cugino,
un parente, ma non un fratello carnale.” (cfr.,del fratello Massimo)
La domanda però è: perché usare queste scappatoie non vere per
sostenere le proprie tesi? Quanti sono i fratelli protestanti, o cattolici poco preparati, che alla luce di tali insinuazioni vanno a
controllare? Molti non saprebbero nemmeno da dove cominciare queste verifiche,
finirebbero quindi col fidarsi del pastore e/o dello studioso protestante che
scrive simili inesattezze. Perché chi nutre questi dubbi finisce col fidarsi
delle spiegazioni protestanti e non di quelle cattoliche?
Innanzitutto chi nutre dubbi del genere è perché
qualcuno glieli ha fatti nascere, e questo “qualcuno” è quasi sempre un
protestante, e poi perché spesso, magari troppo spesso, da parte cattolica o si
ricevono risposte che si fondano più sull’ovvietà dogmatica che sulle
dimostrazioni bibliche, -anche se queste ultime si potrebbero senz’altro fare-
diversi preti non imbarcano in lunghe e difficili dimostrazioni con tanto di
citazioni bibliche. Preferiscono rispondere basandosi sulla fiducia riposta in
santa romana chiesa, cosa che va bene per chi gli ha giurato fedeltà, come
tutti i consacrati e i religiosi, o i credenti
fortemente convinti, ma ad un laico titubante
spesso non basta la fiducia
nella Chiesa, e nei suoi insegnamenti, servono anche dimostrazioni bibliche.
Dimostrazioni che nella maggior
parte dei casi (e
non sto esagerando) non arrivano, perché
-dicono- così si alimentano le
divisioni con i fratelli protestanti. Bé, forse hanno ragione, ma credo (a ragion veduta) che così facendo
si finisce per alimentare le file
dei protestanti, ingrossate da tanti ex
cattolici, orfani di risposte adeguate.
MARIA UNA DONNA COME TANTE ALTRE?
Dialogando con diversi pentecostali, anche di persona, mi è capitato di sentirgli “declassare” Maria a ruolo di semplice donna, una qualsiasi, santa sì, ma una delle tante!
Si sente spesso dire ai fratelli
protestanti: “Pensi forse che se non c’era Maria, Gesù non sarebbe venuto al mondo?”. Questo
però significa storpiare
il pensiero cattolico, che non mette
limiti a Dio, non vincola la salvezza in Maria, ma
si limita solo a evidenziarne il ruolo unico. Solo ella fu profetizzata fin
dalla Genesi, quindi il volerle togliere questo ruolo significa voler rendere
insignificante il suo SI’. Significa pure banalizzare la scelta di Dio!
In poche parole (secondo i protestanti) se non ci fosse stata lei Dio ne avrebbe sicuramente trovata un’altra!
Ma la Verità ci dice che lei è
stata prescelta da Dio fin dalla Genesi, quindi non è “una qualsiasi”, bensì la prescelta, ne consegue che il suo
ruolo è unico nella storia dell’umanità, nessuna altra donna ha mai partorito
il Verbo incarnato, né mai ci sarà più chi potrà farlo, se non è unicità questa che cos’è? La verginità di Maria però a
molti protestanti brucia, non se ne rendono nemmeno conto, ma inconsciamente gli arde, non la sopportano, perché significherebbe avvalorare la dottrina cattolica, e
questo “non sia mai”.
Il ruolo unico di Maria non significa
che era dotata
di gradi (in stile militare), i quali la pongono allo stesso livello del Figlio, o quasi.
La sua autorità di Madre però nessun uomo né angelo la può intaccare. Gesù agli
apostoli che disputavano su chi tra loro fosse il più grande, lavò i piedi, ma
questo gesto di umiltà non annullò affatto la sua autorità, né annullò le
autorità ecclesiastiche.
Con quel gesto spiegò semplicemente che le autorità
pur essendo tali devono servire
in tutta umiltà
i fratelli. Quindi l’umiltà di Maria non annulla affatto l’unicità e
l’eccellenza del suo ruolo nella storia
della salvezza.
I primi cristiani erano perfettamente istruiti nel
greco, che era la lingua più usata e
parlata. Pensare che non conoscessero la differenza fra un
fratello o un cugino è da
ingenui o da persone in malafede. Inoltre la sicurezza che
Maria rimase vergine per tutta la sua vita rimase patrimonio di tutta la
cristianità, nonostante scismi e riforme, per
almeno 17 secoli.
Ripetiamo che le lingue
primitive erano molto
povere di vocaboli
e spesso cose diverse venivano chiamate usando un unico termine.
Il greco usato nei Vangeli è il greco
koinè, vale a dire una forma linguistica sviluppatasi tardivamente dal
greco classico e divenne una forma di dialetto parlato soprattutto in Attica
(che era una regione della quale faceva parte anche Atene).
La grammatica del Koinè
appare semplificata rispetto all'Attico, le eccezioni sono presenti in numero minore
e semplificate, le inflessioni sono tolte o armonizzate, e la costruzione sintattica resa più
semplice.
Il Koinè predilige frasi brevi, l’uso a volte
esagerato della congiunzione kài (il Vangelo
di Marco ne costituisce un
esempio eclatante) un uso parsimonioso del participio, abbondanza di
preposizioni. Tutto questo ne fa una lingua molto diversa dal greco classico.
In quest’ottica si configura l’uso del termine adelfòs.
Come dimostrato con l’uso
dei dizionari e di versetti
biblici, questo termine
assume diversi significati:
·
Fratello;
·
Prossimo consanguineo;
·
Persone nate nello
stesso paese;
·
Persone della stessa
credenza.
Ovviamente il corretto
significato della parola "fratello" deve esser armonizzato con il
resto della Bibbia. Abbiamo visto, e approfondiremo ancora più avanti che i
"fratelli" di Gesù in realtà non sono carnali. Anche armonizzando la Bibbia con le testimonianze dei primi cristiani siamo certi che Gesù non ebbe fratelli.
Anche la seguente
affermazione del pastore Luca: Ricordiamoci che lo scrittore
dell'Evangelo disponeva benissimo di un termine per cugini (anepsiòs) e,
se fosse stato il caso, l'avrebbe certamente usato, proprio come è stato usato
in altri contesti del Nuovo Testamento.
"Tua madre e i tuoi fratelli"... adelfòs... facile, può far
breccia solo in chi non conosce bene le Scritture. Perché allora non accettare la letteralità della frase "Questo è il mio corpo" E’, dal greco
“estì”, facile no?
Eppure in questo caso gli
evangelici ritengono di dover
interpretare la frase mentre rifiutano a priori l’interpretazione della parola adelfòs. Mancanza di coerenza o
malafede?
In greco la parola adelfòs deve
essere sempre e comunque tradotta
con fratello o può anche essere tradotta con altri termini,
uno dei quali è "parente, consanguineo"?
Poiché ci sono le prove fornite
sia dalla Bibbia che dai vocabolari che la risposta corretta è la seconda,
possiamo dire che quando i cattolici traducono adelfos, adelfoi, con
termini diversi da fratello, fratelli, non sbagliano. Ovviamente dipende anche dal contesto, ma questo lo vedremo in seguito. Per il momento è sufficiente
dire che questa prima sezione dimostra la correttezza delle vedute cattoliche e
l’infondatezza o la superficialità delle critiche protestanti.
Per studiare seriamente la
Bibbia e soprattutto capirla bene, è necessario sapere che spesso le parole non si devono
interpretare così come giacciono,
ma col giusto significato che l’autore sacro vuole indicare.
Infatti studiando tutta la Bibbia troviamo
in Essa le prove del corretto significato di alcune
parole che possono portare ad equivoci se prese solo letteralmente.
Una giusta conoscenza del linguaggio biblico ci permette di evitare errori grossolani.
CHI ERANO I FRATELLI DEL SIGNORE?
Uno dei quattro nomi,
forse il più citato, attribuito ai presunti fratelli
di Cristo è Giacomo, fratello di Gesù, è figlio di Alfeo (Mt 10,3), in ogni caso lui
stesso scrive “…servo di Dio e del Signore Gesù Cristo…”. Citiamo in questa prima parte solo alcuni
versetti che ci fanno capire come usavano il termine “fratello/i” gli ebrei,
nelle pagine successive verranno citati numerosi altri versetti.
Giacomo secondo la Chiesa
cattolica quindi è un parente di Gesù, e fu capo della Chiesa di Gerusalemme dopo la dispersione degli Apostoli (At 12,17; 15,13;
21,18), oltretutto Giacomo comincia la sua lettera
scrivendo:
“Giacomo, servo
di Dio e del Signore Gesù Cristo, alle dodici tribù disperse nel mondo,
salute”.
Giuda detto anche lui fratello di Gesù (Mt 6,3) così
comincia la sua lettera: “Giuda servo di Cristo, fratello
di Giacomo” anche
lui quindi è parente di Gesù. Ma se fosse stato fratello
uterino
di Gesù, indicherebbe il fratello
maggiore e non Giacomo. Infatti se Gesù è il primogenito di Maria -come inteso dai protestanti-, sarebbe
lui il fratello maggiore, non Giacomo.
Giuda
però indica Giacomo come suo fratello, è questo un altro indizio.
Se l’appellativo di Giacomo
riferito a Giuda fosse relativo al fratello, come affermano alcuni esegeti, sarebbe
stato esplicitato con l’aggiunta fratello
di , come in tutti
i casi in cui, nei Vangeli,
l’identificazione di qualcuno si basa sull’identità del fratello. L’uso del
genitivo, invece, indica sempre un legame di paternità.
Simone lo Zelota non è mai
indicato come Simone di Alfeo, come sarebbe lecito aspettarsi. Inoltre, nei testi evangelici, non viene fornita
alcuna indicazione di paternità comune
o dello status di fratelli tra Giacomo di Alfeo e
Simone lo Zelota.
Nel Vangelo di Marco, spunta sorprendentemente una parentela inaspettata:
Nel passare,
vide Levi, il figlio di Alfeo, seduto al banco delle imposte,
e gli disse: Seguimi . Egli,
alzatosi, lo seguì. (Mc 2, 14)
Questo Levi,
altri non è che Matteo,
l’evangelista, che così riferisce in merito alla sua chiamata: Andando via di là, Gesù vide un uomo seduto al banco delle imposte,
chiamato Matteo, e gli disse: Seguimi. Ed egli si alzò e lo
seguì. (Mt 9, 9)
Matteo Levi e Giacomo
sono entrambi figli
di Alfeo, quindi sono fratelli.
Dato che non figura nessun Matteo tra i
quattro fratelli di Gesù, se ne può quindi dedurre che Giacomo apostolo, figlio di Alfeo
e Giacomo il minore, figlio
di Cleofa, chiamato
fratello del Signore, sono
due persone diverse.
Dell’altra coppia di fratelli di Gesù, cioè Simone e Giuda, i Vangeli ci dicono assai poco, a parte i nomi.
Del solo Giuda
ci è rimasta l’omonima lettera nel Nuovo Testamento.
L’autore si
identifica con Giuda fratello di Giacomo e non con l’apostolo Giuda Taddeo. Giuda, servo
di Gesù Cristo,
fratello di Giacomo,
agli eletti che vivono nell amore di Dio Padre
e sono stati preservati per Gesù Cristo (Gd vers. 1)
Giuda fratello di Giacomo
si riferisce agli apostoli come se si trattasse di un gruppo
al quale non appartiene:
“Ma voi, o carissimi, ricordatevi delle cose che furono
predette dagli apostoli
del Signore nostro Gesù Cristo. Essi vi dicevano: Alla
fine dei tempi vi saranno impostori, che si comporteranno secondo le loro empie
passioni.” (Gd
vers. 17-18)
Il Giacomo a cui si riferisce Giuda è assai probabilmente Giacomo
fratello del Signore,
allora capo della Chiesa di Gerusalemme.
Se il termine fratello è qui da
considerarsi in senso letterale, come fratello di sangue, allora i quattro fratelli
di Gesù (Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda) sono tutti
figli dell altra Maria
e di Cleofa e sono cugini di primo grado di Gesù.
Ricordiamo che Alfeo era fratello
di s. Giuseppe, e Cleofa
era marito di Maria Heli,
sorella maggiore di Maria madre di Gesù.
Maria rimasta
vedova era andata
ad abitare assieme alla sorella Maria Heli, quindi
Gesù e i suoi cugini di primo grado
vivevano nella stessa casa. Di questo ne da conferma
anche la beata Anna Caterina Emmerick nelle sue
visioni sull’infanzia di Gesù.
A sostegno di questa
ipotesi vi è la testimonianza di Eusebio di Cesarea, che usa come fonte
Egesippo.
Egli riferisce che Simone fratello di Gesù fu il successore di Giacomo alla guida della comunità
giudaico-cristiana di Gerusalemme ed era anche lui figlio di Klopa (= Cleofa):
Fu cugino (anepsiòs), come dicono
(verbo femì), del Salvatore, infatti Egesippo ricorda
che Clopa fu fratello di
Giuseppe. (Storia Ecclesiastica 3,11,2)
Dopo il martirio
di Giacomo Il Giusto (62 d.C.):
“Simone, il figlio dello
zio del Signore, Klopa,
fu nominato vescovo successore. Tutti lo proposero
come secondo vescovo poiché era cugino (anepsiòs) del Signore”. (Storia Ecclesiastica 4,
22, 4) La presenza, tra gli scritti canonici del Nuovo Testamento, di due
lettere non attribuite a qualcuno dei dodici apostoli, ma a parenti
di Gesù appartenenti alla prima comunità
cristiana, mostra la forte
influenza che i fratelli di Gesù ebbero sulla Chiesa nascente.
"Da dove
vengono a costui queste cose? Che sapienza è mai questa che gli è stata data? E
come mai si compiono tali potenti
opere per mano sua?
Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Iose, di Giuda
e di Simone? E le sue sorelle non sono qui tra noi?" [Marco 6:2-3].
In realtà
questo brano e altri simili non provano assolutamente nulla. Solitamente, nel
linguaggio biblico, quando si vuole identificare in maniera certa un fratello
carnale si dice che è
figlio
di sua madre. Ad esempio in Giudici, 8,18 si legge:
"Poi disse a Zebach e a Zalmunna: "Come erano gli uomini che avete uccisi
al Tabor?". Quelli risposero: "Erano come te; ognuno di loro aveva l’aspetto
di un figlio di re".
Egli riprese: "Erano miei fratelli, figli di mia madre"
In questo caso Gedeone
specifica che la parola
fratelli significa proprio
fratelli carnali e non
semplicemente parenti e lo fa usando la
ripetizione "figli di mia madre".
Quindi il testo stesso precisa che si tratta di fratelli carnali, ma non si limita ad usare solo la semplice parola “fratello”, aggiunge, come usano sempre fare gli ebrei, “figli di mia madre”.
Nei Vangeli nessuno viene definito fratello di Gesù, figlio di sua madre. Solo Gesù è detto figlio di Maria (cf. Marco 6, 3) e
quest’ultima è detta solo e sempre madre
di Gesù, e non di altri
(cf. Giovanni
2, 1; 19, 25; Atti 1, 14).
Questa quindi è già una prova scritturale inconfutabile.
“E le sue sorelle
non sono tutte fra noi?” E’ chiaro che quel “fra noi” dà l’idea
di persone che abitano nella stessa contrada,
quartiere, località di chi sta parlando.
Si capisce che si
tratta di parentela larga, di conoscenti più intimi o di paesani.
Si dovrebbe fare l’analisi
logica di ogni singola frase, non perdendo
mai di vista i termini
linguistici usati all’epoca, si dovrebbe, ma spesso non si fa.
Ecco quello che ci dice la Bibbia:
"Presso la croce
di Gesù stavano sua madre
e la sorella di sua madre, Maria di Cleopa, e Maria
Maddalena." [Giovanni 19:25]. Era la sorella di Maria.
Secondo le usanze del tempo, Maria
di Cleopa potrebbe
significare "Maria
moglie di Cleopa", o
"figlia di Cleopa", nella realtà era moglie di Cleofa, e sorella
maggiore della madre di Gesù, si chiamava a sua volta Maria Heli. Qualche
protestante avanzava l’idea che Cleofa fosse un nome
prettamente femminile, ma anche questo non è vero.
“Ed ecco in quello stesso
giorno due di loro erano in cammino per un villaggio distante circa sette
miglia da Gerusalemme, di nome Emmaus, e conversavano di tutto quello
che era accaduto. Mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù in persona si
accostò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo.
Ed egli disse loro: ‘Che sono questi discorsi che state facendo fra voi durante il cammino?’. Si fermarono, col volto
triste; uno di loro, di nome Clèopa,
gli disse: "Tu solo sei così forestiero in Gerusalemme da non sapere ciò
che vi è accaduto in questi giorni? " (Lc 24,13 e seg).
Ecco come si chiamava
uno dei due discepoli (l’unico
del quale ci viene riferito
il nome) che andavano ad Emmaus? Cleopa, proprio
quel nome che secondo alcuni protestanti sarebbe "tipicamente
femminile".
La conferma la troviamo nella traduzione di Gianfranco Nolli -dizionario- che alla voce Klopà dice: complemento di specificazione; nome
sostant proprio di pers; genit sing m;
dal greco: di origine illustre. La "m" grassettata sta per
"maschile"
Ricapitolando: sul luogo della croce ci sono tre donne di nome Maria.
Una è
la madre di Gesù,
un’altra è Maria di Magdala e la
terza è Maria madre di Giacomo e
Giuseppe. Sappiamo
che quest’ultima è probabilmente sposata (o figlia)
con un uomo (!) di nome Cleopa
(Clopa), dato che abbiamo
improvvisamente scoperto che Cleopa è un nome maschile.
Leggiamo il testo
greco (nel commento
sintattico del Nolli)
che dice:
Maria |
e |
Tou |
Klopà |
Maria |
la |
di – del -dello |
Cleopa |
nome proprio |
art. determ.
sf |
Artic determ gen sing m; modo greco per indicare la moglie di ecc. |
|
Continuiamo ancora
la lettura, ecco quello che ci dice la Bibbia:
"Presso la croce di Gesù stavano
sua madre e la sorella di sua madre, Maria di Cleopa, e Maria Maddalena."
[Giovanni 19:25].
In Mt 27, 55-56 leggiamo: “C’erano anche là molte donne che stavano a osservare da lontano; esse avevano seguito Gesù dalla Galilea per servirlo. Tra costoro Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo e di Giuseppe, e la madre dei figli di Zebedèo”
Nel gruppo delle donne c’è una Maria madre
di Giacomo e di Giuseppe. Ma non è Maria madre di Gesù, altrimenti l’evangelista
ce lo avrebbe detto. Quindi, evidentemente, è un’altra Maria.
Pertanto anche dal
Vangelo di Matteo
si evince che neppure
Giuseppe, come del resto Giacomo, può essere un fratello carnale
di Gesù.
Eliminati due nomi, restano
gli altri due: Giuda e Simone. La
Bibbia non dice nulla della loro famiglia ma, il solo fatto che siano nominati
insieme ai primi due fa ritenere che si tratti, anche in questo caso, di
parenti di Gesù. Questa ipotesi è confermata da uno scrittore del secondo
secolo, Egesippo. Una conferma
biblica come abbiamo visto, l’abbiamo leggendo le lettere di Giacomo e di
Giuda. Nessuno dei due, nella
presentazione, afferma di essere fratello di Gesù ma entrambi si dichiarano
"servi di Cristo". Addirittura Giuda si presenta soltanto come
"fratello di Giacomo" pur sapendo che una fratellanza carnale con Gesù avrebbe dato sicuramente maggior
autorità al suo scritto oltre ad identificarlo con
maggior sicurezza.
Allora rileggiamo il brano dal quale siamo partiti
alla luce della convinzione scritturale che
né Giacomo né Giuseppe possono essere fratelli carnali di Gesù ma
semplicemente dei parenti.
Come abbiamo visto e già analizzato, i Vangeli ci hanno conservato i nomi dei fratelli di Gesù:
Giacomo, Giuseppe (Joses), Giuda (non il traditore) e Simone.
I quattro fratelli vengono chiamati per nome in quanto sono persone note alla comunità, probabilmente di una certa importanza sociale nell ambito del piccolo centro rurale. Sono probabilmente più anziani di Gesù, almeno alcuni, quindi godono di maggior considerazione. La cosa più importante è che sono i parenti più prossimi a Gesù, eccettuati i genitori, noti ai nazaretani.
I loro nomi non sono associati a quello di Maria, ma lo seguono
in un ordine che rispecchia l’importanza dei gradi
parentali:
Padre - madre - parenti
maschi più stretti - parenti femmine
più strette
Bisogna inoltre tenere conto che i legami parentali nella Palestina del I secolo sono intesi in maniera
ben diversa da come li concepiamo noi, in una società monofamiliare,
frammentata e urbana.
A quei tempi l’importanza dei
legami di sangue all' interno del clan o della casata, ovvero delle numerose
famiglie accomunate da parentela più o meno stretta, era molto forte. Cugini di
primo grado erano considerati quasi alla stessa
stregua dei fratelli
carnali. Il che spiega l’importanza ad essi attribuita nei testi evangelici.
Non solo: i Vangeli sono così
ricchi di informazioni che ci dicono anche chi era la loro madre e ci fanno
sapere che la madre dei "fratelli" di Gesù si chiamava anch'essa
Maria, ma non era la Madonna. Era un'altra Maria. Ascoltiamo con attenzione il
Vangelo di san Matteo nel capitolo che racconta i fatti del Venerdì santo. Siamo sul monte Calvario, subito dopo la morte di Gesù in Croce.
Scrive san Matteo:
"C'erano là molte donne
che osservavano da lontano: quelle stesse che dalla Galilea
avevano seguito Gesù per servirlo. Tra esse, c'era Maria di Mandala, Maria madre di Giacomo e di Giuseppe, e
la madre dei figli di Zebedeo" (27, 55-56).
Attenti: ripetiamo che per san Matteo, in quel tragico
Venerdì santo, c'era sul Calvario
una donna di nome
Maria che era madre di Giacomo
e Giuseppe, cioè era la madre di due dei "fratelli" di Gesù.
Abbiamo visto che questa Maria non era la Madonna? (cfr. Fra Tommaso Maria di
Gesù).
Solo qualche versetto più avanti, proprio per distinguerla
dalla Madonna, san Matteo la chiama per ben due volte "l'altra Maria". E ci dice che questa "altra Maria", insieme a
Maria di Magdala, assistette alla sepoltura di Gesù (27,61) e poi, il giorno
dopo il sabato, sempre insieme a Maria di Magdala, andò al sepolcro
(28,1) e ascoltò
quelle famose parole
dall'angelo: "So che cercate Gesù il
crocifisso. Non è qui, È risorto".
Mt 27,61 “Erano lì, davanti
al sepolcro, Maria
di Màgdala e l’altra
Maria.”
Mt 28,1 “Passato il sabato, all’alba
del primo giorno
della settimana, Maria
di Màgdala e l’altra Maria andarono a visitare il
sepolcro.”
Come vedete, la verità
cattolica rivela il suo fondamento biblico e, parallelamente, le contestazioni,
che ci sembravano a prima vista così sicure, cominciano a scricchiolare.
Siamo proprio sicuri che "l'altra Maria", di cui parla San Matteo,
non sia la Madonna ma proprio la madre di Giacomo e Giuseppe, cioè di
due "fratelli" di Gesù?
Sì, siamo sicuri
perché lo afferma
esplicitamente San Marco
nel suo Vangelo.
San Marco prima conferma quello che ha detto san
Matteo: "C'erano là anche alcune
donne che osservavano da lontano,
tra le altre: Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo il minore e di Giuseppe,
e Salome, le quali lo seguivano e lo servivano" (15, 40-41). Oltre
dunque a Giacomo il minore e Giuseppe, viene menzionata pure una sorella
Salome.
Poi, e la cosa ci interessa particolarmente, san Marco
ci spiega che "l'altra Maria" che andò al sepolcro non era la Madonna, ma era la
madre dei "fratelli" di Gesù.
Sentiamolo: "Passato
il sabato, Maria di Magdala, Maria di
Giacomo e Salome, comprarono oli aromatici
per andare a imbalsamare Gesù"; quindi conferma l'episodio dell'incontro con l'angelo
al sepolcro. Dunque san Marco ci dice chiaramente che quella donna che
andò al sepolcro con la
Maddalena e, che Matteo
chiama "l' altra Maria" era proprio
Maria madre di Giacomo, di uno
dei fratelli di Gesù.
Abbiamo pure visto, leggendo
bene i Vangeli, che si arricchiscono e ci dicono che almeno due dei
"fratelli" di Gesù, Giacomo e
Giuseppe, non hanno la stessa Madre di Gesù. Il Vangelo li chiama
"fratelli" di Gesù ma non hanno la stessa Madre. Possiamo lecitamente pensare la stessa cosa anche
per gli altri due, e per Salome. Proseguiamo e ripassiamo.
Giovanni è l unico
evangelista che riporta
le parole che Gesù crocifisso rivolge a sua madre e allo stesso apostolo:
Stavano presso
la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Cleofa e Maria di
Magdala. Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto
a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: Donna, ecco il tuo figlio! .
Poi disse al discepolo: Ecco la tua madre! . E da quel momento il discepolo la
prese nella sua casa. (Gv 19, 25-27)
Dopo la morte di S. Giuseppe, é probabile che Maria abbia
cercato l’appoggio dei familiari, e che questo
fatto abbia condotto
Gesù a crescere a stretto
contatto con i suoi cugini
e cugine, che la gente iniziò ad indicare come suoi
fratelli e sorelle. Fra l’altro questo viene confermato dalla visioni della
beata Anna Caterina Emmerick.
Gesù, fino a circa trent’anni, lavorò
come carpentiere a Nazaret, nella
bottega ereditata dal padre,
fornendo a Maria i mezzi per vivere.
Durante il triennio di predicazione in Galilea e Giudea, a
partire dal suo trasferimento a Cafarnao, Gesù
lascia Maria a Nazaret e la affida
alle famiglie dei cugini, procurandole i mezzi di sussistenza
con il denaro amministrato dal gruppo dei discepoli, frutto di offerte e
donazioni.
Preparandosi a morire, Gesù si preoccupa della sorte della madre, che rimarrebbe ad affrontare la vecchiaia sola e senza nessuno che la
assista.
Sotto la croce ci sono sua madre, la sorella di lei Maria
Heli di Cleofa, Giovanni
e Maria Maddalena.
Non sappiamo se fosse stato Gesù a chiamarli o se essi avessero scelto
di avvicinarsi di loro
iniziativa.
Gesù prima affida Giovanni
a sua madre, imponendolo come figlio adottivo, quindi affida sua madre a Giovanni, imponendola come
madre adottiva.
La sua volontà
è rivolta ad entrambi, affinché
ci sia un riconoscimento ed un accettazione reciproca. L’atto è solenne come un giuramento.
La presenza di Maria di
Cleofa, che, come vedremo
in seguito, è la zia di Gesù e madre dei quattro cugini maschi, vale a
testimonianza della volontà di Gesù nei confronti dei membri del clan
familiare, che avrebbero potuto opporsi a tale decisione.
Ebbene, se Gesù avesse avuto
fratelli e sorelle di sangue, non avrebbe avuto nessun bisogno di affidare la madre ad un discepolo non imparentato, in quanto sarebbero stati gli altri
figli maschi di lei a prendersene cura, una volta
morto il primogenito.
Questo dovere era obbligatorio, in quanto stabilito direttamente dalla
Legge mosaica:
Onora tuo padre e tua madre,
perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che ti dà il Signore, tuo Dio. (Es 20, 12)
Abbiamo già visto dal Vangelo di Mt che, per Gesù,
onorare i genitori
significa anche prendersi cura dei loro bisogni materiali:
Dio ha detto:
Onora il
padre e la madre
E inoltre: Chi maledica il padre e la madre sia messo a
morte.
Invece voi asserite: Chiunque
dice al padre o alla madre: ciò con cui ti dovrei aiutare è offerto a Dio, non è più tenuto a onorare suo
padre o sua madre. Così avete annullato la parola di Dio in
nome della vostra tradizione. Ipocriti! Bene ha profetato di voi Isaia, dicendo:
"Questo popolo mi onora con le labbra
ma il suo cuore è lontano da me.
Invano essi mi rendono culto,
insegnando dottrine che sono precetti di uomini»."
Matteo 15,8-9
Vista la violenza con cui Gesù si scaglia contro le
furberie farisaiche, risulta molto difficile immaginare che lo stesso
istighi i suoi fratelli a violare questo
precetto della Torah,
che pare stargli tanto a cuore.
Affidare la madre ad un estraneo, anziché
ai figli naturali, adulti, di lei, sarebbe stata una gravissima offesa rivolta ai fratelli, ai
quali Gesù avrebbe tolto arbitrariamente il diritto di vedere in Maria la
propria madre.
Fatto ancora più grave ed
ingiustificato, se si considera che questi fratelli di Gesù avevano rapporti amichevoli e frequentazione con Maria fin dal miracolo
di Cana (Gv 2, 12), e che li
ritroviamo accanto a lei, nel novero dei discepoli, anche dopo l ascensione (At
1, 14).
L’unica spiegazione veramente logica è che Gesù non avesse
fratelli che potessero prendersi cura della
madre in sua vece e che, pertanto,
egli abbia dovuto
impegnare il più fidato (ed il più giovane)
dei suoi discepoli, per assicurarle un aiuto duraturo nel tempo.
San Giovanni ci offre
qualche altro particolare interessante per identificare bene quella donna che
Matteo chiama "l' altra
Maria".
Scrive:
"Presso la croce di Gesù stavano
sua Madre e la sorella di lei, Maria di Cleofa e Maria di
Magdala”
(19,25).
Per san Giovanni, ai piedi
della croce di Gesù stavano, insieme ad altre persone, almeno tre donne che portavano lo stesso nome Maria: una era la Madonna, un'altra
era Maria di Cleofa e poi c'era la
Maddalena. San Giovanni ci fa sapere che quella donna che san Matteo chiama
"l' altra Maria", e che san Marco dice essere la madre di Giacomo, era Maria di Cleofa.
San Matteo e san Marco ci dicono che quest'altra
Maria, Maria di Cleofa, era la madre di
Giacomo e Giuseppe. Attenti
bene, perché abbiamo
un'altra informazione da aggiungere a quelle
che sono già in nostro possesso. Questo Giacomo,
nell'elenco degli Apostoli, è sempre chiamato figlio di Alfeo, “I nomi dei
dodici apostoli sono: primo, Simone, chiamato Pietro, e Andrea, suo fratello; Giacomo
di Zebedèo e Giovanni suo fratello,Filippo e Bartolomeo, Tommaso
e Matteo il pubblicano, Giacomo di Alfeo e Taddeo, Simone il Cananeo e Giuda l’Iscariota,
che poi lo tradì.” (Mt 10,2-4)
Sommando tutte queste informazioni, ci risulta, da una attenta
lettura del Vangelo, che almeno due dei
"fratelli" del Signore, Giacomo e Giuseppe, avevano per madre una donna di nome Maria, che non era la Madonna (era la sorella
maggiore Maria Heli), e per padre un
uomo di nome Alfeo.
Avevano dunque genitori
diversi da quelli di Gesù; eppure sono chiamati "fratelli" di Gesù. A
questo punto, sembra essere giunto il momento di domandarci: perché sono
chiamati "fratelli" di Gesù? La
risposta è piuttosto semplice e l’abbiamo data all’inizio di questo studio. La
parola "fratello" nella Bibbia
non indica sempre e soltanto
"fratello di sangue", ma anche cugino, parente prossimo. Le prove di quello che stiamo dicendo le
abbiamo fornite alcune pagine addietro.
Dunque, visto che i Vangeli
ci parlano dei "fratelli" di Gesù, considerato che ci danno i nomi di
questi fratelli, osservato che ci dicono
anche il nome della loro madre, che non era la Madonna,
e perfino del loro padre,
che non era Giuseppe, possiamo
concludere che le contestazioni al dogma
della perpetua verginità di Maria, basate sulla parola "fratello",
non hanno fondamento biblico.” (cfr. frà Tommaso Maria di Gesù, dei frati
minori rinnovati di Palermo).
LE TESTIMONIANZE STORICHE
Anche le testimonianze storiche
riportate da alcuni
protestanti sono un po’ deludenti. Cominciamo da questa
affermazione:
“Storicamente, i cattolici citano
spesso San Girolamo
per dimostrare come la verginità perpetua di Maria
fosse comprovata da sempre, ma in realtà così non è. Lo stesso Girolamo,
infatti, veniva fortemente contestato, anche dai suoi contemporanei.”
In realtà le cose non stanno
proprio così. La Chiesa primitiva ha sempre sostenuto la verginità di Maria.
Quando sorsero le prime eresie, la risposta dei Padri fu immediata e precisa.
E’ il caso dell’eresia portata avanti da un gruppo eretico detto "antimariani" o
"anticodimarianiti" che significa "gli oppositori di Maria". Di questa corrente
come abbiamo visto facevano parte
Elvidio e Bonoso,
entrambi citati dal pastore, contro i quali si scagliò San Girolamo nel suo
"Adversus Helvidium". E in seguito anche Sant’Epifanio nel suo
"Contra Haeresis" Era IV secolo d.C..
Allora, rimettendo a posto le
cose, non era San Girolamo che veniva contestato dai suoi contemporanei
(ricordiamo anche che Elvidio
era un laico) anzi era proprio lui che si opponeva
agli eretici non appena le loro eresie cominciavano a diffondersi.
Sembra di leggere gli assunti di Dan Brown, che nel suo famoso libro “Il Codice da Vinci” le spara proprio grosse, una di queste
sue balle megagalattiche è quella che dipinge Gesù Cristo divinizzato solo dopo
il Concilio di Nicea nel 325 d.C. per volere di Costantino, prima -dice lui-
era considerato anche dagli apostoli, soltanto un profeta, semplice uomo, non
il Figlio di Dio. I più sprovveduti, o chi ignora la storia del cristianesimo,
magari ci credono, non avendo dati storici alla mano, i più informati invece
sanno che la divinità di Cristo non fu mai messa in discussione fin dai primi anni del cristianesimo, ed il Concilio
fu fatto per rispondere all’eresia di Ario, che dilagava in quegli anni. Il Concilio dunque per
svolgere il suo mandato a colonna e sostegno della verità ratificò –a scanso di
equivoci- la figliolanza divina di Cristo, mettendola nero su bianco, non
promosse Gesù al grado di Figlio di Dio, come invece scrive Dan Brown. Nei
Vangeli si parla di
tale Figliolanza divina, e gli scienziati datano i Vangeli
intorno al primo
secolo d.C., quindi
anche la scienza -oltre che la
storia- prova la inattendibilità del Codice da Vinci.
Le differenze sono notevoli, ma
molti giocano con l’ignoranza altrui,
è anche il caso delle verità di fede riguardanti Maria, si gioca sulle date, e
sull’ignoranza della gente. Ratificare un dogma di fede, non significa affatto
inventarlo in quella data, bensì mettere nero su bianco ciò che fin dalla
nascita del cristianesimo i credenti
professavano, e per cui non c’erano importanti controversie, ma
quando in seguito alla nascita di importanti eresie la Chiesa ritiene di dover
ratificare, nero su bianco una verità di fede, pe supportare in modo chiaro ed
inequivocabile i fedeli, lo fa con la definizione del dogma. Inoltre il pastore
Luca dimentica forse un altro aspetto, citando Girolamo egli non pensa che
lascia indietro 3 secoli in cui la disputa su Maria vide sempre tre fasce :
1) la Chiesa che difendeva
da sempre la verginità
di Maria in rapporto alla
nascita di Gesù, sia a Oriente
che a Occidente, tutti i più grandi
vescovi e Padri hanno sempre
difeso il ruolo
di questa "Donna";
2) le eresie che indubbiamente nascevano e si sviluppavano dall'interno della Chiesa e che per questo venivano subite riconosciute
come eresia;
3) le eresie al contrario, cioè
gli eccessi ma sempre eretici, nel secondo secolo c'erano effettivamente gli "adoratori di Maria" una setta che viene immediatamente contrastata dalla Chiesa.
Nemmeno i vangeli apocrifi, pur con i loro limiti e
alterazioni, attribuiscono a Maria altri figli, ne troviamo prova
nel vangelo arabo
dell’infanzia di Gesù,
dove al capitolo 43 leggiamo
di Giuseppe, padre di putativo di Gesù che mandò suo figlio Giacomo a
raccogliere legna, accompagnato da Gesù ancora fanciullo. Giacomo fu morsicato
da una vipera e Gesù lo guarì.
Nel vangelo dello Pseudo-Matteo al
capitolo 8 versetto 4, troviamo: tutto il popolo allora si congratulò con il
vecchio Giuseppe, dicendo: <<Nella tua vecchiaia sei stato fatto beato, o
padre Giuseppe, tanto che Dio ti ha indicato degno di ricevere Maria….Giuseppe
prese a venerali con vergogna, dicendo <<Sono vecchio e ho figli, perché
mi affidate questa bimbetta la cui età e inferiore a quella dei miei
nipoti)>>. Ma si tratta di vangeli apocrifi, i cui autori solitamente
inventavano alcune vicende,
in questo caso hanno inventato
un primo matrimonio di s. Giuseppe, mai esistito.
E ancora al capitolo 42. Quando
Giuseppe andava a un convito con i suoi figli Giacomo, Giuseppe, Giuda, Simone e le
sue due figlie, ci andavano pure Gesù
e Maria, sua madre, con sua sorella
Maria di Cleofa -data dal Signore Dio a suo padre Cleofa e a sua madre
Anna perché avevano offerto al Signore Maria, madre di Gesù- : questa Maria fu
chiamata con lo stesso nome <<Maria>>, a conforto dei genitori (anche qui gli apocrifi non sono precisi,
perché Maria madre di Gesù ebbe una sorella maggiora chiamata Maria Heli,
che poi a sua volta ebbe una figlia che si sposo un un tale di nome Cleofa).
Ora tralasciando alcune espressioni fantasiose dei vangeli apocrifi, e il fatto
che il padre di Maria madre di Gesù si chiamasse in realtà Gioacchino, oltre al
fatto che s. Giuseppe ebbe solo Maria come unica moglie, non troviamo in essi
traccia dei presunti fratelli carnali di Gesù, gli altri presunti figli di
Maria. Questi vengono sempre identificati come figli di Giuseppe, avuti dalla
prima moglie che poi morì in circostanza non precisate. Anche i padri della
Chiesa non parlano mai di fratelli
carnali di Gesù. In realtà quei
fratelli come abbiamo visto sono figli di Maria di Cleofa, cioè la sorella
maggiore di Maria madre di Gesù, che abitavano nella stessa casa.
Anna, la madre delle due Marie era benestante a aveva molti possedimenti, oltre ad una casa molto ampia, lì abitava dapprima solo
Maria di Cleofa, successivamente anche Maria e Gesù.
Ma approfondiremo i Padri più avanti, ora vediamo gli storici riportati da alcuni protestanti.
Citano anche lo storico Giuseppe
Flavio. Questo storico,
sicuramente molto importante, riguardo al
cristianesimo ha delle nozioni molto
imprecise. Per esempio, nelle Antichità Giudaiche, cita i galilei con il
termine di lestes, lestai, che significa
ladri e
allarga questa denominazione anche ai cristiani. A Flavio poi i
cristiani non gli erano molto simpatici.
Parlando dell’intensificarsi dei disordini in Palestina nel 52 d.C.. Tacito accusa indistintamente due prefetti, Ventidio Cumano e Marco Felice, mentre Giuseppe Flavio dà dei nomi e degli episodi un’altra versione e un’altra cronologia. La storia ha in seguito dimostrato l’accuratezza degli studi di Tacito e la superficialità di Flavio Giuseppe.
Sempre Giuseppe Flavio ignora che esistesse Nazareth.
Gli stessi accenni a Gesù sono da molti ritenuti delle interpolazioni, cioè delle aggiunte
fatte successivamente da altri scrittori.
Quindi anche Flavio, che è molto impreciso in molti
(troppi) avvenimenti della prima storia cristiana, non può assolutamente
costituire una base per sostenere una dottrina. Infatti Flavio fra l'altro viene adoperato di più dagli
storici Ebrei proprio per avvalorare la loro situazione contro i cristiani
nei fatti del primo secolo.
Ricordiamo che la Chiesa primitiva
(quella vera, non quella dei due o tre eretici citati dal pastore Luca) ha
sempre sostenuto la perpetua verginità di Maria. Non solo, ma per sostenerla i
dati storici fanno emergere che la Chiesa
delle origini iniziò
a parlare di Maria proprio
a causa di questa difesa.
A partire dal Protovangelo di Giacomo -apocrifo- e via via risalendo secolo
dopo secolo fino ai giorni nostri, questa verità è sempre stata un cardine
della fede cristiana.
Risparmiamo ai lettori la
telenovela che si è susseguita nei mesi (pochi per la verità) che sono andati
dall’annuncio di un fantastico ritrovamento archeologico (con gli evangelici
che hanno a lungo cavalcato l’onda di questo evento) fino alla scoperta di
questa vergognosa farsa (con gli evangelici
che si sono defilati
in un dignitoso silenzio).
Si sta parlando, e lo vedremo più avanti, in maniera seria e precisa,
della presunta Urna che raccoglie le spoglie mortali di Giacomo,
fratello di Gesù. Faccio solo
notare che in altri siti (www.evangelici.net,
tanto per citarne uno) l’iscrizione sull’Urna veniva riportata così: Giacomo,
figlio di Maria, fratello di Gesù. Più avanti riporteremo per intero l’articolo
apparso sui giornali.
I
Padri della Chiesa
ci dimostrano subito di conoscere
le Scritture, ma più
di tutto ci dimostrano che sono ispirati dallo Spirito Santo.
Come dicevamo la Verginità di Maria emerge subito per contrastare invece
proprio le prime eresie contro Cristo
Gesù. E i vescovi consapevoli di essere stati chiamati alla guida e
garanzia della sana dottrina si mettono subito al lavoro.
E' anche necessario chiarire
che ci sono i Padri Apostolici, che
sono degli scrittori chiamati così perché hanno conosciuto di persona gli
Apostoli, oppure che attraverso alcuni discepoli degli apostoli abbiano
ricevuto consigli, lezioni
e insegnamenti i quali spesso
erano a voce come lo stesso
Paolo ci dice, ma di essi NON ci sono pervenuti tutti i nomi, quelli sicuri e
riconosciuti anche dalla Chiesa Ortodossa sono: Ignazio di Antiochia; Policarpo
di Smirne; Clemente Romano (terzo
Vescovo di Roma, quarto da Pietro); Papia
di Gerapoli; il Pastore di Erma (dei
suoi scritti prima dei Canoni, vennero tenuti in alta considerazione quasi come
le Lettere degli Apostoli);
la Lettera di Barnaba; la
Lettera a Diogneto e la Didachè. Uniti poi ad altri nomi di preti, come
Giustino e altri non identificati come padri, ma che hanno comunque contribuito a mantenere salda la dottrina.
Questi sono stati fra i più grandi diffusori
del Vangelo del mondo greco-romano e che si sono
susseguiti immediatamente dopo gli Apostoli o man mano che morivano.
Fin dall'inizio tale diffusione
deve fare i conti con due realtà: una positiva, che il Vangelo veniva diffuso
rapidamente e molte erano le conversioni; ma subito vi era la controparte: la nascita di formazioni eretiche. Perciò in questo
ambiente la prima necessità urgente che
si scopre necessaria è il formulare senza ombre di
dubbio e con condanne per gli eretici, che vi
era un Salvatore, Cristo Gesù nostro
Signore e che era vero Dio e vero uomo,
dall'immediato nascono dunque le diatribe nelle quali, in questo contesto il
nome di Maria comincerà a farsi sempre più chiaro e strettamente legato
all'Incarnazione del Figlio di Dio.
Il primo scoglio che viene superato è proprio la
verginità di Maria.
A questi si legano poi i
padri
della chiesa che
comprendono sia i Padri Apostolici prima citati, sia quelli riconosciuti tali dopo e si
differenziano perché non hanno avuto un contatto diretto con gli apostoli come
per esempio un s.Girolamo, un s. Agostino, ecc. Insieme, tutto ciò che essi
hanno difeso nella Chiesa per noi oggi è chiamato Tradizione o patrimonio della fede!
Ma vi è anche un altro motivo
per cui i Padri Apostolici preferirono fare una specie di silenzio inteso come manifestazione esteriore
del culto mariano, attorno a Maria nel primo
secolo, è una ragione "mistica" il silenzio NON vuol dire allontanamento dal chiarire un fatto o che NON se
ne debba parlare, o che non si doveva venerare Maria, ma è molto di più è il "silenzio
biblico" che fa
parte del mistero di Dio. S.Ignazio diceva che lo stesso Cristo
Signore " è uscito dal silenzio",
spiegando in una sua opera anche il silenzio
interiore ed esteriore di Giuseppe, e dice ancora che " Colui che
possiede in verità la parola di Gesù è in grado di capire anche il suo
silenzio!" Infatti citeranno
molto l'atteggiamento di Maria "che serbava tutte queste cose nel suo
cuore" . Per i Padri questo "silenzio" è dunque Dio stesso ed è in questo contesto
che la Chiesa primitiva usa sulla
Vergine Santa un "silenzio" di rispetto dal momento che Maria,
adombrata da Dio stesso e dimora dello Spirito Santo, va protetta invece
dall'accostarla ad una qualsiasi divinità femminile pagana.
Tanto è vero che Ignazio,
il primo Padre a parlare
della Verginità di Maria, scrivendo al Vescovo di Filadelfia, fa questa precisazione su
Maria: "Il suo silenzio ha più forza dei discorsi che blaterano parole
vane!!"
E' il primo riferimento che
abbiamo sul silenzio evangelico di Maria. Non abbiamo la lettera precedente che
possa motivare perché Ignazio dette questa risposta, la Chiesa presuppone che,
essendoci state talune
eresie che portavano
alcune comunità ad adorare
Maria, i due vescovi si attivarono immediatamente per frenare
una deformazione.
Una minaccia che gravava sulla
giovane Chiesa era il docetismo, che
negava la realtà dell'Incarnazione: Cristo non
sarebbe stato vero uomo, ma una sorta di fantasma umano. Ignazio avverte il pericolo e lo combatte
da subito, ponendo
la testimonianza di Maria con la Vergine
citata dall'A.T. insistendo così tenacemente sul ruolo di Maria e
testimoniando la fede della Chiesa sull'Incarnazione. Dirà quindi Ignazio che
Maria ha dunque generato realmente la carne
del Cristo; veramente lo ha portato nel seno verginale; e che la nascita
di Gesù è il risultato prodigioso dello Spirito Santo dentro di Lei.
Nessuno, nemmeno gli Apostoli apportarono un chiarimento simile,
questo particolare ci dimostra
l'evoluzione della chiesa e la
necessità di nuovi
aggiornamenti-chiarimenti per far fronte all'incalzare di forme dottrinali
eretiche.
Cosa scriveva S.Ignazio agli Efesini ?:
"Non c'è che un solo medico, carnale e spirituale, generato e
ingenerato, Dio venuto nella carne, vera vita nella morte; nato da Maria e da
Dio, dapprima passibile, ora impassibile, Cristo Gesù nostro Signore (...)
Perché il nostro Dio Gesù Cristo è stato portato nel seno di Maria, secondo
l'economia di Dio, nato dal seme di Davide e opera dello Spirito Santo..." (7,2) "Maria nel pensiero
dei padri della Chiesa" L.Gambero, Ed. Paoline 1991".
Se nei Vangeli (Lettere Ap.)
leggiamo che: "Ogni spirito che confessa Gesù Cristo venuto nella carne è
da Dio..."(1Gv.4), s.Ignazio fa di più, ma non è che aggiunge nulla di
nuovo, ma aiuta alla comprensione, comincia ad ampliare il Mistero dell'Incarnazione inserendo sempre la Madre e dice
ai Tralliani: " Siate dunque sordi se qualcuno vi parla d'altro e NON di
Gesù Cristo, della razza di Davide, FIGLIO DI MARIA; il quale realmente nacque,
realmente mangiò e bevve; che fu realmente perseguitato sotto Ponzio
Pilato..."(9,1-2).
Agli Smirniesi dice: " Il Signore
nostro Gesù Cristo
è veramente della razza di Davide secondo
la CARNE, Figlio di Dio secondo la volontà e la potenza di Dio;
Egli è nato verissimamente da una Vergine,. "(1,1)
I lettori che desiderano un
approfondimento sulle prove bibliche circa i presunti fratelli di Gesù lo
troveranno più avanti, prima mi pare doveroso riportare le testimonianze e i
pareri di nostri fratelli che ci hanno preceduto nella fede e nella vita. Prima
di ascoltare il parere e le spiegazioni di un odierno pastore, specie se
protestante, è giusto conoscere anche quelle di chi ha vissuto in epoche
sicuramente più vicine
a Cristo, nelle
quali la fede e il ricordo della sana dottrina
erano sicuramente più vivi di
oggi.
Ignazio specifica non solo che fu concepito da una vergine,
ma che nacque da una
vergine!
S.Giustino martire, nato tra 100 e
il 110 e che morì martire nel 165 sotto Marco Aurelio, nel 138 aprì una scuola
a Roma dopo la sua conversione al cristianesimo e tra i suoi discepoli ebbe
anche Taziano che come lui divenne un buon apologeta . Giustino compone due
opere "Apologie" e il "Dialogo con Trifone" Nell'Apologia
s'interesserà del "MISTERO DELLA VERGINE madre" è interessante come
vediamo che già dal primo secolo ci
si interessava di Maria e del mistero
della sua verginità, ora a noi non risulta
che vi fossero una o più chiese che
negassero quanto emergeva. Giustino è il primo a scrivere e a parlare del parallelismo Eva-Maria.
Quest'opera avrà un alto valore teologico
dottrinale che emergerà
chiaramente nei successivi sviluppi del pensiero
cristiano.
Dalla preoccupazione che
emerge in s.Luca sulla questione di Giuseppe che non sa che pesci prendere nel sapere Maria incinta, scatta
in Giustino la necessità di presentare gli aspetti apologetici della vicenda, tentando di
rimanere il più obiettivo possibile; egli tenta di stabilire il carattere
storico e messianico del testo, specialmente
agli occhi dei Giudei, i quali accusavano i cristiani di "ricopiare le
favole della mitologia greca".
Ma Giustino esaminerà a fondo
l'A.T. rilevando le reali conferme
di questa verità storica
dai fatti narrati dai
vangeli, usa in particolare Is.7,14 e spiega perché Dio ha voluto preannunciare
gli avvenimenti della salvezza: "per aiutare gli uomini a riconoscere e ad
accettare dei fatti che sembrano incredibili e la cui realizzazione presuppone l'intervento straordinario dell'Onnipotenza divina..."
Da questa
premessa entra nei suoi "studi" la Vergine, studi che non
troverà ostacoli, se non le forme
eretiche che storpiano
la persona del Cristo storpiando il ruolo della
madre.
Giustino parte da una "verità che appare
però incompleta".
Nell'A.T. Eva viene chiamata la "madre dei viventi" (Gn.3,20), ma ai Padri
apparve subito stridente
il contrasto tra
una tale denominazione e il ruolo svolto dalla
progenitrice del genere umano nel destino dei suoi discendenti; giacchè se è
vero che Eva trasmise a questi la vita fisica, con il suo peccato fu per essi
causa di rovina e di morte, doveva
esserci per forza "qualcos'altro"
per mezzo del quale Dio avrebbe operato il riscatto. Questa riflessione farà scaturire nei Padri e negli
antichi cristiani la tendenza a vedere nel titolo di "madre dei
viventi" attribuito all'antica Eva, la profetica raffigurazione di una nuova Eva, la quale sarebbe divenuta
appunto la nuova "madre dei viventi", quel mezzo per il quale Dio
avrebbe operato il riscatto, nel senso più pieno della parola perché tutti noi
"viventi in Cristo e per Cristo suo Figlio": da qui Giustino parla
chiaramente e dice "La Nuova Eva doveva essere la Vergine Maria!"
Da questa intuizione
è scaturito il noto parallelo
EVA-MARIA, che ha portato la Chiesa primitiva sin da subito alla formulazione
di una dottrina che rappresenta il
primo tentativo felicemente andato in porto
di riflessione teologica sulla Madre di Gesù in funzione del progetto della
salvezza che Dio ha in Cristo portato a termine.
Dice il card. John Henry Newman (autorevolissimo anglicano
convertitosi al cattolicesimo):
che la verità su Maria come nuova Eva costituisce un insegnamento rudimentale, ma della massima rilevanza, lasciatoci
dall'antichità cristiana sulla beata Vergine. E' la prima meditazione sulla sua
persona e sulla sua missione; il più ampio profilo tracciato su di lei;
l'aspetto con cui ci è stata tramandata negli scritti dei Padri............................... (Lettera
al rev. Pusey su Maria e la vita cristiana, di G.Velocci,
Città Nuova, Roma,
1975, pag.113)
"Se a causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo verrà anche la risurrezione dai morti;
e come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo "(1Cor.15,21-22).
Non fu difficile per i Padri
illuminati e guidati
dallo Spirito di verità, scorgere
il nesso profondo
fra la concezione del Cristo come nuovo Adamo e quello della Madre,
Maria, come nuova Eva.
E Giustino usa proprio
le Scritture e nel "Dialogo a Trifone" scrive:
" Il Figlio di Dio si è
fatto uomo per mezzo della Vergine, affinché la disobbedienza provocata dal
Serpente fosse annullata attraverso la stessa via per la quale prese inizio.
Come infatti Eva, che era vergine e incorrotta, dopo aver accolto la parola del
serpente, partorì disobbedienza e morte, allo stesso modo, Maria, la Vergine,
avendo ricevuto le parole dell'Angelo annunciante l'Incarnazione divina e che lo Spirito Santo
sarebbe sceso su di
Lei (Lc.1,38) Così per mezzo di Maria
è nato Colui a proposito del quale, come abbiamo dimostrato, sono state dettate
tante Scritture. Per mezzo di Lui,
il Figlio di Dio abbatte anche il serpente, insieme a quegli angeli e a quegli
uomini che sono divenuti simili a Lui (la stirpe citata in Gn 3,15)"
Per Giustino è chiara e scritturale la funzione salvifica di Maria come conseguenza di una scelta consapevole e libera di fronte al messaggio dell'angelo. Quindi come l'azione distruttrice di Eva era però subordinata a quella decisiva di Adamo, sul quale cadde la responsabilità del peccato, allo stesso modo l'azione di Maria, in ordine alla salvezza umana proveniente dalla grazia di Dio, rimane subordinata all'azione necessaria ed indispensabile del Cristo, unico redentore.” (cfr dei fratelli Massimo, Caterina e Gino del sito Difendere la vera fede)
Questo è quanto abbiamo noi
che ci è stato insegnato e tramandato. Nelle pagine successive verranno approfonditi i vari versetti
e modi di scrivere degli
antichi ebrei, evidenziando il loro modo di
intendere certi termini.
IL
PRIMOGENITO
Abbiamo accennato che la parola primogenito, nelle Sacre Scritture assume diversi significati in relazione al contesto nel quale questa parola viene usata, e
comunque abbiamo visto e ripetiamo che gli ebrei gli attribuivano un
significato più complesso rispetto a quello odierno usato da noi occidentali.
Sempre a proposito di modi di parlare e scrivere usuali
di ogni epoca,
ma esposti a eventuali
cambiamenti, dettati dall’evolversi degli usi e dei costumi, riportiamo
un’altro esempio chiarificatore: se prima che le armi da sparo fossero state
inventate qualcuno usava la frase:
“Un banchiere di via
del Fante è caduto sotto il piombo dei rapinatori”
nell’antichità, quando ancora
le armi da fuoco non erano state inventate, si poteva pensare che il banchiere
magari fosse stato schiacciato da un masso di piombo, da una lastra, da una
colonna, o da un carro fatto di piombo usato dai rapinatori, o magari ci si
sarebbe soffermati cercando di capire cosa volesse significare una frase del
genere. Ma se la stessa frase viene ripetuta oggi, nessuno nutre dubbi sul
fatto che i rapinatori abbiano sparato al banchiere. Per noi sono esempi
banali, ma immedesimiamoci in chi tanti anni fa
non conosceva le armi da sparo, che cosa avrebbe pensato?
L’esempio dimostra
semplicemente l’evolversi dei linguaggi in
relazione a eventi
e mutamenti storici. Nelle
pagine precedenti sono stati fatti esempi tra il linguaggio odierno in rapporto
al futuro, ma anche rispetto al passato, ma ricordiamo che ancora oggi gli
ebrei e molti popoli africani e asiatici usano la sola parola “fratello” per
indicare più tipologie di persone, quando trattasi di fratello uterino, essi
specificano sempre “figli della stessa madre” o “stessa madre e stesso padre”.
O
ancora se fra 1000 anni le armi da sparo non esisteranno più, e magari
si useranno quelle
al laser, i nostri posteri, capiranno facilmente la frase:
“…E’ caduto
sotto il piombo dei rapinatori…”?
Alcuni termini linguistici mutano
il loro significato nel corso della storia,
in seguito magari
a scoperte scientifiche, o ad eventi che cambiano il modo di vivere
degli uomini.
E’ normale quindi, nel nostro
caso, che si deve conoscere il linguaggio semitico (povero di termini) usato
nelle Sacre Scritture, perché esse furono
scritte molti secoli
addietro, in quella
realtà culturale, il dono della Scienza di cui parla la stessa Bibbia,
forse molti protestanti lo sconoscono. Se ci dovessimo attenere al significato odierno della parola “primogenito” quindi
dovremmo dare ragione ai testimoni di Geova, dicendo che Gesù
sarebbe realmente il primogenito del
creato cioè il primo di tutte le creature, perché oggigiorno questo indica la
parola “primogenito”.
Eppure noi cristiani (evangelici
compresi) distinguiamo il significato di “primogenito” nei versetti di Colossesi 1,15, perché si capisce che quella parola
viene usata in quel contesto per rivestire Gesù di regalità,
importanza, predominanza, e che quindi
Gesù non è una creatura
ma Dio Figlio. Allora mi chiedo come mai i fratelli evangelici quando
incontrano la parola primogenito nei versetti relativi all’infanzia di Gesù gli
debbano per forza attribuire il significato “odierno”, cioè che Gesù venne
chiamato primogenito di Maria perché ebbe altri fratelli carnali.
Perché in
Col 1,15 i pentecostali
interpretano, e in altri
versetti leggono alla lettera?
La parola “primogenito”
si legge nel Vangelo dell’infanzia secondo Luca 2,7.
Era arrivato per Maria il
tempo del parto: <<… ed
ella diede alla luce il suo figlio primogenito (kai eteken ton hyion
autés ton protòtokon)>>.
In greco biblico, il termine
non implica necessariamente la nascita di fratelli successivi, ma sottolinea la dignità e i diritti
del figlio. L’appellativo di primogenito indica
specialmente la sua consacrazione a Jahvè.
Qualcuno osserva che per indicare Gesù in rapporto
a Maria, non viene usato
il termine figlio unico,
unigenito.
“Esaminiamo prototokos. La sua etimologia, come quella di adelphos, è molto semplice. Il termine ha come prefisso il numerale
ordinale protos, che significa
<<primo>>, seguito dalla radice
del verbo tikto che
significa: <<mettere al mondo>>, <<generare>> (lo stesso verbo
che nel versetto di Luca che
abbiamo citato si trova poco più avanti in forma coniugata); dunque;
letteralmente: <<primo generato>> o <<primo messo al
mondo>>.
Figlio unico si traduce in greco
con monopais che manca completamente
nei Vangeli, e con monogenes, quest’ultimo è formato dal prefisso monos (solo, unico)
e dalla radice gen (generare, nascere); da qui <<solo
generato>>, <<solo nato>>, <<figlio unico>>. E
abbiamo detto nella prima sezione che nessun evangelista usa questo termine o
un’altra espressione corrispondente a proposito della filialità umana e carnale
di Gesù rispetto a Maria.[…] Nel Vangelo di Luca, a proposito di filialità
umana carnale, troviamo tre volte il termine monogenes applicato a casi di bambini diversi da Gesù.
Esaminiamoli.
-
In Luca 7,12. Il racconto
riguarda la risurrezione del figlio della vedova di Nain. Il brano è proprio ed esclusivo di Luca. Gesù, andando con i suoi
discepoli e altre persone a Nain, raggiunge
la porta della città e incontra un corteo funebre:
<<…si portava alla sepoltura un morto, figlio unico di sua madre (…tethnekos monogenes hyios tei metri autou…)
che era vedova…>>
-
Il secondo caso è in Luca 8,42. Questa volta si tratta del racconto
delle resurrezione, compiuta da Gesù, della figlia di Iairo.
Iario capo della sinagoga, si getta ai piedi di Gesù e
lo supplica di andare da lui: <<…perché aveva una figlia
unica (hoti thygater monogenes en auto…) di circa dodici
anni, che stava per morire>>.
-
In Luca 9,38 troviamo una guarigione, di nuovo di un bambino.
Un uomo che sta in mezzo
alla folla grida a Gesù. << Maestro, ti prego, volgi lo sguardo a mio
figlio [malato epilettico, sembra]: è l’unico che io abbia (epi ton hyion mou hoti monogenes moi estin)…>>
Riunendo
dunque queste constatazioni e collegandole l’una all’altra, concludiamo semplicemente che Luca, da solo ci pone di fronte ad un serio problema
a proposito dei <<cugini>> di Gesù e del
fatto che fosse <<figlio unico>> di Maria. “ (cfr Gilles, Fratelli e sorelle di Gesù)
In breve Gilles (protestante) con le sue riflessioni cerca di portare
il lettore alla conclusione che lui
vuole, cioè quella della presenza di fratelli carnali di Gesù.
Il lettore attento però noterà che
non è corretto citare solo Luca, sorvolando sulle lettere di Paolo, che ad esempio -l’abbiamo visto- in Col. 1,18 usa (anche lui) il termine
primogenito riferito questa
volta a Gesù, rispetto al Padre. Ma basta solo l’attenzione del lettore per
scovare simili inesattezze? Io credo che anche il lettore più attento, non
avendo sufficienti conoscenze bibliche finisce con l’essere ingannato da
considerazioni inesatte.
Poi troviamo in Rm 8,29-30
“Poiché quelli
che egli da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati ad essere conformi
all’immagine del Figlio suo, perché egli
sia il primogenito tra molti fratelli; quelli poi che ha predestinati li ha anche chiamati; quelli che ha chiamati li ha anche giustificati; quelli che ha giustificati li ha anche glorificati.”
Qui è evidente che Paolo non si sta riferendo a fratelli uterini,
ma a quelli spirituali, proprio
perché in rapporto a Gesù tutti sono chiamati fratelli di lui.
Anche nella lettera agli ebrei 1,6 Paolo usa ancora
il termine primogenito
“E di nuovo,
quando introduce il primogenito nel mondo, dice:Lo adorino tutti gli angeli di Dio.”
E ancora Giovanni
in Apocalisse 1,5
“Gesù Cristo,
il testimone fedele,
il primogenito dei
morti e il principe dei re della
terra.”
Se Gilles stesso va poi a citare il Vangelo di Giovanni 1,18 (a pag.85)
che in rapporto al Padre usa
il termine Unigenito, ovviamente
riferito a Gesù, perché non cita pure gli altri versetti del Nuovo Testamento
dove si riscontra il termine primogenito?
Con tutte le sue disquisizioni,
analisi logiche, traduzioni dal greco, Gilles conduce per mano il lettore, non azzardando mai una netta
conclusione, ma suggerendo, passo dopo passo l’epilogo.
Evidentemente riesce a convincere parecchi
protestanti che leggono
il suo libro, e che vogliono
proprio vedere e sentire questo tipo di conclusione.
Il substrato sul quale si fondano le tesi protestanti è sempre lo stesso, il lettore deve sempre
restare convinto che è egli stesso a capire, si allude sempre alla guida
divina, mai a quella umana.
Basta dialogare un po’ con
qualsiasi protestante, per appurare con quale certezza e convinzione asserisce di capire
la Bibbia da se stesso,
senza subire nessun plagio umano. Seguendo questo filo
pseudo-logico vantano la mancanza
di commenti nella loro Bibbia, salvo poi andarsi
a leggere i commentari al
primo dubbio, oppure libri di supporto come questo di Jean Gilles.
Moltissimi protestanti, non sono disposti ad accogliere versioni dei fatti diverse dai loro assunti, perché hanno ormai formata una mentalità impermeabile a qualsiasi tesi esterna alla loro comunità. Questo li porta a ergere un atteggiamento di sufficienza verso chiunque li contraddice o voglia dargli spiegazioni. Spesso dovrebbero verificare sulla stessa Bibbia le loro tesi, e non lo fanno, imparano a memoria i soliti versetti per citarli al momento opportuno al cattolico di turno. Ma, purtroppo anche molti cattolici non verificano un bel nulla, arrivando addirittura a sconoscere il contenuto della Bibbia. Ho scritto volutamente “il contenuto” perché la copertina la conoscono. Putroppo molti sono cattolici solo anagraficamente, proprio costoro recano alla Chiesa cattolica più danno dei protestanti.
LA FIGURA DI MARIA NELL’ANTICHITA’
Come abbiamo letto qualche pagina
addietro Ignazio di Antiochia aveva scritto soltanto una decina di anni prima
di Giustino, eppure apprendiamo come in questo breve tempo l'immagine di Maria aveva acquistato nella
cristianità fattezze molto chiare, limpide e sempre
più dettagliate, ma tutte in funzione di GESU'.
In questo modo si andava delineando la dottrina
della natura divina del Figlio Gesù in una unica Persona visibile nella carne
quale vero Uomo, ancora una volta come Dio si servì di Maria per entrare nella
storia dell'uomo mediante l'Incarnazione, sempre
attraverso la figura di Maria si serviva ora per decretare una dottrina ancora più sublime:
la Trinità, ma questo per ora non ci
riguarda da vicino.
Il secondo secolo della storia
della Chiesa si apre con un nome che sarà tra i più significativi fra i Padri:
s.Ireneo di Lione, importante perché è anche il primo teologo nel senso proprio
del termine, tanto rilevante da essere riconosciuto il "Padre della
dogmatica cattolica". Nacque a Smirne fra il 140 e il 160. A Lione viene ordinato
presbitero ed inviato
a Roma per collaborare alla controversia
riguardante il montanismo. Al suo
ritorno, morto il vescovo Potino a seguito del martirio, gli succede nella
nomina e subito collabora con una discussione accesa fra il vescovo di Roma,
papa Vittore I e i vescovi asiatici sulla Pasqua per la celebrazione in un
giorno piuttosto che in un altro, invitando tutti ad una pacifica intesa,
attesterà comunque le ragioni della Chiesa di Roma che su questo episodio sarà
appoggiata anche dalla Chiesa in Antiochia. Muore nell'anno 202.
La sua testimonianza è per noi preziosa poiché
si formò alla scuola di Policarpo (diretto discepolo dell’apostolo Giovanni) ed ebbe contatti con persone
che avevano rettamente conservato l'insegnamento direttamente dagli Apostoli,
scriverà in una sua lettera: " Come ho sentito da un certo presbitero (di
rettitudine), che lo ha saputo da coloro che hanno visto gli apostoli e da
quelli che sono stati loro discepoli................................................ "
(Haer.4,27,PG 7,1056) Questo particolare NON ci sfugga perché
come possiamo osservare il concetto della tradizione e' altamente osservato e molto prezioso ci si tramandava le notizie rettamente.
Ireneo era dunque molto ben
informato sull'attività degli Apostoli come risulterà appunto dai suoi scritti,
un 'opera degna di essere conosciuta è "Dimostrazione
della dottrina apostolica". Non si capisce come e perché si debba
riporre fiducia più in un pastore protestante che attinge ad una teologia
sviluppatasi -nel migliore dei casi- solo 1500 anni dopo la nascita della
Chiesa, e si debbano chiudere in un cassetto importantissime testimonianze dei
primi cristiani, tra l’altro pure autorevoli, come i primi vescovi che
appresero direttamente dagli apostoli. Il prendere la Bibbia in mano e leggervi
sopra che Gesù ebbe fratelli carnali, significa calpestare la verità
tramandataci dai nostri padri. Studiare i documenti dei padri della Chiesa per
molti pentecostali è solo tempo perso, “meglio dedicarlo allo studio della
Bibbia”, ed avrebbero pure ragione se non fosse per il fatto che appena non capiscono qualche
versetto vanno subito
a sfogliare il loro commentario biblico oppure vanno
a chiedere al pastore.
Ireneo parte da una traccia che
abbiamo imparato a conoscere e cioè il parallelismo EVA-MARIA di S.Giustino martire, trovandolo molto
illuminante per poi applicarlo nel suo studio sulle lettere di
paolo, lo studia maggiormente dandogli una nuova luce ed uno sviluppo notevole. Esperto delle Lettere Apostoliche, specie quelle paoline, S.Ireneo fonda questo parallelismo proprio sulla dottrina di S.Paolo della "ricapitolazione" e che diventerà il perno della sua soteriologia (soteriologia = dottrina che riguarda la salvezza).
Secondo la dottrina paolina il
Redentore ha ripreso (ricapitolato) in se stesso "tutte le cose" e
gli avvenimenti che accaddero a partire
dalla prima creazione,
riconciliando tutto con Dio. Orbene, in questa visuale, la salvezza dell'uomo appare come una seconda
creazione, la quale, per Ireneo, non è altro che una specie
di ripetizione della prima. Ed è mediante
questa "seconda" creazione che Dio riabilita il
Suo Progetto primitivo di salvezza, rovinato da Adamo; se lo riprende e lo
riorganizza nella Persona del Figlio suo che diventa per noi il secondo Adamo
come dice, appunto s.Paolo.
Per Ireneo dunque e per gli altri Padri, la comprensione della chiave della Salvezza risiede in collaborazione con Maria, nuova Eva. La Vergine: come vergine era Eva, ma dalla quale ereditammo la morte, mediante ora una nuova Eva-vergine ereditiamo la salvezza in Cristo Gesù' nuovo Adamo.
Scrive Ireneo:
" Come
Eva la quale, pur avendo come marito Adamo, era ancora vergine...,disobbedendo
divenne causa di morte per sé e per tutto il genere umano, allo stesso modo
Maria che, pur avendo lo sposo era ancora Vergine, obbedendo divenne causa di salvezza per sé e per
l'intero genere umano. Così
dunque il processo della disobbedienza di Eva trovò la soluzione
grazie all'obbedienza di Maria.
Ciò che Eva aveva legato a causa della sua incredulità, Maria HA SCIOLTO
mediante la sua fede......... "(Haer.3,22,PG.7,959-960)
Del resto così come
l'Apostolo Paolo aveva fatto un parallelismo perfetto fra Adamo e Cristo,
Ireneo stabilisce LEGITTIMO
tale parallelismo fra le due donne tanto più
perché entrambe messe in causa da Dio stesso quando lancia
ad Eva il castigo, promettendo invece una inimicizia fra Satana e quest'altra
Donna, la Vergine attraverso la quale dovrà nascere il Suo Figlio.
Eva con la sua disobbedienza impose i legami;
Maria con la sua obbedienza e la sua fede, sciolse questi legami. Ireneo si sofferma
sul significato della scelta libera delle due donne, ed è in questa libertà che
vede il RUOLO SPECIFICO DI MARIA.
Terminando tale parallelismo fra Adamo e Cristo di s.Paolo, Ireneo pronuncia un appellativo:
MARIA E' AVVOCATA. "Avvocata di Eva" e lo spiega così:
"Come Eva fu sedotta
dalla parola del Tentatore al punto di fuggire davanti a Dio, avendo
trasgredito la sua Parola, così Maria ricevette il lieto annuncio
per mezzo della parola dell'Angelo, cosicchè obbedendo portò DIO
DENTRO DI SE'. E come quella si lasciò sedurre fino a disobbedire a Dio, così questa si lasciò persuadere in modo da obbedire a Dio. Per questo La Vergine
Maria divenne "avvocata" della vergine Eva. La disobbedienza di una
vergine, venne controbilanciata dalla Vergine (obbediente).
Se perciò il peccato del primo
uomo fu riparato dalla retta condotta del Figlio di Dio; se la scaltrezza del serpente fu vinta dalla
semplicità della colomba
(Maria); e se sono stati
spezzati i legami che ci tenevano
vincolati alla morte, sono stolti gli eretici (coloro che non credono nella salvezza): essi ignorano l'economia di Dio; ignorano
la sua economia nei confronti dell'uomo. "(Haer.5,19)
In una pagina
della sua opera
"Dimostrazione della dottrina
apostolica", Ireneo esprime
nuovamente questo concetto e scrive:
"Era conveniente e giusto che Adamo
fosse ricapitolato in Cristo,
affinché la morte fosse assorbita nell'immortalità e che Eva fosse ricapitolata in Maria, affinché la Vergine,
divenuta avvocata di un
altra vergine, potesse annullare
e distruggere, con la sua verginale obbedienza, la disobbedienza
verginale..." (Demonstratio 33, SC 62, pp.83-86)
Forse che s.Ireneo ha vissuto
la sua fede in Cristo scartando il Cristo e adorando Maria?? NON credo
proprio!!! Questa sua tesi che è PROGRESSIVA e parte dal concetto paolino della
"ricapitolazione" ; introduce
IL RUOLO DI MARIA nella
teologia della salvezza, dice infatti che se
l'umanità è caduta a causa del suo "primo capo" Adamo, doveva
ovviamente essere ricondotta a Dio da un altro uomo che fosse il suo "secondo capo",
cioè il Cristo suo Figlio che viene portato a noi nella chiarezza e che
diventa, come dice Paolo "il principio della riconciliazione"; a tale
concetto di restaurazione COMPIUTO DAL SALVATORE GESU' CRISTO, deve per forza
rispondere passo, passo alla storia di tale caduta, Maria, che entra così per
GRAZIA in questo processo sostituendo Eva e la sua disobbedienza.
Ireneo usa per Maria anche un altro termine:
"MARIA CAUSA SALUTIS " Maria causa della nostra salute e perché?
perché poiché Eva è definita biblicamente CAUSA DI MORTE Maria è il suo
antitipo quindi, dice Ireneo vescovo: "il suo ruolo non si limita alla
prestazione puramente fisiologica in qualità di madre vergine, ma è molto di
più, tale cooperazione include nel suo
ruolo iniziative di ordine morale e spirituale", e cita l'esempio
della sua obbedienza che fu totale,
incondizionata e libera che il suo consenso
al piano salvifico ebbe un carattere soteriologico, cioè
che riguarda appunto la salvezza e questo perché Maria sapeva che tale incarnazione prodigiosa di Dio dentro di lei avveniva
in vista della redenzione dell'umanità'.
Non si può prescindere di
inquadrare bene la figura di Maria, prima di approfondire fattori secondari,
come altri suoi presunti figli, ma che tuttavia, per onore della verità
verranno chiariti ulteriormente più avanti. Sul termine Avvocata dice Ireneo: Eva NON è più condannata come responsabile
della rovina del genere umano, perché questa rovina le è stata rimossa appunto, dall'obbedienza di
Maria che ha permesso all'unico salvatore del mondo di entrare nella storia del
mondo e rimuovere cosi' ogni peccato. In questo modo Ireneo sottolinea che non e' Maria che salva, ma che per mezzo di Maria Cristo ha potuto
operare la salvezza,
in questo senso egli spiega
il senso dell'avvocatura.
Se perciò il peccato del primo
uomo fu riparato dalla retta condotta del Figlio di Dio; se la scaltrezza del serpente
fu vinta dalla semplicità della colomba (Maria); e se sono stati spezzati i legami che ci tenevano vincolati alla
morte, sono stolti gli eretici (coloro che non credono nella salvezza): essi
ignorano l'economia di Dio; ignorano la sua economia nei confronti dell'uomo..."(Haer.5,19)
Ireneo usa per Maria anche un altro termine: "Maria causa il suo antitipo quindi,
dice Ireneo vescovo: "il suo ruolo non si limita alla prestazione
puramente fisiologica in qualità di madre vergine, ma è molto di più, tale cooperazione include nel suo ruolo
iniziative di ordine
morale e spirituale",
e cita l'esempio della sua obbedienza che fu totale, incondizionata e libera.” (cfr, Gino e Caterina del siti
Difendere la vera Fede)
Ritornando al tema principale di questo capitolo
ecco cosa dice Origene uno dei più grandi studiosi biblici, riguardo a questi
presunti fratelli carnali di Gesù:
“Occorre quindi avere l'ardire
di affermare da una parte che i vangeli sono le primizie dell'intera Scrittura
e dall'altra parte che primizia dei Vangeli è quello di Giovanni, il cui senso
profondo non può essere colto se non da colui che ha "appoggiato il capo
sul petto di Gesù e che ha ricevuto Maria come sua propria Madre". Ma ora fai attenzione a quel che ti dico:
colui che sarà un altro Giovanni deve diventare
tale da essere
indicato da Gesù, per così dire, come un altro Giovanni, vale a
dire come un altro Gesù. Se infatti
non esiste alcun figlio di Maria
all'infuori di Gesù, secondo il parere
di coloro che pensano
rettamente di lei, e ciò nonostante Gesù disse a sua madre:
< Ecco
il tuo figlio! >( Gv.19,26), e
non già: < Ecco anche questo ti è figlio >, ciò significa: Questi
(Giovanni) è Gesù che hai partorito. Perché chiunque infatti è perfetto, non è
più lui a vivere, ma in lui vive il Cristo (cf.Gal.2,20); perciò fate attenzione fratelli miei, che quando si parla di lui a Maria,
si dice: < Ecco il tuo figlio >, cioè, ecco colui che è diventato un
bravo cristiano è Gesù Cristo, quindi < Ecco tua Madre >, cioè, come è veramente Madre dell'unico Gesù Cristo, ora ti è Madre a te nella salvazione! "
(Origene, "Commento a Giovanni" -la catechesi- 1,4,PG 11,1048 - "Maria nel pensiero dei Padri
della Chiesa" di L. Gambero, Ed.
Paoline pp.80-81)
Notate come Origene dà per scontato
che Maria non avesse avuto
altri figli oltre a Gesù, inoltre
è ha ben chiaro in mente il motivo dell’affidamento di Giovanni a Maria.
Il Salmo 2,7 si ricollega anche a questo
evento, Gesù dalla croce genera la Chiesa,
cioè Maria e Giovanni, simboli delle Chiesa nascente.
In quel giorno Gesù generò la Chiesa e i figli di lei, rappresentati da
Giovanni.
Ecco cosa dice s.Agostino grande dottore della
Chiesa a proposito dei presunti fratelli
di Gesù, nel suo commento
alle festa delle capanne:
Ora si avvicinava la festa dei Giudei, detta Scenopegia (Gv 7, 2).
Chi ha letto le Scritture sa cosa era la festa della Scenopegia. In quel giorno
si costruivano tende,
simili a quelle
nelle quali i Giudei
avevano abitato quando, usciti dall'Egitto, peregrinavano nel deserto. Era una festa
che si celebrava con particolare
solennità. Con tale celebrazione i Giudei volevano ricordare i benefici del
Signore, essi che avrebbero poi ucciso il Signore. Orbene, in questo giorno di
festa - per la verità, i giorni di festa erano più d'uno, ma i Giudei parlavano di giorno di festa, sebbene
i giorni fossero
più d'uno - i
suoi fratelli si rivolsero a Cristo Signore.
Prendete il
termine fratelli nel senso che
sapete; il termine infatti non vi è nuovo. I parenti della vergine (figli della
sorella maggiore) Maria venivano chiamati fratelli del Signore. Era consuetudine, nella
Scrittura, chiamare fratelli tutti i parenti di qualsiasi grado, soprattutto se
abitavano nella stessa casa, come accadde a Maria e Gesù che dopo la morte di
Giuseppe abitarono assieme alla sorella Maria Heli (di Cleofa) e quindi con
tutti i suoi figli (cugini di Gesù), contrariamente al nostro uso e al nostro
modo di esprimerci. Chi di noi chiamerebbe
fratello lo zio o il figlio
della sorella? Eppure la Scrittura chiama fratelli anche questi parenti. Abramo
e Lot, ad esempio, sono chiamati fratelli, benché Abramo fosse zio paterno di
Lot (cf. Gn 11, 27-31; 13, 8; 14, 14); così Labano e Giacobbe sono chiamati
fratelli, pur essendo Labano zio materno di Giacobbe (cf. Gen 28, 2; 29,
10-15). Quando, dunque, sentite parlare
dei fratelli del Signore, pensate ai parenti di Maria, non ad altri suoi figli.
Allo stesso modo infatti che nel sepolcro in
cui fu posto il corpo del
Signore, né prima né poi vi
giacque alcun morto, così il grembo di Maria né prima né poi concepì alcun mortale.
In ogni controversia, anche civile, esistono i fatti e, spesso i
testimoni. Ogni fatto, viene avvalorato
dalle testimonianze, è una legge naturale, civile,
logica. Stranamente però i padri
della Chiesa per i fratelli protestanti non sono da citare come
testimoni. Quando però trovano qualche caso isolato, come Elvidio e Bonosio,
che non erano né padri né dottori, che vanno contro le tesi cattoliche, allora
li citano. Insomma il solito, due pesi e due misure.
La Bibbia per loro costituirebbe la sola fonte di verità,
come se fosse discesa dal cielo così com’è, in stile coranico.
Non dobbiamo mai dimenticare che la Bibbia è autorevole, perché
lo fu la Tradizione che la formò e la compose. Ricordiamo, e ce ne
bisogno, che prima nacque la Tradizione cioè la Chiesa, la predicazione orale,
e poi la Bibbia.
La patristica mi è stata di enorme
aiuto nella mia ricerca della verità chiedevo sia cattolici che protestanti,
incontravo o scrivevo a preti e pastori, ma la maggior parte di loro mi
rispondeva in modo superficiale, lacunoso, davano per scontate le loro ragioni e non si sforzavano più di tanto
di fornirmi prove bibliche.
Non potevo stare in balia delle loro risposte più o meno precise, ho sentito
quindi il dovere e il bisogno di leggere personalmente le fonti sia protestanti
che cattoliche.
Un libro si medita
di più rispetto ai discorsi
orali che non vengono acquisiti
parola per parola dalla
nostra mente. Gli scritti si prestano di più alla meditazione, perché possono
essere letti e riletti a piacimento, senza alcuna fretta.
Quando cominciai a capire
da che parte stava la verità, e che il cristianesimo è strettamente legato alla storia, perché non è una religione astratta
come il buddismo ad esempio,
ma fondata anche su
elementi storici, come ad esempio l’incarnazione del Verbo, la crocifissione,
la resurrezione, la predicazione degli apostoli nelle varie città, dell’Oriente
e dell’Occidente. ecc.. Il cristianesimo quindi non va contro la ragione o su
un piano distante da essa, ma proprio con eventi storici precisi, e quindi con
la ragione si può provare la venuta di Cristo nel mondo, la nascita e
l’espansione della Sua Chiesa. Scorporare quindi la storia dal cristianesimo è
sbagliato.
Non è affatto corretta
l’affermazione “a me interessa solo la Bibbia,
non ho tempo da perdere con la storia” perché il cristianesimo a differenza delle altre religioni si fonda proprio su
fatti storici. Cristo è venuto sulla terra in un preciso momento storico,
gli apostoli vissero in una precisa epoca storica. Le religioni che si fondano
su dèi mitologici non si identificano con la storia, la nascita Mitra, Iside e Horus, Astarte,
Baal, e tante
altre religioni non si colloca
in precisi momenti storici
perché frutto della fantasia umana.
Cristo invece si è calato in un ben identificabile momento storico,
entrando nella storia umana. La storia ci prova che Cristo è esistito e che è
risuscitato. Allo stesso modo ci prova l’esistenza degli apostoli e dei loro
successori; scorporare quindi la Bibbia e il cristianesimo dalla storia è un
grossolano errore. Alla luce di queste considerazioni il cristiano non può dire
“a me non interessa la storia”, perché non stiamo parlando della storia di
Napoleone, o di Carlo Magno, che pur è utile conoscere, ma di quella del
cristianesimo, cioè della nostra famiglia cristiana.
L’esempio fatto qualche
pagina addietro sulla parola primogenito, l’abbiamo visto, essere una prova di
come tale termine, in Col. 1,15 non
abbia il significato strettamente letterale che gli danno i tdG ma vuole
soltanto conferire regalità a Gesù, perché presso gli ebrei il primogenito
ereditava dei diritti che gli altri fratelli non avevano. Abbiamo visto come
con queste parole Paolo vuole
indicare la regalità di Gesù, la potenza di Gesù, il primato di Gesù su tutte le cose
create, infatti qualche versetto
più avanti dice chiaramente che tutte le cose sono state create
per mezzo di Lui,
“Egli è principio”, e il Verbo è principio come il Padre. Egli è l’Alfa e l’Omega come il Padre e lo Spirito Santo.
Questo i tdG non lo vogliono
capire, perché devono spiegare a tutti i costi la Trinità con la razionalità umana,
asserendo che non esiste, e che noi cristiani siamo considerati idolatri perché
crediamo in “tre dei”, loro invece credono solo in Geova.
Quando gli conviene credono
per fede, ad altre verità
bibliche invece pretendono di applicare la razionalità umana e le formule
matematiche.
Lo stesso dicasi per molti protestanti evangelici o evangelicali, pur con le dovute differenze dottrinali, i quali usando il linguaggio moderno, stravolgono il significato della parola “fratello” nel contesto biblico.
L’IMPORTANZA DI TRADURRE IN BASE AL CONTESTO
Abbiamo visto che il termine usato
da S. Paolo per indicare Barnaba cugino di Marco è la parola greca “anepsiòs”. Da ribadire che “anepsiòs” non ha il significato stretto
di cugino, ma quello più generico di parente, che può
includere anche quello di cugino.
Etimologicamente richiama
il latino “nepos” che è un termine con un significato più ampio e non
quello di “nipote”, come sembrerebbe dalla parola italiana. In italiano
adoperiamo la parola “parente” con significato molto ampio, mentre in latino i
“parentes” sono i soli genitori. Per
convincerci ancora meglio, nel N.T. ci sono molti passi che confermano quello
che sto dimostrando. Qualche esempio:
In Gv 20,17
“fratelli” sono i
discepoli
In Mt 25,40
i “fratelli” sono “tutti gli uomini”
In Mt 28,10 Gesù chiama “fratelli” i suoi
apostoli e discepoli.
In Gal 1,18-19 Giacomo
che è figlio di Alfeo
(Mt 10,3) viene indicato da Paolo come “fratello del Signore”, ossia come appartenente
alla sua parentela.
- Nel vocabolario
greco-italiano di Lorenzo Rocci (sotto la voce anepsios) è detto che anepsios
significa congiunto, parente, e
frequentemente cugino, nipote e anche
lontano parente. in effetti, la
parola nepos (= nipote) deriva da anepsios. Marco ad esempio poteva essere
anche nipote o lontano parente
di Barnaba e quest’ultimo sicuramente non era un parente
stretto di Paolo visto il termine utilizzato per identificarlo.
Come promesso all’inizio analizziamo meglio la parola
fratello all’interno del contesto biblico. Nella Bibbia troviamo ancora
molti esempi di come veniva usata la parola fratello e che cosa significava.
In Fil. 2,25 Paolo dice:
“Ho ritenuto
necessario per ora mandare da voi
Epafrodito, mio fratello, collaboratore e
compagno d’armi, vostro inviato e assistente nelle mie necessità,”
Da queste parole, ad essere fiscali,
come lo vogliono essere spesso
i protestanti, potrebbe sembrare che Paolo avesse un fratello, ma
da un esame storico si evince che Paolo non aveva fratelli carnali di nome Epafrodito, quest’ultimo era infatti un
discepolo filippese che aiutò Paolo nelle sue necessità. Anche i pentecostali
non nutrono dubbi sul fatto che Paolo non avesse un fratello carnale,
semplicemente perché il loro pastore non glielo ha mai menzionato, perché di
prove storiche non ne cercano affatto, né si sforzano di contestualizzare la
parola fratello, ove riferita a Gesù.
Per cui quando Paolo usa la
frase “degli Apostoli non vidi altri, se
non Giacomo il fratello del Signore”, subito i protestanti “capiscono” che
si trattava di un fratello uterino. Le Sacre Scritture vanno analizzate in
maniera seria e approfondita, non dando credito a questo o a quello, ma
confrontando ogni cosa. Più avanti approfondiremo ancora la figura di Giacomo
il fratello del Signore, nonostante
abbiamo già dimostrato chi fosse. Abbiamo visto che gli ebrei quando dovevano indicare
un fratello carnale usavano precisarlo, dicendo “figlio di mia madre,
o figlio di mio padre” dato
che presso ogni comunità protestante e/o pentecostale viene insegnato che ogni verità
viene confermata da due o tre versetti,
e Gilles nel suo libro
riporta proprio tre episodi
del V.T., mi sembra opportuno vedere se nella Bibbia troviamo un numero
sufficiente di versetti che avvalorano quanto fin qui abbiamo asserito, ecco alcuni esempi:
Dt 13,7 “Qualora
il tuo fratello, figlio di tuo padre o figlio
di tua madre…”
Che bisogno c’era di specificare “figlio
di…” se la parola fratello significava solo e soltanto fratello carnale?
E’ questo il primo dei versetti, stranamente ignorati
dal Gilles.
Se io devo indicare mio
fratello di certo non preciso che anche lui è figlio di mio padre e di mia
madre, dico soltanto “è mio fratello”, gli ebrei
come abbiamo più volte visto lo precisavano perché nel loro modo di esprimersi la parola “fratello” se non
precisata poteva essere fraintesa, indicando nella maggior parte dei casi solo fratelli di fede, membri dello
stesso clan, compaesani, compatrioti. E’ palese quindi che un ebreo per
indicare un fratello di sangue aggiungeva (e aggiunge tutt’ora) sempre “figlio
di mia madre, o di mio padre”.
Il protestante Gilles continua
scrivendo a pag. 31: “In nessuna parte
del testo greco
dei Vangeli si trova la parola <<unico>>
(<<figlio unico>>) a proposito della filialità di Gesù rispetto a
Maria. Questo è certo.”
Certamente che è vero, ma abbiamo
visto che non viene nemmeno usato il
termine “figli di Maria”, riferita ai presunti fratelli
e sorelle. Si riscontra sempre e solo “Maria madre di Gesù”,
o “sua madre e i suoi fratelli”, mai “sua madre e gli altri suoi figli”.
Il modo di espressione degli ebrei, a prescindere dall’esistenza o meno di termini adatti,
viene sempre rigorosamente rispettato dagli evangelisti.
Ogni volta che ci possono essere
dubbi sul grado
di parentela, gli ebrei precisano, tranne nei casi il
cui racconto evidenzia in maniera chiara la fratellanza uterina.
Ma continuiamo ad analizzare altri versetti che usano
la parola fratello o sorella.
Dt 27,22 “Maledetto chi si unisce con la propria sorella, figlia di suo padre o figlia di sua
madre! Tutto il popolo dirà: Amen.”
Oggi non si direbbe più
“figlia di suo padre o figlia di sua madre” ma semplicemente “sua sorella”,
anche qui si nota chiaramente che il modo di esprimersi di quei tempi non è
uguale a quello dei nostri
giorni, soprattutto rispetto
a noi occidentali. Se invece si tratterebbe di una cugina si scriverebbe solo quest’ultimo
termine, anche se tra cugini ci si può sposare.
Gb 19,17 “Il
mio fiato è ripugnante per mia moglie e faccio
schifo ai figli di mia madre”
A Giobbe sarebbe bastato
dire “faccio schifo
ai miei fratelli”, invece usa il linguaggio
semitico, e specifica, “figli di mia madre”, perché se avrebbe
detto “ai miei fratelli” i suoi contemporanei avrebbero sicuramente frainteso,
cioè avrebbero potuto capire che quelle parole erano riferite anche ai suoi
cugini, parenti o compaesani vari.
Sal 50,20 “Ti siedi,
parli contro il tuo
fratello, getti fango
contro il figlio di tua madre.”
Anche qui sarebbe bastato
dire “getti fango
contro tuo fratello”, ma per identificare in maniera
inequivocabile il fratello carnale da quello di fede, viene aggiunto “figlio di
tua madre”.
Infatti nella
prima parte della frase viene menzionato un fratello di fede, nella seconda un fratello
uterino.
Sal 69,9 “Sono un estraneo
per i miei fratelli, un forestiero per i figli
di mia madre.”
Perché Davide ripete due volte la stessa cosa, estraneo e forestiero che in definitiva sono due sinonimi?
Nella prima parte della frase se i suoi fratelli sarebbero
stati i figli di sua madre che bisogno
c’era di ripetere termini sinonimi “estraneo e forestiero”?
Usa i due sinonimi perché quando
dice “i miei fratelli” non si riferisce ai fratelli carnali ma ai parenti, come anche ai suoi compatrioti, infatti quando si riferisce ai fratelli
uterini usa il termine “figli di
mia madre”. Stiamo vedendo con numerose prove bibliche, -altro che due o tre
versetti- come l’attribuire ad “adelphos,
adelphoi” il significato univoco di fratello è errato. Con tali termini
infatti gli ebrei usavano indicare diverse tipologie di persone.
Quando si trattava di indicare fratelli
uterini, si trova sempre la specificazione: “figli
di mia madre” e similari,
tranne nei casi in cui la fratellanza uterina è palese.
Quindi, ritornando a Davide,
nella sua osservazione prima si rivolge
ai parenti e ai compatrioti o ai fratelli di fede, poi si riferisce ai fratelli carnali, non è
pensabile che Davide ripeta due volte la sua estraneità verso le stesse
persone. Scrivendo in quel modo intende proprio distinguere, i fratelli, dai figli di sua madre (fratelli carnali).
Ct 1,6 “I figli di mia madre si sono sdegnati con me:”
Anche qui, che bisogno c’era di dire “i figli di mia madre” poteva benissimo dire “i miei fratelli
si sono sdegnati di me”, ma per dare un significato preciso alle sue
parole, e non dare l’impressione che con il termine fratelli si riferisse anche
ai cugini o ai compaesani, egli preferisce usare la frase “figli di mia madre” proprio per precisare il
significato della sua frase.
Continuiamo ancora
a leggere dalla Bibbia:
Giudici, 8,18 “Poi
disse a Zebach e a Zalmunna: «Come erano gli uomini che avete uccisi al
Tabor?». Quelli risposero: «Erano come te; ognuno di loro aveva l’aspetto di un figlio di re». Egli riprese: «Erano miei fratelli, figli di mia madre…”
Perché Gedeone specifica
“figli di mia madre”?
Che bisogno c’era
se la parola fratelli veniva
usata solo per indicare i fratelli
carnali?
Anche questo prova che gli
ebrei potevano indicare con la frase “i miei fratelli” anche e soprattutto i parenti di primo grado
e i compatrioti, altrimenti non c’era bisogno
che specificassero “figli di
mia madre”.
Cronache cap. 27 “Figli di Merari: Macli
e Musi. Figli di Macli: Eleàzaro e Kis.
Eleàzaro morì senza figli,
avendo soltanto figlie; le sposarono i
figli di Kis, loro fratelli.”
Eleazaro morì avendo
soltanto figlie femmine,
queste ultime si sposarono con i figli
di Kis, quindi con il loro cugini di primo grado,
perché Kis era fratello carnale di Eleàzaro. Anche qui si vede chiaramente che viene usata la parola “fratelli” per
indicare i cugini.
In questo episodio viene pure
spiegato che non si tratta di fratelli carnali, è questo uno di quelli citati dal Gilles, che stranamente non cita i versetti dove viene sempre aggiunto “figli
di mia madre, o di mio padre”.
2° CRONACHE CAP. 21
“Giòsafat si addormentò con i suoi padri e fu sepolto
con loro nella città di Davide. Al suo posto
divenne re suo figlio Ioram. I suoi
fratelli, figli di Giòsafat, erano Azaria, Iechièl, Zaccaria, Azariau,
Michele e Sefatia; tutti costoro erano
figli di Giòsafat re di Israele”
Anche qui seguendo il nostro linguaggio moderno e occidentale che bisogno c’era di specificare di chi erano figli i
fratelli di Ioram?
Il profeta lo specifica perché i fratelli
di Ioram potevano
anche essere dei cugini
o fratelli di fede, quindi
sottolinea che i fratelli di Ioram erano figli di Giòsafat, cioè fratelli
carnali di Ioram.
Nel nostro linguaggio moderno, non
ci sarebbe bisogno di specificare, basterebbe solo usare il termine fratelli,
ma come dimostrato nel linguaggio ebraico antico, c’era bisogno
di specificare perché il
termine fratello era un termine molto generico, con il quale si indicavano
anche altre persone. A questo punto direi che abbiamo ampiamente superato i due
o tre versetti che usano i protestanti per avvalorare una tesi biblica, ma
visto che ci siamo è bene continuare ancora.
Gen 43,29
“Egli
alzò gli occhi e guardò
Beniamino, suo fratello, il figlio di sua madre…”
Perché il profeta specifica che Giuseppe vide Beniamino
figlio
di sua madre, poteva benissimo dire soltanto: “vide suo
fratello Beniamino”, perché specifica “figlio di sua madre”?
Anche se Giuseppe e Beniamino
erano figli di Rachele, (madre diversa rispetto agli altri fratelli carnali di Giuseppe) oggi col nostro
linguaggio non occorre
più specificare, si dice fratello
avendo in comune lo stesso padre.
Continuiamo:
Lev 18,9 “Non
scoprirai la nudità di tua sorella,
figlia di tuo padre o figlia di tua madre”
Anche qui non c’era bisogno di specificare, bastava
dire solo “ non scoprirai
la nudità di tua sorella”
Ma per gli ebrei si vede che era necessario specificare che si trattava di
sorella carnale.
Nel nostro linguaggio odierno
non usiamo più specificare, perché se dico ad esempio “io e mio fratello
lavoriamo assieme” si capisce che mi riferisco al mio fratello carnale. Anche
persone che non mi conoscono leggendo queste righe capirebbero che mi riferisco al mio fratello
carnale e non ad un mio cugino, fratello di fede, o
parente, oppure compaesano o tanto meno compatriota.
Per gli ebrei invece è importante specificare che tipo di fratello o sorella
fosse la persona indicata,
perché altrimenti il significato poteva cambiare indicando altre persone non
consanguinee.
Lev 20, 17 “Se uno prende
la propria sorella,
figlia di suo padre o figlia di sua madre, e vede la nudità di lei ed essa vede la nudità
di lui, è un’infamia”
Ancora una volta
il profeta sottolinea “sorella figlia di suo padre o
figlia di sua madre” cioè sorella carnale.
A proposito della corretta
interpretazione biblica e dei metodi
interpretativi nel Nuovo
Testamento poi leggiamo:
Mt 20,20 “Allora
gli si avvicinò la
madre dei figli di Zebedèo con i suoi figli..”
Qui vediamo una madre insieme
con i suoi figli, che si avvicinò a Gesù per chiedergli qualcosa, come mai
quando nella Bibbia si ripete una scena quasi identica, (Mt 12,46-50 e Mc 3,31)
in cui c’è una madre che si avvicina a Gesù (ed è Maria), non viene detto “arrivò
Maria la madre dei figli di Giuseppe, oppure arrivò Maria e
gli altri suoi figli?”
Perché non viene mai detto ad esempio “mentre
Gesù predicava arrivò
Maria con gli altri suoi figli”?
Maria in realtà non ebbe
altri figli, sono i fratelli protestanti che forzatamente glieli fanno
spuntare, ma così facendo dimostrano solo una conoscenza biblica superficiale, non conoscendo affatto il linguaggio
ebraico antico (aramaico), né il greco.
Mt 3,32 «Ecco
tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle sono fuori e ti cercano». Ma egli
rispose loro: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?». Girando lo sguardo
su quelli che gli stavano seduti attorno, disse: «Ecco mia madre e i miei fratelli! Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre».
Luca 11, 27-28: “Mentre Gesù così parlava, una donna alzò la voce di mezzo alla folla e gli
disse.- " Beato il seno che ti ha portato
e le mammelle che hai succhiato! ".
Ma egli disse. "
Beati piuttosto quelli che ascoltano
la parola di Dio e la mettono in pratica "”.
Qui verrebbe il sospetto
che Gesù abbia addirittura rinnegato le persone più intime, perché
da loro rinnegato, come appare in Gv 7,5. Non c’è dubbio che le parole
di Gesù vogliono darci dei profondi insegnamenti. L’appartenenza a Lui non si
basa su legami di sangue o di parentela.
La Chiesa non è fondata su rapporti ambientali, di
razza, di classe o di cultura: essa è famiglia
di Dio. Gli evangelisti sottolineano le ragioni opposte
che suscita la persona di Gesù. Le folle lo cercano, i più intimi
(parenti, paesani) lo ritengono quasi folle: essi non comprendono affatto la
sua missione e vogliono distoglierlo facendolo ritornare in patria o nel paese
natio.
Ancora più grave è l’ostilità dei dottori della religione ebraica; essi si persuadono che Gesù riceve il suo potere dal principe dei demoni, Belzebul (Mt 3,22).
Non c’è dubbio che nelle parole di Gesù
è implicito un elogio per la sua madre che “serbava le sue
parole… meditandole nel suo cuore” (Lc 2,19-51) ed era “la serva del Signore che compiva tutta la Sua volontà” (Lc 1,38)
Gesù quando sembra prendere le
distanze da Maria, non manca di rispetto a sua madre, ma sottolinea la propria natura divina, e dice che Lui è venuto ad annunciare la Parola di Dio, e chi lo segue entra in un rapporto intimo con
Lui. Gesù quindi va oltre i legami familiari terreni, Lui è il Figlio di Dio,
non un semplice figlio di donna; quelle parole di vanno capite in modo
corretto.
Il Gilles ad un
certo punto, col suo modo di precisare scrive:
“A rischio di apparire
pignoli, eliminiamo a questo punto un’obiezione che qualcuno potrebbe sollevare
(l’abbiamo proprio fatto qualche pagina addietro, citando Joseph Blinzer,ndr).
Quella della presenza dell’articolo determinativo <<il>> (ho): il figlio
di Giuseppe o di Maria
in un certo numero di passi. Si sa che in certi casi l’articolo
determinativo può indicare unicità. […] Effettivamente l’articolo determinativo greco,
davanti a hyios (figlio) è talvolta presente
(tuttavia, non sempre e non molto spesso) quando hyios significa il rapporto di Gesù con sua madre o con Giuseppe.
Ecco alcuni esempi che si riferiscono ora a Maria,
ora a Giuseppe, e che sono tratti da autori diversi:
- In Marco 6,3: <<Non è questi…il figlio di Maria?>> (HO hyios tes Marias?).
- In Giovanni 6,42: <<Non è costui…il figlio di Giuseppe?>> (HO hyios Ioseph).
Certo è incontestabile, qualunque ne sia la ragione, che, usato per Gesù, l’articolo determinativo si
debba interpretare: il figlio di
Maria o di Giuseppe. Possiamo intenderlo o considerarlo nel senso di un
singolare assoluto?
Per le indicazioni patronimiche (come in questo
caso), il greco
consente due possibilità. <<Figlio di…>> con o senza articolo. […]
Atteniamoci ai testi evangelici: in altri casi, come quelli di Giacomo detto il
Maggiore e di Simone Pietro, che avevano ciascuno un fratello vero […] la
stessa designazione di <<figlio di…>> è preceduta dall’articolo
determinativo al singolare.
Ripetiamo, articolo
determinativo al singolare, sebbene nessuno di loro fosse figlio unico. Giacomo e Giovanni, Pietro e Andrea, due coppie di fratelli veri: lo
si potrebbe ignorare?
- In Marco 1,19: <<…Giacomo, il figlio di Zebedeo>> (…Iakobon TON tou Zebedaiou) (stessa osservazione per hyion)
- In Giovanni 1,42: Gesù, rivolgendosi a Simone Pietro dice: <<Tu sei Simone, il figlio di Giovanni…>> (…HO hyios Ioannou).
Come si vede, la costruzione
grammaticale è identica qua e là. Se osserviamo con attenzione, vediamo che a servirsi dell’articolo determinativo per
uno di due fratelli sono gli stessi
evangelisti che usano quel medesimo articolo per Gesù. Perciò, fatto questo
confronto, la presenza di “il” davanti a <<figlio di Maria>> o <<di Giuseppe>> non può essere considerata una prova e neppure
un indizio che Gesù fosse figlio <<unico>>.” (fin qui il
protestante Jean Gilles, nel suo libro I fratelli e sorelle di Gesù).
Una prova, no, ma un indizio direi di sì, visto che l’autore non eccelle in precisione nelle
citazioni bibliche che fa. Abbiamo visto che la precisazione “figlio di sua madre o di suo padre” usata dagli ebrei,
in maniera sistematica e pignola, per descrivere i fratelli carnali, per Gesù
non viene mai usata, eppure, questo, Gilles non lo dice. E’ strano questo
suo modo di condurre per mano il lettore
attraverso gli indizi e le citazioni che fa, non pronunciando mai un chiaro verdetto,
ma tentando di convincere il lettore che è lui stesso, tramite
la logica, l’analisi e quindi la ragione,
ad arrivare alla conclusione che Gilles vuole.
Il problema è proprio “nella
conclusione” Gilles infatti pone in risalto solo alcuni versetti che gli
interessano, mancando di citarne altri, come ad esempio quelli che pur
riportando la parola “adelphos”
specificano “figli di mia madre” per indicare il legame uterino. Evidentemente
Gilles conosce il libro del Blinzer,
lo cita per dovere di cronaca, ma evita di riportarne le
osservazioni più acute, rimandando il lettore a leggere tale libro. Effettivamente se Gilles riporterebbe le acute
citazioni del Blinzer, susciterebbe qualche perplessità nel lettore, meglio
evitare.
Dovrebbe essere lo stesso
lettore ad accorgersi delle prove bibliche che attribuiscono a Gesù “fratelli e
sorelle” uterini Gilles non dice, suggerisce, in maniera abile, citando solo
quello che porta acqua al suo mulino. Vorrebbe far credere al lettore che i
cattolici ogni volta che incontrano la parola greca adelphos la traducono con “cugino”, quasi in maniera matematica,
non è affatto così! Ma solitamente il protestante medio non va a fare tutte
queste verifiche, prende per oro colato quello che legge contro la Chiesa
cattolica e tira avanti. E’ la Bibbia stessa a precisare di che parentela
si tratta, lo stesso Gilles
lo ammette, citando però altri versetti, e stando ben attento a non citare mai quelli dove viene
puntualizzato “figli di mia madre”. E’ ignoranza? Non lo so, ma di sicuro è un
comportamento strano.
LA FEDE DI MARIA
Tra coloro ascoltano Gesù e lo
seguono vi è anche e soprattutto Maria. La vediamo all'inizio (Giovanni 2,1-12),
durante (Luca 8,20) e alla fine della vita pubblica
di Gesù (Giovanni 19,25-27).
Maria segue e ascolta Gesù perché è suo figlio, ma anche e soprattutto perché
ha creduto a “quanto le è stato detto
da parte del Signore” (Luca 1, 45), ha meditato sul comportamento di quel
Figlio (Luca 2, 19). Perciò Maria è divenuta la prima e più fervorosa discepola
di Gesù.
Possiamo perciò
e dobbiamo distinguere in Gesù due modi di
guardare e considerare Maria.
Egli la ama perché
è sua madre. Non l’ha mai rinnegata. Come poteva farlo Egli
che ebbe parole dure contro
coloro che trattano male i genitori? (Marco 7, 10-13).
Tuttavia all'amore di figlio
si aggiunge in Gesù un amore e una venerazione di ben altra natura verso Maria.
Egli la ama e la venera perché Maria ha creduto
alla Sua Parola e si è impegnata a metterla in pratica
più di qualsiasi altro discepolo. Ella credette al messaggio dell’angelo, e si mise
completamente a disposizione del
Signore, pur non comprendendo appieno in quel momento il significato di quelle
parole, questa è fede, una grande fede! Gesù apprezza questa grande fede della
madre, e vorrebbe che tutti gli uomini avessero una fede così forte. “Beati piuttosto coloro che ascoltano la Parola di Dio e la mettono
in pratica” e Maria ascoltò la Parola di Dio e la mise in pratica durante tutta la sua
vita.
Mentre Gesù predicava non
doveva essere esaltata la maternità di Maria o i legami di sangue, ma piuttosto
l’ascolto della Parola di Dio. Gesù sta parlando ad un popolo che lo rifiutava
come Messia, ad un popolo che lo accusava di essere un inviato di satana,
quindi doveva in ogni suo discorso esaltare il suo ruolo
salvifico, sottolineando che la cosa più importante non sono i legami
carnali, ma quelli spirituali. Noi ci leghiamo a Cristo ascoltando la Sua
Parola e mettendola in pratica.
Gesù, dunque, vuol mettere in risalto la grande fede di Maria. Vuol far capire
che la vera grandezza di Maria, non è fondata sui vincoli del sangue, ma poggia
soprattutto sui vincoli soprannaturali d'una nuova parentela. Questa verità è
contenuta negli stessi versetti, c’è chi si sofferma e attinge in superficie, beve la medesima
acqua ma non coglie la stessa purezza
di chi si cala più in profondità. (Giovanni 1, 12-13).
E’ chiaro che con ciò Gesù non ha
affatto discreditato sua madre, non ha affatto mostrato che la venerazione di
Maria è sbagliata. Anzi mette in evidenza i meriti di Maria e la vera ragione
per cui deve essere chiamata
beata, cioè venerata. Non
è errato pensare
che un'eco di queste
parole di Gesù ci sia stata conservata nel cantico
di Maria: Tutti mi diranno beata! (Luca
1, 48).
APPROFONDIMENTI SUL SIGNIFICATO DI “ADELPHOS”
L’affermare che adelphos usato come sostantivo, adelphos (ho) in greco vuol dire esclusivamente
<<fratello>> nel
pieno significato della parola, e che i <<Settanta>> lo hanno
dunque adoperato in maniera sostantiva derivata,
cioè in maniera
impropria, significa forzare
il significato di tale parola, ma soprattutto suggerire al
lettore conclusioni errate.
Ripeto, abbiamo
visto numerosi versetti
dove gli ebrei
aggiungevano “figli di mia madre”,
e simili per specificare i
fratelli carnali. Quindi tutte le elaborazioni grammaticali greche, che fa
Gilles, parlando di sostantivi, aggettivi, copulativi, nell’intento di
disorientare il semplice lettore che non conosce il greco, né tantomeno i modi
espressivi semiti, finiscono per farlo apparire scorretto e poco credibile.
Ma seguiamo ancora il protestante
Gilles:
“La questione degli adelphoi attribuiti a Gesù nei Vangeli,
che è trattata in questa sezione, consiste tutta e solo nel sapere se questo sostantivo debba essere preso nella sua stretta accezione greca, o se, grazie alla mediazione della mentalità
semitica, possa essere esteso, compreso e considerato nel senso di
<<cugino>> (per mancanza del termine appropriato o per imitazione
retroattiva dell’uso che ne fa l’Antico Testamento).[…] Qua e là nella
narrazione, parole (greche) diverse e costruzioni della frase variano da un
evangelista all’altro; non però adelphos e
meter (madre). In altre parole,
questi versetti non sono stati ricopiati o ricalcati l’uno sull’altro, o
partendo da un primo manoscritto
iniziale. Questi ricalchi fedeli si trovano molto spesso nei sinottici. Qui
invece la redazione è stata in parte personale; in ciascuno di questi tre
scritti, che riferiscono lo stesso fatto c’è una certa libertà di espressione.
La permanenza costante di adelphos nei
nostri tre evangelisti si manifesta in questa autonomia di redazione o di
stile, e questo mette maggiormente in rilievo l’intenzione -individuale e
voluta- di servirsene.
Usato costantemente nei vari testi evangelici, adelphos (fratello) appare per di più (come meter) l’istanza fissa e immutabile – primo fondamento- del testo. Da queste constatazioni derivano alcune osservazioni. I termini meter (madre) e adelphoi (fratelli), relativi al piano familiare umano, sono dappertutto insieme, abbinati, grammaticalmente uniti, senza soluzione di continuità; meter è sempre messo per primo, come se ci fosse parentela e dipendenza molto stretta fra lei e loro; apparentemente, per la disposizione dei due termini e il loro accostamento su un piano di uguaglianza, come se essa fosse la madre di quegli adelphoi.
Si sorriderà: <<argomento
basato sulla sintassi…perciò ritenuto debole!...>> Meno di quanto pare.
Infatti, se si accettasse il significato <<cugini>>, la parola <<sua madre>>, seguita immediatamente da <<e>> e da adelphoi, significherebbe: <<la loro zia>>…? E questo quando
he meter autou (o sou), cioè:
<<sua [o tua] madre>>, apre sempre l’elenco dei parenti e ricopre,
“abbraccia” potremmo dire, quelli che seguono stabilendo con loro un rapporto
parentale analogo a quello di Gesù nei riguardi di sua madre. E’ difficile
ammetterlo. Secondo la logica della grammatica o della sintassi, se questa <<madre>> non è madre di quelli
ai quali è strettamente associata
in tutte le frasi,
lo stile dei nostri autori è molto poco chiaro.
Questo si può dire di tutte e tre
i sinottici? Anche di Luca? L’ellenizzante Luca, l’abile scrittore, poteva commettere un simile errore
di concatenazione senza accorgersene e porvi riparo? […] Sul piano più profondo. Se adelphos
avesse il significato di <<cugino>>, ripetendolo e facendolo
rimbalzare dalla parte narrativa a quella che prende la forma di parabola, Gesù
per descrivere un grado di parentela in Dio più stretta di qualsiasi legame
familiare, carnale, umano o di sangue, avrebbe dunque detto loro, letteralmente
secondo Matteo e Marco: << Chiunque fa la volontà di Dio è mio cugino e
mia cugina [o mio e mia parente più o meno lontani] e mia madre>> Oppure,
secondo Luca: <<Mia madre e i miei cugini [cioè parenti meno prossimi e
solo in secondo grado sono quelli che ascoltano la parola di Dio…>>, per
tutti noi che siamo figli di Dio e che siamo chiamati nel nostro divenire
al futuro, ad appartenere al suo stesso
Padre? Non è affatto sicuro
che sia stato questo il pensiero di Gesù!...” (cfr. Jean Gilles)
Certo, di sicuro questo non
era il pensiero di Gesù, infatti con la parola adelphoi non si riferiva ai cugini, ma palesemente ai fratelli spirituali. Tradurre in
questo modo matematico, come accennavo in apertura, adelphos=cugino addossando questa grossolana traduzione alla Chiesa
cattolica, è scorretto. Abbiamo infatti
visto, che gli esegeti cattolici ben conoscendo le tipologie di persone che il termine adelphos può
indicare, non lo traducono affatto sempre e sistematicamente con “cugino”.
Nel Vecchio Testamento quando
trattasi di fratelli uterini, si trova sempre la specificazione, più volte
indicata prima, nel Nuovo, vengono citati diversi fratelli uterini, Pietro e
Andrea, Giovanni e Giacomo, ecc., e non viene
specificato “figli di sua madre”
o similari, ma per costoro
non si nutrono dubbi sulla consanguineità. Riguardo a Gesù invece si
assiste ad un chiaro-scuro, troviamo indizi, mai frasi nette precise e
inequivocabili. Perché? Forse per non mettere con le spalle al muro chi si
ostina a negare i dogmi su Maria, indiscutibilmente legati alla figura di Gesù,
al concetto di peccato ereditato, ma anche all’Onnipotenza di Dio, che mai
corrompe la natura umana.
Is 7,14 “Pertanto il Signore stesso
vi darà un segno. Ecco: la vergine
concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele.”
Isaia non dice che la vergine
partorirà il suo figlio primogenito, ma un figlio, come a dire il suo unico
figlio. Non c’era nulla di strano a dire “la vergine concepirà e partorirà il
suo figlio primogenito, che chiamerà
Emmanuele.”, la profezia
sarebbe stata lo stesso valida
e importante, ma Isaia non parla di primogenito.
Inoltre dice “la vergine concepirà e
partorirà…” cioè vergine concepirà e vergine partorirà. O dobbiamo credere
che il far partorire e al tempo stesso far restare vergine Maria, era
impossibile a Dio?
Il continuare a ignorare
l’elementare usanza ebraica, di indicare con adelphos diverse tipologie di persone ridicolizzando gli esegeti
cattolici, riportando frasi del tipo
<< Chiunque fa la volontà di Dio è mio cugino e mia cugina [o mio e mia
parente più o meno lontani] e mia madre>> è molto scorretto. Leggendo Gilles infatti, ho avuto l’ennesima
conferma di come il metodo esegetico protestante, vada rivisto completamente, assieme alla mentalità
che li porta sistematicamente a non
citare mai versetti scomodi, come quelli appunto che precisano di che tipo di
fratelli adelphoi si tratta, “figli
di mia madre”, ad esempio. Ma nel Nuovo Testamento l’universalità del messaggio
messianico porta gli agiografi a usare il termine “fratello” per chiunque sia
rapportato a Gesù.
Nessuno infatti viene chiamato cugino
o parente di Gesù, nemmeno
il battista.
“Altro episodio. Avviene
quando Gesù torna a Nazaret.
I suoi <<compaesani>>,
gli ex compagni di una
volta, al tempo in cui ci viveva, stupefatti, quando passa nel villaggio, di
vederlo insegnare e compiere miracoli (con la forza attiva che emana da lui)
sono animosi nei suoi confronti; un’animosità chiaramente ostile.
In Matteo 13,55-56:
<<Non è questi il figlio del falegname?
Sua madre (he meter autou) non si chiama Maria e i suoi fratelli (kai hoi adelphoi
autou) Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle (kai hai adelphai autou)
non sono tutte tra di noi?>>
[…] I commenti degli abitanti di
Nazaret tendono a collocare, o ricollocare, Gesù nel quadro dei suoi ascendenti immediati e dei suoi congiunti, diretti o collaterali (strano come in questa
cerchia di conoscenti non ci sia nemmeno un cugino di Gesù, aveva
solo fratelli e nemmeno un cugino, strano, ndr). Non essendo ben certi di
inquadrarlo correttamente, come si dice, a causa dei suoi miracoli e dei suoi
discorsi (era così sorprendente per loro che lo avevano conosciuto bambino,
monello, adolescente!...), quelle persone, che non credevano ai loro occhi né
ai loro orecchi, si preoccupano di identificarlo con esattezza. Con
l’espediente letterario delle domande a ripetizione, che gli abitanti di Nazaret
si scambiano, i due evangelisti (Matteo e Marco, che riportano tale episodio
dettagliato, ndr) precisano l’identità civile di Gesù. <<Figlio di… e
di…>> cioè in altre parole, la sua ascendenza immediata.
Le domande si concentrano
immediatamente sulla cerchia familiare limitata ai parenti più stretti. Seguono degli adelphoi
di cui rimangono vaghi il numero
e il nome. Quando si vuole identificare qualcuno in poche parole
è raro che lo si faccia attraverso il ramo di secondo grado;
di solito lo si
identifica attraverso i suoi parenti più prossimi, (si, Gilles ha ragione, ma
quando i parenti più prossimi a cui si riferisce lui non esistono, come si
procede? Ndr).
In genere, quando è figlio unico,
molto spesso lo si dice.
Comunque, se i primi a essere citati
dopo i genitori non sono
fratelli veri, se ne precisa il grado esatto di parentela. Anche nella
mentalità ebraica (anche qui Gilles dimentica l’usanza ebraica di precisare
aggiungendo “figli di sua madre”,ndr). Abbiamo potuto verificarlo in tutti gli esempi dell’Antico
Testamento, nell’esegesi indicata ed esaminata nell’introduzione.
Aggiunge ancora il
protestante Gilles, “in questo passo che riguarda l’identità di civile di Gesù,
i due evangelisti avrebbero
forse lasciato cadere
un’ottima occasione per mettere in rilievo che egli
era figlio unico e soprattutto che <<i suoi fratelli>> non erano
veramente tali? Occasioni che si sarebbero lasciati sfuggire – davvero una
grossa distrazione per tutti e due!- Marco e Matteo?
Oppure i sostantivi hoi adelphoi
e hai adelphai, espliciti e chiari in sé, nel loro esatto
significato, non avevano bisogno di ulteriori precisazioni?” (cfr.
Gilles)
Certo che il lettore
comune, leggendo tali affermazioni di getto, senza un’adeguata riflessione, e senza nessun supporto esegetico, è spinto a dare ragione a
Gilles.
“…Quando si vuole identificare qualcuno in poche parole è raro che lo si faccia attraverso il ramo di secondo
grado; di solito lo si identifica attraverso i suoi parenti più prossimi…”
E’ strano come il protestante Gilles dimentichi che per identificare bene
qualcuno, nel caso specifico dei fratelli uterini, gli ebrei aggiungono sempre
“figli di mia madre” e similari. Dimentica
pure, che la nostra mentalità occidentale è diversa
da quella ebraica,
e che siamo proprio noi
occidentali a precisare il grado di parentela, usando i sostantivi, cugini,
nipoti, fratello di fede, ecc., gli ebrei hanno un modo di esprimersi diverso
dal nostro.
Se vogliono
indicare fratelli uterini
aggiungono sempre “i figli sua madre”, l’abbiamo visto in numerosissimi versetti.
Poi aggiunge: “Abbiamo potuto verificarlo in tutti gli esempi dell’Antico Testamento, nell’esegesi indicata ed esaminata nell’introduzione” e il
grassetto su “tutti” è suo, da pag. 23 a 25 si possono leggere tutti questi esempi che riporta Gilles,
ma sono solo quattro o cinque episodi, quelli di Abramo e Lot, Labano e
Giacobbe, Mosè con Mishael ed Eltsafan, (Lev 10,4) ed Eleazar e Kis
in 1 Cronache. Eppure
l’autore usa e grassetta la parola “tutti”,
lasciando intendere che ha
analizzato la totalità dei versetti che parlano di fratelli adelphoi nel Vecchio Testamento. Abbiamo visto
che ve ne sono moltissimi altri, non presi
in considerazione dal Gilles e, stranamente, sono proprio quelli che
usano la precisazione “figli di sua madre” ecc..
Nel caso di Abramo e Lot,
vengono usati entrambi
i termini, adelphos e
syggenes,
In Gen 12,5 e poi in Gen
14,16 “Ricuperò così tutta la roba e anche Lot suo parente,
i suoi beni, con le donne e il popolo.”
Lo stesso vale per
Labano e Giacobbe.
Gen 29,15 “Poi Làbano
disse a Giacobbe: «Poiché sei mio parente,
mi dovrai forse
servire gratuitamente? Indicami quale deve essere il tuo salario”
Va pure notato
che nei primi tredici
capitoli della Genesi
il termine “parente”
non viene mai utilizzato, si parla sempre di
fratelli, ma è sempre ben chiaro il legame di sangue.
Tutto dunque era ben chiaro e identificabile, prima del capitolo
che parla della torre di Babele, dopo tale evento spesso furono necessarie delle precisazioni per
identificare i fratelli carnali. Al capitolo 14 fa ingresso il termine
“parenti” mai usato in precedenza. I fratelli che nei primi undici capitoli
venivano indicati solo con adelphos ora
vengono indicati o con tale termine inteso in senso largo o, con syggenis.
Ricordiamo però che tali termini sono ellenici, la Bibbia,
almeno quasi tutto il Vecchio Testamento, e quindi a maggior ragione la Genesi,
furono scritti in ebraico e come abbiamo più volte accennato tale lingua
non conteneva un termine per indicare i parenti,
‘ah, indicava “fratelli”
in senso stretto o largo a seconda della circostanze. Ma visto il modo “matematico” di criticare dei protestanti, potrebbero suggerire agli
ebrei di tradurre “ah” sempre con “cugino” alle stesso modo di come fanno
con noi cattolici appioppandoci l’equivalenza adelphos=cugino. Se ci ritroviamo a leggere il termine “parenti” syggenis anche nel V.T. è perché la
Bibbia fu tradotta in greco dai
Settanta saggi chiamati da re Tolomeo.
Nel Nuovo Testamento il termine “parenti”
viene usato un po’ ovunque,
per Maria, con Elisabetta,
ancora Maria e Giuseppe quando cercano Gesù smarrito presso i conoscenti e i
parenti, prima di trovarlo al tempio, ma per la diretta persona di Gesù, syggenis non viene usato mai.
Ad esempio in Gv 18,26
“Uno dei servi
del sommo sacerdote, parente (syggenes) di quello a cui
Pietro aveva tagliato l’orecchio…”
Anche qui il termine
“parente” non è usato in relazione a Gesù, ma tra un servo del sommo
sacerdote e una delle guardie che arrestarono il Cristo.
Continua ancora Gilles “Esistono nel Nuovo Testamento altri gruppi
di fratelli, per indicare i quali non viene
fatta nessuna precisazione in
stile veterotestamentario, eppure
non ci sono dubbi sul fatto
che essi siano effettivamente fratelli carnali.
Così i figli di Zebedeo, Giacomo
e Giovanni; Simon Pietro e Andrea; come pure il trio di Betania:
Lazzaro, Marta e Maria. Il protestante Gilles puntualizza così:
Esaminiamo ognuno
di questi gruppi di fratelli e il modo rapporto di parentela.
- I due figli di Zebedeo, Giacomo
e Giovanni. Dove si legge che erano fratelli?
Nella chiamata
dei primi discepoli da parte di Gesù.
In Matteo
4,21:
<<Gesù] vide altri
due fratelli (allous dyo adelphous), Giacomo
[figlio] di Zebedeo
e Giovanni, suo fratello (kai Ioannen ton adelphon autou)>>.
In Marco
1,19:
<<Egli [sempre
Gesù] vide Giacomo
[figlio] di Zebedeo,
e Giovanni suo fratello (kai Ioannen
ton adelphon autou>>.” (cfr. il protestante Gilles)
Quando vengono elencati i dodici
apostoli e in altre circostanze. In tutte queste
viene sempre usato il termine adelphos e suoi derivati.
Poi viene menzionato l’episodio che vede la madre dei figli di Zebedeo chiedere
a Gesù di farli sedere nel
Regno dei cieli l’uno alla sua destra e l’altro alla sua sinistra.
Leggiamo in Matteo 20,20:
“Allora la madre dei figli
di Zebedeo (he meter ton hyion
Zebedaiou) si avvicinò a
Gesù con i suoi figli (meta ton hyion autes).
Qui prima di riportare
ancora le osservazioni del Gilles, è bene
notare che il Vangelo dice “…con i suoi figli…) riferendosi alla madre di Giacomo e Giovanni,
di Maria non viene mai detto “arrivò Maria… con i suoi figli”. Questo
non è un particolare di secondaria importanza.
Inoltre di Maria non viene nemmeno
mai detto “…la madre dei figli di
Giuseppe”.
L’autore protestante questo
non lo dice, prende in esame invece le singole parole, dandone la traduzione in
greco, forse per dimostrare che lo conosce bene. Conoscerà sicuramente bene la
lingua greca, ma non si può dire altrettanto di quella ebraica,
e soprattutto dei modi espressivi di quel popolo.
Il linguaggio ebraico dà sempre
priorità all’uomo capofamiglia, esso viene sempre
menzionato qualora messo in relazione ad altri suoi familiari. Ecco
perché viene detto “…la madre dei figli di Zebedeo” quando invece bastava dire
“la madre di Giacomo e Giovanni”.
Una madre viene messa in diretta
relazione con i propri
figli, senza menzionarne il padre, solo quando ella è vedova.
Ne deduciamo quindi che la
madre di Giacomo e Giovanni, fino a quell’epoca non era vedova. Maria invece,
che per gran parte dei Vangeli viene
menzionata da sola, si suppone perciò che sia rimasta
presto vedova.
Inoltre di Gesù non viene
nemmeno detto “Gesù
è Ioses suo fratello…” oppure
“Gesù e Salome sua sorella…”
come accade per le coppie di fratelli presenti fra gli apostoli.
A proposito di deduzioni
bibliche di questo tipo, mi capita spesso, dialogando con fratelli evangelici,
via e-mail, di ricevere risposte del tipo “io credo solo a quello che vedo
scritto nella Bibbia, non vado oltre” questo ad esempio lo dicono per negare
l’assunzione di Maria, la sua perpetua verginità ed altri dogmi. Non pensiate
che i protestanti neghino solo i dogmi relativi a Maria, ve ne sono che negano
il dogma della SS.Trinità, ad esempio, come i pentecostali modalisti, e tutti negano la presenza reale di Gesù
nell’Eucaristia.
Sempre a titolo d’esempio
facevo notare ad un fratello
evangelico che in Mt 27,53
apprendiamo che dopo la
resurrezione di Cristo molti corpi di santi, uscirono dalle tombe e apparvero a
molti, dopo che fecero? La Bibbia non lo dice, ma è lecito pensare che sono
rimasti a vagare nel mondo fino ai nostri giorni, oppure che siano stati
assunti in cielo, ad anticipazione di quello che avverrà ai credenti? Il
fratello evangelico, insisteva nel dirmi che lui non lo sa, e nemmeno vuole
dedurre ciò che la Bibbia non dice. Quindi?
Il discorso di Matteo rimane tronco, il seguito non
si deve immaginare, anche se biblicamente e teologicamente logico
corretto. Come fanno costoro
a immaginare la Trinità, visto che la Bibbia
non la menziona? Bisogna pure prendere atto che le Scritture non parlano
del battesimo in acqua di Maria e degli apostoli, a parte Paolo,
dobbiamo dunque credere che non si sono battezzati? La Bibbia non dice nemmeno se gli angeli sono stati creati prima o dopo
l’uomo, non dice come e quando avvenne la ribellione di Lucifero e dei suoi seguaci con la conseguente
cacciata dal Paradiso. Non dice se fu creato prima san Michele arcangelo o
Lucifero.
Gli inferi esistevano al tempo di Adamo ed Eva, o nacquero successivamente? Troviamo spiegazioni in merito a questo nelle Scritture?
E ancora la Bibbia
non parla della morte di s.Giuseppe, dobbiamo credere
che non sia morto?
Vi sono
innumerevoli passi che non chiariscono in maniera palese certi fatti.
Fermarsi solo a ciò che è chiaro ci porta fuori strada,
i misteri divini sono sempre immersi in un
chiaro scuro in modo che solo attraverso la fede si possa vedere la giusta via.
E’ evidentissimo che questo
modo di studiare la Bibbia non è corretto, eppure molti fratelli evangelici mi rispondono in questo modo.
Molti protestanti usano dire, che per una dottrina
essere verità di fede deve essere confermata da due o tre versetti, può
darsi, ma dove sta scritto nella Bibbia?
Prendendo seriamente spunto dagli indizi che troviamo
nei diversi Libri Sacri, arriviamo
alle deduzioni teologiche, a cui noi cattolici prestiamo fede,
ritenendole vere e corrette.
Ogni bravo protestante dovrebbe
interrogarsi su quello
che crede per deduzione teologica e quello che trova
invece chiaramente scritto nei Libri Sacri, solo così può imparare a vedere le
verità cattoliche.
Riprendendo i versetti che ci interessano in questo capitolo
notiamo che anche per Pietro
e Andrea, esistono dei
versetti che fanno capire la loro fratellanza uterina. Gv 1,44 “Filippo era di Betsàida, la città di Andrea
e di Pietro” e, in ogni caso, quasi ogni volta che viene menzionato Andrea
è messo in relazione con Simon Pietro. Ma
ripeto, adelphos, era usato per
indicare sia fratelli carnali
che parenti di diverso genere. Di questi due apostoli non viene menzionata la
madre, perché forse era morta.
In relazione a Gesù tutti sono chiamati fratelli, nemmeno Giovanni il battista, che era suo
parente, viene chiamato con quest’ultimo termine, anche qui gli evangelisti possedevano i termini
greci per chiamare Giovanni battista “parente di Gesù” ho syggenes.
Nessuno viene indicato come
parente di Gesù, con Giovanni il battista ne conosciamo la parentela tramite Maria
e Elisabetta, non viene mai detto Giovanni
il Battista, il parente di Gesù, o viceversa.
In relazione a Gesù tutti sono suoi fratelli, non si parla di parentela, ma di
fratellanza.
Non è che, con questo,
la Bibbia, voglia dirci qualcosa?
Gesù, amava Giovanni, amava
Lazzaro, perché l’evangelista non ha usato un termine meno equivoco? Equivoco, tanto
da suscitare le fantasie di Dan Brown
(e non solo lui), che anche in base a questo termine, dipinge “il
discepolo che Gesù amava” [Giovanni] come Maria Maddalena.
L’agiografo poteva
utilizzare “amico” (philos) “conoscente” (gnostos) invece
si va a imbarcare in una situazione equivoca utilizzando il
termine “amava”. L’equivoco però, se c’è, è solo per noi occidentali, o almeno
per chi lo considera tale, rifiutando le regole di buona traduzione e interpretazione.
Se pensiamo ai dogmi
cristiani, e ne vorremmo trovare
sulla Bibbia tracce
chiare a lampanti,
non equivocabili, ci accorgiamo che per
ognuno di essi ci sono sufficienti tracce per chi vuol credere
e sufficienti ombre per chi non vuole. E’ il caso della parola
“primogenito” che porta i testimoni
di Geova a ritenere Gesù il “primogenito del creato” cioè la prima delle
creature, quindi negano che sia il Figlio di Dio, di uguale sostanza al Padre.
E’ il caso della Trinità, negata
sia dai tdG che da altri gruppi
evangelici, è pure il caso dell’Eucaristia e della presenza reale di Gesù in
essa. Per ogni dogma esistono versetti che lo confermano, chiaramente, per chi
vuol credere, e versetti “equivoci” che danno spunto al altri che non vogliono
credere. L’andare a sindacare l’agiografo che scrisse tali versetti,
pretendendo di insegnargli noi come doveva scrivere,
è un po’ azzardato, considerato che scriveva sotto ispirazione
divina. Il mistero, resosi tangibile anche nell’uso di certi termini equivoci, è opera di Dio. Lui vuole che ci fidiamo, per il nostro stesso bene, ma
chi vuole vedere nella
sua Parola la negazione di certi dogmi, è libero di
farlo, Dio non costringe nessuno. Ma per non lasciare la Sua Chiesa allo
sbando, frammentata dai vari opinionisti della domenica, ha istituito le
autorità ecclesiali, che in successione agli apostoli guidano i fedeli.
Un’altro indizio,
nell’infanzia di Gesù non vengono mai nominati
gli eventuali suoi fratelli;
Nel racconto del pellegrinaggio a Gerusalemme di Gesù fanciullo (Lc 2,41-52) è sorprendente che non si faccia mai menzione di
eventuali fratelli carnali di Gesù;
“I suoi genitori si recavano tutti gli anni a Gerusalemme per la festa
di Pasqua. Quando
egli ebbe dodici anni, vi salirono di nuovo secondo l’usanza.”
La Madonna, come donna,
non era affatto
obbligata al pellegrinaggio se, oltre al suo primogenito, avesse avuto altri figli;
questo prescriveva la legge ebraica.
Sentiamo ancora Blinzer:
<<Al pellegrinaggio pasquale a Gerusalemme (Lc 2,41-52) partecipò anche Maria, quantunque non ne avesse alcun obbligo. Questo, infatti,
riguardava solo gli israeliti
maschi. Stando sempre a Luca, Giuseppe e Maria compirono il pellegrinaggio non
una sola volta, quando Gesù aveva 12
anni. Essi “si recavano tutti gli anni a Gerusalemme per la festa di Pasqua” (2,41). Viene da chiedersi se
Maria fosse in condizioni fisiche idonee per compiere simili viaggi annuali,
qualora dopo Gesù avesse dato alla luce almeno un’altra mezza dozzina di figli.
L’obbligo del pellegrinaggio annuale a Gerusalemme riguarda solo gli israeliti maschi.
All’età di dodici anni,
Gesù sta per entrare a far parte
della collettività religiosa ebraica, diventando bar-mizvà, ovvero figlio del precetto (=
della Legge) ed i genitori decidono di
portarlo con sé per la prima volta.
I maschi ebrei diventano adulti, dal punto
di vista religioso, e come tali sottoposti al rispetto ed alla conoscenza di tutti i precetti
della Legge, verso Dio e verso la comunità, a tredici anni,
attraverso la cerimonia
chiamata appunto bar-mizvà.
Il dodicenne Gesù è ancora troppo
piccolo per essere
un figlio del precetto . Allora perché partecipa al
pellegrinaggio?
Possiamo ipotizzare due motivi:
1. I genitori vogliono prepararlo ad affrontare le responsabilità della sua futura,
imminente, condizione, anticipandogli alcuni dei suoi doveri (il
pellegrinaggio)
2. I genitori portano Gesù a Gerusalemme poiché nei giorni
della festa pasquale
verrà celebrata la sua bar-mizvà.
Per ora non ci interessa il
fatto che Gesù partecipi alla Pasqua a Gerusalemme, bensì che vi partecipi Maria.
Per le donne, infatti, non esiste alcun obbligo al rispetto di tale precetto.
Maria partecipa quindi come atto devozionale non dovuto, di sua
spontanea volontà.
C’è di più: Lc
dice con chiarezza che Maria e Giuseppe
si recavano tutti gli anni a Gerusalemme
per la festa di Pasqua.
Quindi, nei precedenti dodici anni, Maria ha sempre
accompagnato Giuseppe alla festa.
Il pellegrinaggio da Nazaret a Gerusalemme
comportava almeno due settimane
di assenza da casa.
Come avrebbe potuto Maria
affrontare ogni anno le fatiche
di un simile viaggio, se nel frattempo avesse avuto almeno altri sei
figli (i quattro maschi e, come minimo, un paio di femmine)?
Chi avrebbe
allattato i neonati
durante l’assenza della madre?
Maria avrebbe dovuto
attendere almeno lo svezzamento dei pargoli, ciascuno dei quali avrebbe
richiesto non meno di un anno. Difficile che per ben sei volte Maria abbia
potuto contare su una
balia disponibile a Nazaret, proprio nel periodo del viaggio.
Luca riferisce anche
che i genitori di Gesù presero la via del ritorno
trascorsi i giorni della festa,
ovvero dopo sette giorni.
Rimanere per tutta la durata
delle festività non era obbligatorio.
Possibile che Maria fosse una
madre così sciagurata da lasciare
i suoi sei figli piccoli, di cui il
maggiore poteva avere al massimo undici anni, da soli a Nazaret per tre
settimane? E tutto per onorare un precetto verso il quale lei non aveva alcun
obbligo?
Un simile comportamento sarebbe privo di senso.
Come pure ipotizzare che la figliolanza sia giunta dopo che Gesù aveva compiuto
dodici anni. Intanto, perché
mai Giuseppe e Maria avrebbero dovuto aspettare per avere altri figli?
E poi, risulta poco credibile che, durante gli anni dell apostolato, il trentenne Gesù sia stato ammonito, consigliato e ripreso da
saggi fratellini, tutti minori di diciotto anni.
Anna, la madre di Samuele, che per
un atto di speciale pietà era solita recarsi ogni anno con suo marito Elkana,
dopo la nascita del figlio restò a casa finché questi non fosse svezzato (1 Sam
1,7.21 ss.), vale a dire fino all’età di quattro anni. Il pellegrinaggio pasquale a Gerusalemme comportava come minimo due settimane
di assenza da casa. Come si apprende
sempre da Luca, quando Gesù aveva 12 anni, i
genitori rimasero nella Città Santa per tutta la festa di sette giorni. Ebbene,
neppure a questo erano obbligati. Se ne deve logicamente dedurre che Maria non
poteva avere a casa una schiera di bambini, il maggiore dei quali avrebbe avuto
solo 11 anni. Come provano le modificazioni di Mc 3,20s. nei passi paralleli
degli altri Vangeli e le conseguenti varianti al testo, i racconti della
incomprensione incontrata da Gesù da parte dei suoi parenti, già nella Chiesa
antica furono trovati difficili, se non scandalosi>>.
Eppure, <<ci sarebbe stato un mezzo
molto semplice non solo per attenuare il disagio causato
da quei racconti, ma per utilizzarli, anzi, positivamente, come prova
della profezia messianica>>.
In effetti, nel Salmo 69,9 uno zelatore
della causa di Dio, che per
ciò è perseguitato, si lamenta:
<<Sono diventato un estraneo per i
miei fratelli / E un forestiero per i figli di mia
madre>>.
Osserva Blinzer: <<e’ accertato che questo
salmo, fin dal principio ha avuto nella Chiesa un ruolo importante ed è stato
applicato al Messia Gesù. Nel Nuovo Testamento vi si fa riferimento, o vi si
allude, non meno di 18 volte. Stupisce,
allora, che non si sia mai fatto ricorso, nello stesso Nuovo Testamento, a questo versetto
9 per spiegare l’incomprensione dei fratelli del Signore.
Come sarebbe stato ovvio per Matteo concludere la pericope 12,46ss. Con
l’accenno all’adempimento di queste parole profetiche!
Di questo silenzio esiste soltanto
una spiegazione convincente: l’applicazione
del salmo 69 a Gesù e ai suoi parenti era impossibile, perché i fratelli di
cui parlano i Vangeli non erano “figli di sua madre”>>. Insomma un tassello
in più, da aggiungere ai molti altri,
nella ricerca di ciò che i
Vangeli vogliono dirci davvero (cfr, V. Messori, Ipotesi su Maria).
E’ uso comune degli
evangelisti citare il Vecchio Testamento, per dimostrare l’adempimento delle Scritture in Gesù Cristo.
Proprio Matteo cita moltissimo il Vecchio Testamento.
Vediamone qualche esempio:
“Tutto questo avvenne perché si adempisse ciò
che era stato
detto dal Signore per mezzo del profeta: Ecco, la vergine concepirà e
partorirà un figlio che sarà chiamato
Emmanuele, che significa Dio con noi.” (Mt 1,22)
“Giuseppe,
destatosi, prese con sé il bambino e sua madre nella notte e fuggì in Egitto,
dove rimase fino alla morte di Erode, perché
si adempisse ciò che era stato
detto dal Signore
per mezzo del profeta:
Dall’Egitto ho chiamato il mio figlio.” (Mt 2,14-15)
“Avvertito poi in sogno,
si ritirò nelle regioni della
Galilea e, appena
giunto, andò ad abitare in una città chiamata Nazaret, perché si adempisse ciò che era stato detto dai
profeti: «Sarà chiamato Nazareno”. (Mt 2,22-23)
“Avendo
intanto saputo che Giovanni era stato arrestato, Gesù si ritirò nella Galilea
e, lasciata Nazaret, venne ad abitare a Cafarnao, presso il mare, nel
territorio di Zàbulon e di Nèftali, perché si adempisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia: Il paese di Zàbulon e il paese di Nèftali, sulla via del mare, al di là del Giordano,
Galilea delle genti;
il popolo immerso nelle tenebre ha visto una grande luce; su quelli che dimoravano in terra e ombra
di morte una luce si è levata. “ (Mt 4,12-16)
“Venuta la
sera, gli portarono molti indemoniati ed egli scacciò gli spiriti con la sua
parola e guarì tutti i malati, perché
si adempisse ciò
che era stato detto per mezzo del profeta Isaia: Egli
ha preso le nostre infermità e si è
addossato le nostre malattie.” (Mt 8,16-17)
Visto che i “fratelli” del Signore
non credevano in lui, Matteo, con il suo usuale modo di citare le Scritture, per ben identificare il Messia agli occhi degli
increduli ebrei, poteva
citare il Salmo
69,9 anche per dimostrare che nemmeno “i figli di sua madre” credevano
in lui. Invece non lo fa, è un indizio.
ALTRI INDIZI
Un episodio che potrebbe
essere un indizio
del fatto che Gesù fosse figlio unico è quello della
resurrezione del figlio della vedova di Nain:
In seguito si
recò in una città chiamata Nain e facevano la strada con lui i discepoli e
grande folla. Quando fu vicino alla porta della città, ecco che veniva portato
al sepolcro un morto, figlio unico di madre vedova; e molta gente della città era con lei. Vedendola, il Signore ne ebbe
compassione e le disse : Non
piangere! . E accostatosi toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi
disse:
Giovinetto, dico a te, alzati! . Il morto si levò a sedere
e incominciò a parlare. Ed egli lo diede
alla madre. (Lc
7, 11-15)
Le modalità con cui si svolge
questo miracolo sono un po anomale rispetto al comportamento abituale di Gesù. In genere i parenti dello
sventurato o lo sventurato stesso
vanno incontro a Gesù e implorano la guarigione. Gesù chiede
loro una dichiarazione di fede e, quando l’ha ricevuta, li esaudisce.
In questo caso, invece, è Gesù
che prende l’iniziativa. Vede il corteo funebre, individua la grande sofferenza della madre e si commuove. Non è frequente vedere nei Vangeli
Gesù che si commuove
dinanzi alla morte, alla malattia o all infermità.
Perché si commuove
proprio in questo caso?
Forse perché il morto era figlio unico di madre vedova, proprio
come Gesù stesso. Nel corteo funebre del ragazzo
di Nain Egli vede il proprio, nel dolore della madre del giovanetto Egli vede il dolore di Maria, alla quale sarà
strappato l’unico figlio.
Gesù non si commuove
per la morte del figlio,
bensì per il dolore della madre, che ha perso l’unica ragione di vita e l’unica
fonte di aiuto per vivere.
E per questo che Gesù decide di intervenire, anche se
nessuno gli ha chiesto nulla e se nessuno ha manifestato la propria fede nel miracolo: la resurrezione del ragazzo è un atto di pura prodigalità del Cristo, un dono che Egli elargisce
senza condizioni.
Che dire di
Gesù morente?
Gv 19,26-27 “Gesù allora
vedendo sua madre…
disse: “Donna, ecco tuo figlio…
e da quel momento il discepolo la prese nella sua casa.
Se Maria avesse avuto altri figli, sarebbe rimasta
presso di loro e non con Giovanni,
né Gesù si sarebbe espresso in quella maniera, lo
faceva notare anche Blinzer nelle sue riflessioni.
Molti protestanti rispondono
che siccome gli altri fratelli di Gesù non credevano in lui, non potevano
essere d’aiuto spirituale a Maria, in quel momento di dolore. Dimenticano però che loro stessi (e solo
loro) ritengono Giacomo vescovo di Gerusalemme fratello carnale del Signore, gettandosi da soli la zappa sui piedi, contraddicendosi. Quel Giacomo come vediamo in Gal 1,19 era apostolo, ciò vuol dire
che credeva nel Signore, quindi Gesù poteva affidare a Giacomo sua madre, non
ci sarebbe stato nemmeno bisogno che sprecasse fiato prezioso, per
l’affidamento, tanto era logico e naturale
che Maria fosse aiutata dal presunto figlio
Giacomo. Su questo i fratelli separati dovrebbero riflettere di più, la
contraddizione è evidentissima ma stranamente molti non se ne accorgono.
Se Giacomo vescovo di Gerusalemme
era fratello germano di Gesù e per giunta apostolo come fanno ad affermare
contemporaneamente che nessuno dei fratelli di Gesù credeva in Lui? C’è da
considerare l’ipotesi che questo Giacomo,
non fosse apostolo, e che fosse venuto alla fede dopo la
morte di Gesù, ma un neo-cristiano non diventa vescovo. Se Giacomo fu vescovo
di Gerusalemme, era perché per molti anni dette prova di grande fede e fermezza
dottrinale. E poi non è corretto
descrivere Maria come una donna fragile, che aveva bisogno
di essere confortata da un apostolo, ella che era invece una donna forte, la sua
presenza davanti alla croce lo dimostra, la sua fede era incrollabile. Una
donna con una fede fragile si sarebbe preoccupata “di quello che potevano dire
le persone del suo quartiere” vedendola incinta prima ancora di essere sposata.
Invece lei ancora
adolescente dice si al Signore,
dimostrando la sua grande fede.
Non dimentichiamo che proprio a
lei era stata fatta la profezia dal vecchio Simeone, “una spada trafiggera il tuo cuore…”, quindi ella più di ogni altro era preparata da lungo tempo a quel dolore.
Era lei semmai che poteva confortare gli apostoli, Giovanni a quel tempo era
poco più di un ragazzo, anche Leonardo da Vinci lo dipinge come tale, nella sua
“ultima cena”, senza barba, e con i lineamenti delicati, propri di un giovane
ragazzo. La verità dice che, innanzitutto Giacomo non era fratello carnale di
Gesù ma figlio di Alfeo, quindi cugino di Gesù, in quanto Alfeo era fratello
germano di s. Giuseppe. Quando i fratelli non cattolici motivano l’affidamento
che Gesù fa di Maria a Giovanni, in conseguenza del fatto che gli “altri figli”
di Maria non erano credenti e non potevano sostenerla spiritualmente,
dovrebbero tenere presente che il Giacomo indicato da loro come fratello
carnale del Signore, era credente, e non lo diventò in un secondo momento, ma
lo fu fin dalla scelta degli apostoli, in quanto egli stesso era apostolo (Gal
1,19)
Poi è strano, e lo ripetiamo, come mai Giuda nella sua lettera al capitolo 1 versetti 1-2 dica :
“Giuda, servo di Gesù Cristo, fratello di Giacomo, agli eletti che vivono nell’amore di Dio Padre e sono stati preservati per Gesù Cristo:
misericordia a voi e pace e carità in abbondanza.”
Se la figura principale indubbiamente è Gesù come mai Giuda dice di
essere solo fratello di Giacomo?
Se la tesi dei protestanti sarebbe corretta non era
più logico che Giuda
scrivesse:
“Giuda servo e
fratello di Gesù e di Giacomo…….”?
Oppure semplicemente:“Giuda, fratello di Gesù e di Giacomo” visto che la figura
principale era Gesù? Ma la
verità dice che Giuda era solo fratello carnale di Giacomo e non di Gesù.
Ritornando all’affidamento, Gesù sapendo
che la madre sarebbe rimasta
sola (non avendo
altri figli) la affida a Giovanni e gli chiede di portarla con sé. Oltretutto Cristo non parlava mai a
casaccio, ogni sua parola era messa al giusto posto e nel giusto ordine.
Perché ai piedi della croce era presente il più giovane degli apostoli e non il più autorevole Pietro? Forse perché rappresentava la
purezza di cuore della Chiesa nascente, rispetto ai cuori più maliziosi degli
altri apostoli.
Perché Gesù lo amava?
Forse perché incarnava
l’ingenuità dei bambini,
e quindi la loro purezza, come un bambino Giovanni infatti
poggiava la testa sul petto di Gesù.
Ecco perché bisogna capire
il perché prima viene menzionata Maria, “Donna ecco tuo figlio…” E’ Giovanni che viene affidato a
Maria non il contrario, prima nasce la Chiesa e subito dopo, quasi in contemporanea il primo figlio della Chiesa.
Giovanni ancora ragazzo
era il più adatto a rappresentare il credente dal cuore
ingenuo e puro.
E’ bene
notare che in Gv 19,26-27 viene menzionata prima Maria, lei per prima fu vista
da Gesù morente, e vicino
a Maria vide il discepolo che amava, notiamo
infatti che Gesù prima si rivolse
alla madre e non a Giovanni.
“disse alla madre, Donna, ecco tuo
figlio! Quindi disse al discepolo: Ecco tua
madre”
Poteva chiamare Maria “madre,
ecco tuo figlio”,
invece usa volutamente il titolo Donna,
perché è un chiaro riferimento
sia alla Genesi che all’Apocalisse, la prima già scritta, la seconda
profetizzata in quel momento dal Cristo stesso, e dopo alcuni anni scritta da
Giovanni, il figlio prefigurato della Donna vestita di sole.
Ma Maria fu chiamata “donna”
anche alle nozze
di Cana, dove Gesù
gli disse che “ancora non era
venuta la sua ora”. In quel momento invece appeso alla croce, ben conscio che
quella, proprio quella, fosse la sua ora, riconosce la madre, e la insignisce
di nuovo del titolo “Donna”.
Quindi prima affida a Maria il discepolo, che in quel momento era l’unico
rappresentante della Chiesa nascente, la Chiesa che simbolicamente stava per nascere
dalla Sua costola,
così come Eva nacque dalla costola di Adamo.
Quest’ultimo era addormentato
quando dalla sua costola nacque Eva, così come lo era Gesù (in totale, dormì
solo per tre giorni) quando il soldato aprì il suo costato con un colpo di
lancia, fuoriuscirono sangue e acqua entrambi simboli di vita. Poco prima Gesù
con il suo gesto affidò a Maria la Chiesa
e, subito dopo indica al discepolo di
considerare Maria, e quindi la Chiesa, come una madre. Maria
simbolo della Chiesa, la donna vestita di
sole, Giovanni simbolo dei figli della Chiesa, dei cristiani. Qualche
protestante nel tentativo di screditare la verginità perpetu di Maria aggiunge
che i dolori del parto significano che Maria partorì con dolore come tutte le
altre donne peccatrici, come predisse Dio ad Eva, dò un breve cenno di cosa
significhino invece i dolori del parto: “Nelle "doglie del parto" si esprime fortemente l'itinerario di fede compiuto dalla
comunità dei discepoli per accettare un messia sofferente, un Agnello
immolato.
Nel vangelo,
la donna rappresenta i discepoli, e, tra
essi, la madre di Gesù si trova degnamente : ha accolto in suo figlio il Messia,
come Dio glielo proponeva, e ha vissuto
in modo esemplare il dramma
del Cristo crocifisso, come il vangelo ce lo mostra.
La donna
rappresenta soprattutto Maria nell'ora dolorosa
in cui Gesù le rivela
la sua maternità spirituale nei confronti del discepolo benamato (Gv
19, 25-27).
Maria è in modo eminente la
donna dell'Apocalisse che partorisce nel dolore e che diventa anche la madre di
quelli che vivono i comandamenti divini e rendono testimonianza a Gesù (Ap 12,
17).Quindi anche noi cristiani (discepoli) dobbiamo considerare Maria come madre spirituale.
La logica che ostentano i protestanti si infrange di fronte alla stessa logica
umana; Gesù vedendo
sua Madre trafitta dal dolore, per un istinto di figlio doveva chiedere
subito aiuto a Giovanni, “Giovanni ti prego aiuta mia madre, non la lasciare
sola, prendila con te”.
Se ad esempio io sono sul
terrazzo di casa mia e, da lassù vedo mia madre che cade facendosi molto male,
e per caso nelle vicinanze vedo un vicino di casa subito gli chiedo di
aiutarla, sicuramente non mi rivolgo a mia madre dicendogli “mamma fatti aiutare
dal sig. Giuseppe” perché mia madre magari in quel momento non sarebbe nelle
condizioni di parlare e di muoversi liberamente, essendo per terra dolorante e frastornata dal dolore. Quindi
mi rivolgo prima al vicino di casa e lo prego di prendersi
cura di mia madre.
Gesù non dice a sua madre,
“madre va ad abitare con Giovanni” ma prima affida a lei Giovanni, indica a Maria di considerare
Giovanni come suo figlio, gli indica di prendersi cura della Sua Chiesa, di
essere madre della Sua Chiesa.
Perché Gesù si rivolge
prima alla madre nonostante il dolore straziante dipinto sul suo viso?
Per
adempiere la sua stessa profezia che dice “Che
ho da fare con te o donna. Non è ancora giunta la mia ora” che ritraducendo
il testo greco in ebraico (Jean Carmignac) risulta una frase più comprensibile:
“Che importa a me e a te o donna se gli
è finito il vino?”; sulla croce era arrivata quell’ora, quel momento
profetizzato qualche tempo prima. Gesù con quelle parole stava riconoscendo,
onorando sua madre, affidandogli la Chiesa.
Se Maria avesse avuto altri figli
il Salvatore non avrebbe trascurato questo fatto, e non avrebbe affidato ad altri la madre; né essa sarebbe
diventata madre di altri. Maria
non avrebbe abbandonato i suoi per vivere con altri,
ben sapendo che una madre non deve mai abbandonare il marito o i figli. Se ci sarebbero stati i cosiddetti
increduli “fratelli” di Gesù, Maria non li avrebbe abbandonati alla loro
incredulità, ma si sarebbe prodigata per ottenere la loro fede in Cristo.
Oltretutto in Atti 1,14 troviamo
Maria assieme ai fratelli di Lui, che con gli altri discepoli pregavano, quindi
da increduli erano divenuti credenti, e Gesù con la sua onniscienza questo lo
aveva sempre saputo. In questo scenario Maria sarebbe andata a vivere con
l’apostolo Giovanni solo per una trentina di giorni, visto
che i fratelli di lui nel frattempo divennero credenti. Bisogna pure ricordare che Giovanni era
poco più di un ragazzo e, semmai, era lui ad aver bisogno di assistenza
spirituale, dalla madre del Signore e della Chiesa. La tesi protestante che
giustifica l’affidamento di Maria a Giovanni in base alla miscredenza dei
presunti fratelli carnali, non convince, e ne abbiamo visto i motivi.
Basta dunque far attenzione
alle parole che vengono usate da Gesù, dice
“Donna ecco tuo figlio…” e il termine “donna”
come abbiamo visto ricorre pure in Genesi e in Apocalisse per indicare Maria/Chiesa, dire Maria e
dire Chiesa e la stessa cosa.
Ma Gilles continua ancora con la
sua metodica analitica a cesellare i versetti che gli interessano, deducendo
alcuni fatti riguardanti la famiglia di Gesù a suo modo di vedere, molto
evidenti, e scrive: “[…] Non dimentichiamo che <<i suoi>> o i
<<suoi fratelli>> non videro certo di buon occhio l’inizio del suo
ministero pubblico. Si può anche supporre che fossero seccati dal comportamento
e dall’attività di Gesù e irritati, forse perfino ostili, nei suoi riguardi. Lo
definiscono in modo chiaro e deciso <<fuori di sé>> e vogliono
<<prenderlo>> (Marco 3,21), poiché <<neppure i suoi fratelli
credevano in lui>> (Gv 7,5). Dato che poi gli avvenimenti peggiorarono
fino a diventare tragici con la condanna a morte – e per giurisdizione e
decisione della potenza occupante (<<Ci mancava solo questo!...>>,
perché i membri della sua famiglia in senso stretto si facessero scoprire,
schedare e avessero delle noie!) – è plausibile, anche probabile che nel corso
del tempo i rapporti fra Gesù e i suoi fratelli non abbiano fatto che
peggiorare e che essi lo abbiano abbandonato e che abbiano tagliato i ponti con lui (il grassetto è mio, ndr) verso la fine della sua vita terrena. Dei suoi
fedelissimi – a parte Giovanni- uno lo ha rinnegato, gli altri sono fuggiti,
abbandonandolo nei suoi ultimi momenti,
proprio quelli che gli erano
più fedeli e che
lo amavano sinceramente.
Quale avrà potuto essere
allora il comportamento dei suoi che, all’inizio, erano stati esasperati dalla
sua azione fra gli uomini, che mentre era vivo, a quanto pare, non gli diedero
mai fiducia e non ebbero un atteggiamento benevolo
verso di lui? Gesù che sta per morire si preoccupa per sua
madre. Essa, da parte sua, è stata vicina a lui con tutto il suo cuore
ed eccola (secondo
il Vangelo di Giovanni)
compromettersi -realmente compromettersi- agli occhi di tutti, funzionari
(ecclesiastici, nazionali e romani) e parenti prossimi, con la sua presenza
fisica sul Golgota al momento della sua esecuzione.
Notata dagli uni (riconosciuta
nella folla), disapprovata dagli altri, cosa le sarebbe accaduto? Inoltre, chi,
di quelli che erano più vicini a lui, si trova ai piedi della croce? Maria e
Giovanni. E infine soprattutto:
spiritualmente, chi fu maggiormente in
comunione con il pensiero di Gesù, con il suo messaggio, durante la sua vita?
Senza dubbio sua madre. Poi certamente Giovanni, il discepolo prediletto fra tutti. Come non vedere prima di tutto un’adozione filiale di tipo spirituale,
instaurata o suscitata da Gesù tra sua madre e il discepolo amato e fedele?
In fin dei conti,
nulla di decisivo
in quei due versetti di Giovanni che possa sostenere
le tesi o solamente lasciar supporre che Gesù
fosse <<figlio unico>> sul piano terreno.
Riguardo al termine adelphos attribuito dagli evangelisti ai parenti prossimi
di Gesù, c’è da temere che si sia abusato molto della
spiegazione che collegava il suo significato a semitismo, ebraismo,
“settantismo” o aramaismo. Lo prova l’uso costante di adelphos nei Vangeli, applicato ad altre persone col significato di
vero fratello carnale” (cfr. Gilles, i fratelli e sorelle di Gesù, ed.
Claudiana).
Le analisi del Gilles,
ad un primo esame sembrano sempre ben impostate, profonde,
logiche, e quindi esatte. In
questo brano appena citato, che si trova nelle
pagg. 90 e 91 del suo libro, ci fa notare il dissenso dei “fratelli” di Gesù e
quindi la motivazione dell’affidamento di Maria a Giovanni.
Abbiamo visto, ma ripetiamo come sia strano
notare che in
Atti 1,14 ritroviamo Maria assieme ai
fratelli di Gesù. Questi “fratelli” che tagliarono i ponti con Gesù, sul finire
della sua vita terrena, pur avendo avuto 3 anni di tempo per ascoltare i suoi
insegnamenti, (ammesso che negli altri 30 siano stati tenuti all’oscuro sulla
persona di Gesù) in meno di due mesi si convertono, e li ritroviamo addirittura
assidui nella preghiera, assieme agli apostoli e a Maria.
At 1,14-15 “C’erano
Pietro e Giovanni, Giacomo e Andrea, Filippo e Tommaso, Bartolomeo e Matteo,
Giacomo di Alfeo e Simone lo Zelota e Giuda di Giacomo. Tutti questi erano
assidui e concordi nella preghiera, insieme con alcune donne e con Maria, la madre di Gesù e con i fratelli di lui. In quei giorni, Pietro si alzò in mezzo a
loro - il numero delle persone riunite era di circa centoventi”.
Tutto è possibile a Dio, bastava
anche un sol giorno, o un solo minuto, per la conversione dei “fratelli” di Gesù ma questo
ovviamente non sarebbe sfuggito a Cristo morente sulla croce, che con la sua
onniscienza, prevedeva benissimo cosa avrebbero fatto i suoi “fratelli” dopo la
sua morte e resurrezione. Perché dunque affidare Maria
a Giovanni, ben sapendo che i suoi “fratelli”
dopo qualche giorno si sarebbero convertiti?
Non sappiamo
se la conversione dei “fratelli” di Gesù avvenne
prima o dopo la sua morte, può darsi
che sia avvenuta dopo le sue apparizioni ai discepoli, in ogni caso,
lo ripetiamo, non ci sarebbe
stato alcun bisogno di affidare Maria
all’apostolo, se questi “fratelli” erano realmente carnali,
considerata la preveggenza di Gesù.
Di tutte le donne presenti
solo Maria viene indicata per nome. Nel
testo citato di Atti, l'autore ispirato si attiene
a questa norma biblica. Delle donne è nominata solo “Maria, la madre di Gesù”
(Atti 1,14). Solo Lei è degna di essere segnalata per nome appunto perché il
suo posto nella congregazione primitiva era un posto speciale, proprio
l'opposto di ciò che dicono i protestanti.
Inoltre perché viene sempre
detto Maria e i fratelli di Lui?
Qui, più che in ogni
altro versetto, sarebbe
stato logico usare la frase
“insieme con alcune
donne e con Maria la madre di
Gesù, e gli altri figli di lei”; oppure “ Maria
madre di Gesù, e gli altri suoi figli” si capiva lo stesso che i figli
erano di Maria.
“Attenti bene, l’abbiamo detto e lo ripetiamo: soltanto
Gesù viene chiamato
"figlio di Maria", i suoi fratelli no.
E anche Maria è sempre chiamata la "Madre di Gesù", e mai viene detta madre dei suoi
fratelli. Invece viene sempre specificato “i
fratelli di Lui”.
Non è un particolare di
poco conto. Se stiamo attenti al modo con il quale san Luca racconta, negli Atti degli Apostoli, il brano che abbiamo letto
prima, possiamo fare una osservazione interessante. San Luca scrive: "Tutti questi erano assidui e
concordi nella preghiera, insieme con alcune
donne e con Maria, la Madre
di Gesù, e con i fratelli di lui" (1,14).
Naturalmente, questo è solo un primo indizio, un
particolare certamente interessante, che non deve sfuggire a chi sa leggere bene la Bibbia;
si tratta di un indizio
che ci introduce ad una riflessione più profonda. Proseguiamo.
IL FINCHE’ CHE SI FERMA
Sempre a proposito
della perpetua verginità di Maria non capisco perché
si deve strumentalizzare il versetto: “Giuseppe
non si unì a Maria finché ella non
ebbe partorito” (Mt 1,25), questo versetto non prova affatto che dopo lo fece, si ferma, non specifica e non chiarisce il seguito.
Anche il “finché”
era un termine usato nel linguaggio di quei tempi, che non prova
assolutamente che dopo, Giuseppe, si unì a Maria, quanti sono i matrimoni
uguali a quello di Giuseppe e Maria? Neppure
uno, il loro matrimonio viene sconvolto in senso positivo
da Dio, solo nel loro matrimonio
si verifica un evento di tale portata, solo Maria restò incinta per opera dello
Spirito Santo.
Spiega S. Agostino [De cons.
evang. 2, 1], Giuseppe viene detto padre di Cristo per la stessa ragione per cui è detto
«sposo di Maria, senza unione
carnale, ma in forza del solo matrimonio: cioè molto più congiunto a Cristo che se lo avesse adottato.
Come osserva S. Girolamo [In
Mt 1, su 1, 18], «sebbene Giuseppe non sia il padre del Signore nostro Salvatore, tuttavia la genealogia di Cristo è condotta fino a Giuseppe» innanzitutto perché
«non è consuetudine delle Scritture tessere
le genealogie rifacendosi alle donne. - Poi perché
Maria e Giuseppe erano della stessa tribù. Per cui Giuseppe era
obbligato dalla legge per ragioni di parentela a prenderla in moglie». - E
ancora, come dice S. Agostino [De nuptiis et concup. 1, 11],
«la genealogia doveva
discendere fino a Giuseppe perché in tale matrimonio non soffrisse alcuna
minorazione il sesso maschile, che è il più nobile, mentre nulla soffriva la
verità, essendo Giuseppe e Maria della stirpe di Davide». 3. Come spiega la
Glossa [ord.], S. Paolo «adopera alla maniera ebraica il nome mulier al posto
di femina. Poiché l‘uso ebraico chiama mulieres tutte le donne, non solo quelle
che hanno perduto la verginità». 4. La ragione addotta vale per le cose che
vengono all‘esistenza per via naturale, poiché
la natura, come è fissa a un determinato effetto, così ha pure un modo immutabile di produrlo. Ma essendo
la potenza soprannaturale di Dio infinita, come non si restringe a un solo
effetto, così non ha limiti nel modo di produrlo. Se quindi la potenza divina
poté formare il primo uomo «dal fango della terra», poté anche formare il corpo
di Cristo da una vergine senza il seme virile.
Senza alcun dubbio dobbiamo
affermare che la madre di Cristo fu vergine
anche nel parto, poiché il Profeta [Is 7, 14] non dice solo:
«Ecco, la vergine concepirà», ma aggiunge: «e partorirà un figlio». E ciò era conveniente per tre ragioni. Primo,
perché si addiceva alla proprietà personale del Verbo di Dio che nasceva. Infatti il Verbo mentale
non solo viene concepito senza alterazione della mente,
ma anche esce da essa senza corromperla. Per dimostrare quindi che quel corpo
apparteneva allo stesso Verbo di Dio, era conveniente che nascesse dal seno
incorrotto della Vergine. Così si legge infatti in proposito in un sermone del
Concilio di Efeso [l. cit.]: «La donna che dà alla luce una carne comune perde
la verginità. Ma quando nasce nella carne il Verbo, allora Dio custodisce la
verginità, rivelandosi così come Verbo.
Come infatti il nostro verbo
mentale non corrompe
la mente quando viene
proferito, così neppure il Verbo sostanziale che è Dio, volendo nascere, viola
la verginità». Secondo, ciò era conveniente dalla parte del fine
dell‘incarnazione di Cristo. Infatti egli venne a togliere la nostra corruzione.
Non era quindi opportuno che nascendo corrompesse la verginità della madre.
Dice infatti S. Agostino [Serm. 121]: «Non era giusto che violasse l‘integrità
con la sua nascita colui che veniva a sanare la corruzione».
Terzo, era conveniente che colui il quale aveva comandato di onorare i genitori, nascendo
non menomasse l‘onore della madre.
In Ezechiele [44, 2] si legge:
«Questa porta rimarrà chiusa: non verrà aperta, nessuno vi passerà, perché c‘è passato il Signore, Dio d‘Israele»; commentando il quale passo S. Agostino
[Serm. 195] si domanda: «Che cosa significa: ―porta chiusa
nella casa del Signore‖ se non
che Maria sarà sempre intatta? E che cosa: ―il Signore
soltanto vi entra e ne esce‖
se non che lo Spirito
Santo la feconderà e il
Signore degli angeli nascerà da lei? E che cosa infine indicano le parole:
―Starà chiusa in eterno‖, se non che Maria
è vergine prima del parto, vergine nel parto, vergine
dopo il parto?».
La congiunzione finché [usque
o donec] ha due significati nella Scrittura. A volte indica
una precisa scadenza, come nel
passo di S. Paolo [Gal 3, 19]: «La legge fu aggiunta per le trasgressioni,
finché non fosse venuto il Discendente, a cui era stata fatta la promessa ».
Altre volte invece indica un tempo indeterminato, come in quel testo dei Salmi
[122, 2]: «I nostri occhi sono rivolti al Signore nostro Dio, finché abbia
pietà di noi», nella quale espressione non si può intendere che, dopo
aver ottenuto misericordia,
gli occhi si stacchino da Dio. E secondo questo modo di parlare si esprimono le sole cose
«di cui si potrebbe dubitare, se non
fossero state scritte, lasciando le altre
all‘intelligenza del lettore.
Così dunque l‘Evangelista dice che la madre di Dio non fu conosciuta dallo sposo fino al parto per
dire che tanto meno fu conosciuta dopo il parto».
È consuetudine delle divine
Scritture di chiamare primogenito non solo chi ha dopo di sé altri fratelli, ma anche chi è nato per primo. «Altrimenti, se fosse primogenito soltanto chi è seguito da altri fratelli, la legge non
obbligherebbe a riscattare i primogeniti finché non siano nati gli altri»
[Gir., l. cit., 10]. Il che è evidentemente falso, poiché la legge comandava
che i primogeniti venissero riscattati entro un mese [Nm 18, 16].
Perché Giuseppe
sposò Maria?
Il matrimonio tra Giuseppe e
Maria fu necessario perché altrimenti la Madonna sarebbe stata lapidata come
adultera se trovata incinta senza essere sposata. In questo modo Giuseppe poté
custodire la madre e il Figlio. Poi Giuseppe era certamente discendente della
stirpe davidica e solo lui, come uomo, poteva legalmente assicurare la
discendenza a Gesù secondo la carne. Il segreto poté rimanere nascosto finché
Dio non volle farlo conoscere bene attraverso lo stesso Verbo incarnato. I
nostri fratelli protestanti dimenticano che il nome Jahwè per gli antichi ebrei
era talmente sacro che non lo pronunciavano mai, figuriamoci Giuseppe,
cosciente che sua moglie aveva partorito
il Figlio di Dio incarnato, se si sarebbe mai
permesso di toccare carnalmente ciò
che Dio aveva toccato. Non dimentichiamo la scena avvenuta
sul monte Oreb,
Dio stesso dice a Mosè di
togliersi i sandali perché quel terreno era stato reso sacro, e di non
avvicinarsi troppo altrimenti sarebbe morto. Anche dopo che cessò l’apparizione
quel luogo restò terra santa, nessuno osava profanarlo. Per Giuseppe l’utero di
Maria era sacro, da custodire come uno scrigno, nel quale un tempo abitò
il Re dei Re. Era inconcepibile per un
ebreo profanare l’arca
di Dio, il tabernacolo dove Dio Figlio prese la carne è divenne uomo.
Nel caso di Maria i fratelli
separati non si attengono scrupolosamente alle nude lettere, così come giacciono, ma vanno
ben oltre usando
la logica umana moderna, facendo
dire a quel “finché”
ciò che non dice. A volte usano troppo la logica, trascurando la
fede, si dovrebbero però chiedere a rigor di logica, se Maria poteva restare
incinta senza conoscere uomo.
Non è difficile capire
quindi che la logica umana
mal si concilia con questo evento; il matrimonio di Maria non è paragonabile con nessun
altro matrimonio, Dio ha legato a se Maria, generando in lei suo figlio, il Suo
unico figlio. Maria ha accettato la volontà del Signore, il Verbo si fece carne
dentro di lei. Ella si trova a dover mettere al mondo il Figlio di Dio, e il
suo corpo non doveva essere inquinato da contatti con nessun altro uomo, anche
se quest’altro uomo era suo marito.
Giuseppe accetta il ruolo che Dio
gli riserva, in effetti fu un grande privilegio prendersi cura del Figlio di
Dio. Del resto nell’ottica cristiana anche morire per Cristo è un grande
privilegio, e i protestanti lo sanno benissimo, anche loro morirebbero per
Cristo, ben consci che rinunciare alla propria
vita testimoniando la fede il Lui
è un grande onore che sarà grandemente ricompensato nel
Regno dei Cieli. Quindi morire
sì, rinunciare ai rapporti carnali
con colei che ospitò nel suo seno il
Verbo di Dio non è concepibile!
Più grandi sono le rinunce
maggiore sarà la ricompensa, e credo che la vita abbia un valore maggiore del sesso. Voler
quindi usare la logica umana
moderna per giustificare eventuali rapporti
carnali tra Giuseppe e Maria appare fuori luogo.
Come nel sepolcro nuovo di Gesù non fu posto più nessuno,
cosi nel seno vergine di Maria non vi fu posto nessun altro uomo, all’infuori
di Gesù.
Ho accennato che il termine “fino a che” veniva usato abitualmente
dagli ebrei, questo termine non lascia intendere
che dopo lo stato dei fatti sia cambiato, come quando
Giuseppe non si accostò a Maria
“fino a che” ella non ebbe partorito; come anche nel Salmo 110,1
Di Davide. Salmo.
Oracolo del Signore al mio Signore:
«Siedi alla mia destra, finché io
ponga i tuoi nemici a
sgabello dei tuoi piedi».
Anche qui vediamo usato il termine
“finché”, se dovremmo ragionare
secondo la logica protestante allora dovremmo
pensare: dopo che il Padre ha posto i nemici di Gesù come sgabello dei suoi piedi, Gesù cesserà di
sedere alla Sua destra. Ecco perché si devono conoscere il linguaggio e i modi
di espressione degli ebrei di quei tempi, altrimenti si fa dire alla Bibbia ciò
che non dice, il “finché non prova ciò che succede dopo, ma si ferma, non va
oltre.
Es 15,14-16
“Hanno udito i popoli e tremano; dolore
incolse gli abitanti della Filistea. Già si spaventano i capi di Edom, i
potenti di Moab li prende il timore; tremano tutti gli abitanti di Canaan.
Piombano sopra di loro la paura e il terrore; per la potenza del tuo braccio
restano immobili come pietra, finché
sia passato il tuo popolo, Signore, finché sia passato questo tuo popolo
che ti sei acquistato.”
Dopo che sia passato
il popolo di Dio i capi di Edom e di Moab non tremeranno più davanti alla potenza di Dio?
Il termine “finché” nella Bibbia viene usato in diverse circostanze, ma quando c’è un seguito questo viene indicato, o in ogni
caso risulta chiaro è lampante il suo significato.
Es 33,21 “Aggiunse il Signore: «Ecco un luogo vicino a me. Tu starai sopra la
rupe: quando passerà la mia Gloria, io ti porrò
nella cavità della rupe e ti coprirò
con la mano finché sarò
passato. Poi toglierò
la mano e vedrai le mie spalle, ma il mio volto non lo si può vedere”.
Qui il Signore precisa
cosa accade dopo il “finché” infatti
dice che dopo toglierà la sua mano e
Mosè potrà vedere le sue spalle.
Basterebbe analizzare la Bibbia
parola per parola,
senza correre sui versetti, meditandola, soffermandosi a riflettere,
mettendo da parte i pregiudizi e ragionando con obiettività.
Ad esempio, quando Mosè
passava per il villaggio diretto verso la tenda i suoi compatrioti stavano
ognuno affacciati davanti all’ingresso della propria tenda, ma quando Mosè
entrava essi continuavano a stare affacciati, altrimenti non si spiegherebbe come vedessero “la colonna di nube”
che stava all’ingresso della
tenda sacra, dato che essa scendeva
dopo
che Mosè entrava nella tenda. Eppure anche in questo
episodio viene usato il termine
“finché”, poi dai versetti
seguenti si capisce che in effetti restavano
affacciati ognuno davanti l’ingresso della propria tenda e si prostravano in
adorazione dello Spirito di Dio, ma sono i versetti seguenti a chiarirlo e non
il termine finché!
Es 33,8 “ Quando Mosè usciva per recarsi alla tenda, tutto il popolo
si alzava in piedi, stando ciascuno all’ingresso della sua tenda: guardavano passare Mosè, finché fosse entrato nella tenda. 9Quando Mosè
entrava nella tenda, scendeva la colonna di nube e restava all’ingresso
della tenda. Allora il Signore parlava con Mosè. Tutto il popolo vedeva la colonna
di nube, che stava all’ingresso della tenda e tutti si alzavano e si prostravano ciascuno
all’ingresso della propria tenda.”
Se dovessimo usare il termine finché secondo la logica protestante,
dovremmo dedurre che il popolo restava all’ingresso della propria tenda,
guardando passare Mosè, finché fosse
entrato nella Tenda sacra.
Poi ognuno rientrava nella propria tenda ritornando a occuparsi delle
faccende personali. Ma così non accadeva, perché
tutto il popolo
vedeva la colonna
di nube, e si
prostravano all’ingresso della propria tenda.
Anche in Lv 8,33 si capisce
chiaramente cosa accade
dopo il “finché” infatti
è chiaro e lampante
che l’investitura durava sette giorni, passati i quali potevano uscire:
“Per sette giorni
non uscirete dall’ingresso della tenda del convegno, finché
cioè non siano compiuti i giorni
della vostra investitura, perché la vostra investitura durerà sette giorni.”
In questi casi quello
che accade dopo il finché viene spiegato,
oppure si capisce chiaramente.
Il “finché” usato da Matteo al capitolo 1,25 vuole soltanto
dimostrare che la nascita di Gesù
fu un evento soprannaturale, e a
scanso di equivoci Matteo sottolinea che s. Giuseppe non si accostò a Maria finché ella non ebbe partorito. Qui
Matteo sta puntualizzando che Giuseppe non ebbe concorso alla nascita di Gesù,
perché egli non si accostò mai a Maria durante la sua gravidanza, ma non prova affatto che dopo lo fece. Come
il tempo che indica il finché è
infinito nel Salmo 110,1 “Oracolo del Signore al mio Signore: «Siedi alla mia destra,
finché
io ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi». Così è
pure nel versetto di Matteo 1,25. Gesù infatti siede alla destra del Padre in
eterno, quindi quel finché indica un tempo infinito, la stessa cosa accade nel
Vangelo secondo Matteo.
Altri esempi che fanno capire l’uso che gli ebrei facevano del termine finché
non delimitando il suo
effetto in un arco di tempo, ma usandolo all’infinito. (Matteo era un ebreo
che scrisse per gli ebrei):
Dt 4,10 “Ricordati del giorno in cui sei comparso davanti al Signore tuo Dio
sull’Oreb, quando il Signore mi disse:
Radunami il popolo e io farò loro udire le mie parole,
perché imparino a temermi
finché vivranno sulla terra,
e le insegnino ai loro figli”
Dopo che non vivranno sulla terra forse non temeranno più il Signore?
Dt 31,12-13 “Radunerai il popolo,
uomini, donne, bambini
e il forestiero che sarà nelle tue città, perché ascoltino, imparino a temere
il Signore vostro
Dio e si preoccupino di mettere in pratica tutte
le parole di questa legge. I loro figli, che ancora
non la conoscono, la udranno e impareranno a temere il Signore vostro Dio, finché vivrete nel paese di cui voi
andate a prendere possesso passando il Giordano»”.
Appena non vivranno
più nel paese oltre il Giordano oppure
se perderanno possesso
di quelle terre cesseranno forse di temere il
Signore?
Ecco alcuni
versetti in cui quello che accade dopo il finché viene
chiarito:
1 Sam 1,22-24 “Non
verrò, finché il bambino non sia divezzato e io possa condurlo a vedere il
volto del Signore; poi resterà là per sempre». Le rispose Elkana suo marito:
«Fà pure quanto ti sembra meglio; rimani finché tu
l’abbia divezzato; soltanto
adempia il Signore
la tua parola». La donna rimase e allattò il figlio, finché l’ebbe divezzato. Dopo averlo divezzato, andò con lui,
portando un giovenco di tre anni, un’efa di farina e un otre di vino e venne
alla casa del Signore a Silo e il fanciullo era con loro.”
Qui il finché viene ampiamente chiarito
e non lascia alcun dubbio su
quello che accade dopo.
2 Sam 10,5 “Quando fu informato
della cosa, Davide mandò alcuni incontro a loro, perché quegli uomini erano pieni di vergogna. Il re
fece dire loro: «Restate a Gerico finché vi sia cresciuta di nuovo
la barba, poi tornerete”.
Anche qui si capisce
chiaramente che cosa accade
dopo il “finché”, nella Bibbia
ci sono comunque altri versetti dove il
significato è meno chiaro, ma leggendo tutto il contesto e i capitoli seguenti
si capisce cosa accade dopo il finché. Leggendo i capitoli seguenti la nascita
di Gesù si capisce soltanto che il termine “fratello” veniva usato in un senso
molto ampio dagli
ebrei, e che mai viene detto “Maria e gli altri suoi
figli”, come ho detto prima, abbiamo già visto in modo preciso e inequivocabile
chi erano i fratelli di Gesù.
Il “Non conosco
uomo” di Maria all’angelo dimostra
la sua ferma volontà di rimanere sempre vergine, per voto fatto, come
consacrata a Dio, come “eunuca” per il regno dei cieli.
Altrimenti la
frase di Maria non avrebbe senso,
visto che era fidanzata con Giuseppe,
e normalmente due fidanzati si sposano, Maria
una volta sposata
avrebbe potuto benissimo concepire un figlio con
Giuseppe, invece lei questa ipotesi non la considera nemmeno.
Ella dice “io non conosco uomo” se Maria si riferiva al suo stato temporaneo di verginità, avrebbe potuto dire “fino ad ora non conosco uomo”, ma il senso di meraviglia rimarebbe fuori posto.
Invece lei che si era consacrata
al Signore, si stupisce dell’affermazione dell’angelo, perché non voleva
conoscere uomo, e perché avendo fatto voto al Signore dava per scontato che Dio
sapeva di questo. In effetti Dio sapeva,
ma la Sua volontà era diversa da quella di Maria, e lei in tutta umiltà
e fedeltà l’ha accetta, sottomettendosi al volere di Dio. Una ragazza di
oggi, non si meraviglierebbe sentendosi dire che concepirà un figlio, perché è
normale che prima o poi si sposerà, soprattutto se già è fidanzata, penserà normalmente alla procreazione
da donna sposata, che in
seguito al rapporto d’amore con suo marito potrà concepire uno o più figli. In
questo caso la meraviglia non avrebbe senso, lo stupore scaturisce da un fatto
che va fuori dalle regole umane, e queste legavano Maria al suo voto di
verginità consacrata al Signore.
Maria invece
si meraviglia, perché si era consacrata a Dio nella verginità perpetua.
La Scrittura vuol dimostrare che il Bambino
Gesù non è stato concepito mediante il concorso umano, e basta, tutto il resto
sono solo fantasie.
Ma leggiamo ancora:
In 2 Sam 6,29 “Micol figlia di Saul, non ebbe figli fino al
giorno della sua morte” E’
certo che Micol non ebbe
figli neppure dopo la sua morte…
Ancora una volta notiamo come il
termine “fino a che” che ha lo stesso identico significato di “finché” (fino a quando)
veniva abitualmente usato
dagli ebrei, era un loro modo di parlare, un loro
modo di esprimersi.
E’ giusto
puntualizzare che molte analisi e
puntualizzazioni qui presenti sono riscontrabili negli scritti di fra Tommaso
Maria di Gesù, dei frati minori rinnovati
di Palermo, il quale mi ha molto aiutato con il suo libro Bibbia e
cristiani a confronto.
L’archeologia ha scoperto (1922) una iscrizione greca di un cimitero giudaico
dell’Egitto nella necropoli ebraica di Tell el-Jehudi, presso
Leontopolis, in Egitto, fu scoperta una
lapide, su di essa una donna di nome Arsinoe
ricorda (5° sec. a.C.) che dice: “La sorte mi condusse
al termine della vita nel dolore del parto del mio primogenito figlio”.
(Testo pubblicato da J.B. Frey, Biblica, 11 (1930), pp. 369-390, cit. da Alain de Benoist) Questa donna dopo la morte ebbe
forse altri figli?
Oppure anche questo ritrovamento prova che la parola primogenito veniva abitualmente usata per indicare i diritti legali e onorifici
del primo figlio, anche se questo rimaneva unico e solo figlio?
Vi prego, aprite gli occhi, dischiudete i vostri cuori,
riflettete serenamente su tutte queste
prove bibliche che magari mai prima d’ora avevate meditato.
La mia esperienza personale (dice Frà Tommaso Maria
di Gesù), mi fa capire come il grande dottore d’Ippona, il gigante del
pensiero, S. Agostino, avesse proprio ragione quando scriveva: “Può
credere chi vuole credere. La fede è
un sì libero, ma anche obbediente. Infatti Dio non lascia al nostro
arbitrio e piacimento di accogliere o rifiutare la sua rivelazione. Il Vangelo della salvezza non ci è rivolto semplicemente
come un’offerta, ma come un comando (1 Gv3,23 “Questo è il suo comandamento:
che crediate nel nome del suo Figlio Gesù Cristo”). Perciò in “no” che l’uomo
oppone alla rivelazione di Dio, il rifiuto
a credere, dalla S. Scrittura è detto una disobbedienza (Rm 11,30; 1 Pt 1,2). La Chiesa di Dio
definisce la fede come un pieno ossequio all’intelletto e della volontà a Dio
rivelante”
Dio non ha lasciato
la Chiesa in mano ai lupi rapaci,
o in balia della libera
interpretazione, ma ha costituito un gruppo di vescovi che
vigila e garantisce essendo colonna e sostegno della Verità (1 Tm 3,15).
Anche Pietro nella
sua seconda lettera
al capitolo 1,20 dice che “a nessuna
profezia della Scrittura compete un interpretazione soggettiva.”
Quindi Pietro ci dice che le Scritture vanno interpretate in seno alla Chiesa,
alla vera ed unica Chiesa, essa si fa garante della giusta interpretazione,
essa e solo essa ha l’autorità apostolica.
Se ne deduce che i singoli
soggetti che ambiscono a diventare dottori
e profeti, altro non sono che
ribelli, essi non riconoscendo l’autorità ecclesiastica non riconoscono Cristo,
perché Gesù disse: “Chi disprezza voi
disprezza me”.
Permettetemi una precisazione sull’uso
e sul significato delle parole
usate da Gesù, l’abbiamo
già visto, ma repetita juvant.
Gesù solo in
due occasioni chiama sua madre col titolo “donna”, una è quella durante
l’agonia sulla croce, e l’altra durante le nozze di Cana, è pure doveroso
risottolineare che nell’episodio di Cana i presunti fratelli carnali di Gesù
non c’erano, come mai? Mancavano pure le presunte sorelle perché? Come mai furono
invitati perfino i discepoli di Gesù e i suoi “fratelli e sorelle”
invece no? Gv 2,1-2 “Tre giorni dopo,
ci fu uno sposalizio a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato
alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli.” Qui si vede chiaramente che
prima viene menzionata la madre, come ad indicare
che la parentela (o l’amicizia) con gli sposi
derivava da lei, e poi Gesù e i discepoli, ma non i suoi fratelli, questi vengono menzionati solo dopo
l’episodio delle nozze.
Gv 2,12 “Dopo questo fatto, discese
a Cafarnao insieme
con sua madre, i fratelli
e i suoi discepoli e si
fermarono colà solo pochi giorni.”
Attenzione al “DOPO”, solo “dopo” vengono
menzionati anche i suoi fratelli
(cioè i suoi parenti)
perché ovviamente non erano stati invitati. Se io scrivo: "sabato io e mio
fratello siamo stati invitati ad un matrimonio, abbiamo apprezzato molto il
pranzo nuziale. Dopo siamo andati assieme ai miei genitori a fare shopping a
Palermo", si capisce che i miei genitori non erano presenti alle nozze e
che evidentemente li abbiamo presi al ritorno delle nozze, per andare a fare
compere a Palermo. Discorso simile dicasi per le nozze di Cana.
Ritornando al titolo “donna” che Gesù diede a sua madre, se leggiamo queste frasi con la mentalità odierna sorge l’impressione che Gesù avesse mancato di rispetto a sua madre etichettandola con l’aggettivo “donna”, infatti se io oggi chiamo mia madre “donna” indubbiamente chiunque sente si stupisce, essendo più consono (nel linguaggio odierno) chiamare la propria madre col titolo di “madre” o “mamma”. Il titolo donna rivolto alla madre oggi viene inteso in senso quasi dispregiativo, di distacco. Ai tempi di Gesù non era così; in quei tempi la donna era considerata solo una macchina per fare figli, la schiava, la serva dell’uomo. Anche in tempi abbastanza recenti (circa 50 anni fa) la donna quando chiamava suo marito gli dava del “VOI”, perché il marito veniva considerato superiore, tanto è vero che fino a poco tempo fa la donna (ad esempio in Italia) non aveva il diritto di voto nelle elezioni politiche. Notiamo che queste differenze tra donna e uomo se andiamo indietro nel tempo diventano sempre più marcate, ai tempi di Gesù chiamare una femmina col titolo “donna” era una grande onorificenza nei suoi riguardi. Gesù nel momento culminante della sua sofferenza, non pensava certo a offendere sua madre, ma piuttosto la chiama col titolo più bello che in quei tempi potesse esistere “donna”.
Egli con questo titolo dà onore a sua madre,
la riconosce perché era venuta
la Sua ora!
Un ultimo particolare ci viene da Atti 12,1-2 “In quel tempo il re Erode cominciò
a perseguitare alcuni membri della Chiesa e fece uccidere
di spada Giacomo, fratello di Giovanni.”
Questo Giacomo come abbiamo
visto era figlio
di Zebedeo, Giacomo
il minore (figlio
di Alfeo) resta
vivo e diventa vescovo di Gerusalemme.
PROVE ARCHEOLOGICHE
Risulta interessante conoscere la
vicenda della presunta urna di Giacomo ritrovata da alcuni archeologi, e usata inizialmente per avvalorare l’ipotesi di Giacomo presunto
fratello carnale di Gesù. Parla il fratello Massimo del
sito MSN Difendere la vera fede.
“A pochi giorni
dall'annuncio del ritrovamento dell' urna riportante l'iscrizione "Giacomo figlio di Giuseppe
fratello di Gesù" cominciano ad essere pubblicati articoli su siti e
riviste
archeologiche che esprimono dubbi
sull' iscrizione. Vi propongo alcuni
punti riassunti da un
articolo pubblicato su <<Archaelogy.miningco.com>>.
Voglio però precisare due cose:
la prima è che ritengo che il
ritrovamento sia ininfluente per quanto riguarda il dogma della verginità di Maria in quanto l' urna riporta
tre nomi molto comuni all'epoca
di Gesù e non c'è nulla che possa dirci con assoluta
certezza che il Gesù citato è realmente Gesù di Nazaret.
La seconda è che anche quanto
riporto deve essere
preso con le molle in quanto l'invidia
esiste anche a livello di studiosi....
Ci sono parecchi
dubbi riguardo al ritrovamento.
Il primo e più importante è che
non si sa con esattezza dove è stata rinvenuta l' urna. Il reperto appartiene
ad un anonimo collezionista che afferma che essa è stata rubata da un sito
archeologico vicino a Gerusalemme nei pressi del Monte degli
Ulivi. L'urna è in possesso
di questo collezionista da parecchi anni (si parla
di decine) e, anche se gli esami per stabilire una datazione hanno dato esito
positivo, questo non può far escludere a priori l'ipotesi di una
falsificazione.
Il secondo dubbio è legato,
come ho già detto in precedenza, al fatto che i nomi di Giacomo, Giuseppe e
Gesù erano abbastanza comuni nel primo secolo d.C. Inoltre la scritta è
estremamente insignificante ( In inglese: The inscription is, well, rather plain when you
consider the importance of James) se si considera l'importanza di Giacomo e,
naturalmente, quella di Gesù. A questo si aggiunge il fatto che non
ci sono prove che le prime comunità cristiane usassero urne per conservare
i resti dei loro morti come succedeva invece nelle comunità giudaiche. In altre
parole se l'urna è autentica potrebbe anche non appartenere ad un membro della
famiglia del fondatore della cristianità.
Per ultimo sembra che il prof.
Lemaire (che è colui che ha studiato
l' urna) non abbia pubblicato nessuno studio su giornali
accademici ma solo su riviste divulgative e su giornali popolari.
Comunque l'autore dell'articolo afferma
di non voler assolutamente mettere
in discussione l'autorità del
professore francese.
GIACOMO, IL FIGLIO DI UN
CUGINO DI GESÙ
di Marta Sordi
Scoperto un ossario vecchio
di duemila anni di un certo Giacomo.
Un'iscrizione lo mette in parentela con Gesù. Ma non è il
"fratello del Signore".
• Il ritrovamento, tramite il
mercato antiquario, di un ossario, proveniente da Gerusalemme o dintorni e
databile fra il 20 e il 70 d.C., ha permesso ad A. Lemaire di
portare alla conoscenza degli
studiosi un'iscrizione aramaica che potrebbe essere di grande importanza per le
origini del Cristianesimo: l'ossario, che è un parallelepipedo lievemente
rastremato verso il basso, lungo alla base poco più di 50 cm e alla sommità
56 cm e largo 30,5 cm
riguarda "Giacomo figlio di Giuseppe fratello di Gesù".
L'autenticità dell'Iscrizione (non
dell'ossario, che è autentico per tutti) è certa per il Lemaire, ma sospetta
per il Thiede, proprio per l'eccessiva regolarità ed equidistanza delle
lettere, che manca nelle epigrafi certamente autentiche degli altri
ossari e, in particolare, di quello ben noto del sommo
sacerdote Caifa.
Autentica o no, l'iscrizione riguarda, per ambedue gli studiosi, l'apostolo Giacomo, detto anche dai
Vangeli "fratello" di Gesù ed ucciso, secondo Flavio Giuseppe, nel
62.
Per quel che riguarda
la parentela con Gesù di questo Giacomo,
il Lemaire, che pure ammette che i
nomi di Giuseppe, Giacomo, Gesù erano molto
diffusi nel 1° secolo d.C. in Giudea,
"fa presenti tre possibilità: quella accolta dalle
confessioni protestanti, secondo cui i fratelli e le sorelle di Gesù ricordati
dal Vangeli (Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda, oltre a Salomé e a Maria)
sarebbero figli di Maria e di Giuseppe e quindi veri fratelli naturali di Gesù;
quella accolta dalla Chiesa ortodossa, e nota all'apocrifo Protovangelo di
Giacomo, secondo cui Giacomo e gli altri sarebbero figli di un precedente
matrimonio di Giuseppe e quindi fratellastri di Gesù; quella ammessa dalla
Chiesa cattolica, secondo
cui Giacomo e gli altri
sarebbero stati cugini
di Gesù (l'uso
di fratello per cugino è ben attestato nel greco
biblico e nei papiri), in quanto figli di un'altra Maria e di Clopa, fratello di Giuseppe.
Se l'ossario di Giacomo riguardasse il Giacomo di cui parla il
Vangelo, e che morì nel 62, le due
prime possibilità sarebbero le due uniche esistenti e Giacomo sarebbe stato
veramente fratello o fratellastro di Gesù, nato da un precedente matrimonio di
Giuseppe.
Non sono esperta di epigrafia
e non posso entrare nella questione dell'autenticità dell'epigrafe: mi sembra però certo che essa non riguardi il Giacomo "fratello di Gesù" di cui Giuseppe
Flavio (A. J. XX,1,9-199) ed Egesippo (apud Eusebio,
H.E. II,23) riferiscono la morte nel 62.
Questo Giacomo, infatti, che anche Paolo (Gal 1,19)
chiama "fratello del Signore", era uno dei dodici Apostoli
(Paolo dice che "degli Apostoli egli aveva visto
nella sua visita
a Gerusalemme, solo Cefa e
Giacomo") e, nell'elenco dei dodici Apostoli (in Mt 10, 2sgg., Mc
3,16sgg, Lc 6,14sgg), ci sono due soli Giacomo, il figlio di Zebedeo, fratello
di Giovanni, e il figlio di Alfeo: poiché Giacomo,
fratello di Giovanni, fu ucciso da Erode Agrippa all'inizio del regno di
Claudio (At 12,2), Giacomo
"fratello" di Gesù ucciso nel 62 deve essere certamente il figlio di
Alfeo. Egli era anche figlio di quella Maria, che i Sinottici ricordano presente sotto la
croce, con Maria di Magdala e la madre dei figli di Zebedeo,
indicandola appunto come "Maria madre
di Giacomo e di
Giuseppe" (Mt 27,56; Me 15,40, che presenta Giacomo
come Giacomo minore,
per distinguerlo dal figlio di Zebedeo, e 16,1; Lc 24,10)
e che Giovanni indica invece come Maria di Cleofa (19,25).
La possibilità che Cleofa
(o Clopa) e Alfeo siano la stessa persona esiste:
Alfeo, in greco con
lo spirito aspro, potrebbe essere infatti la forma grecizzata di un nome
aramaico con una forte aspirazione iniziale e le stesse consonanti.
Io credo pertanto che, se
l'iscrizione dell'ossario è autentica, essa non possa riferirsi a Giacomo
figlio di Alfeo (o di Cleofa), ma ad un altro personaggio: la traduzione
italiana, che rende perfettamente l'ambiguità presente, come mi è stato
assicurato da esperti, anche nell'aramaico (in latino e in greco
questa ambiguità non esisterebbe grazie
alla diversa declinazione del nominativo e del genitivo), permette di individuare
come "fratello" di Gesù sia Giacomo (in questo caso il greco direbbe
adelphòs e il latino frater), sia Giuseppe (in questo caso il greco direbbe
adelphou, il latino fratris) e noi
sappiamo che Giuseppe era, insieme a Giacomo, Simone e Giuda, uno dei
"fratelli" di Gesù (Mt 13,
55; Me 6,3).
Il Giacomo dell'iscrizione non è dunque "il fratello" di Gesù, ma il figlio
di un'altro dei "fratelli" di Gesù, Giuseppe, figlio a sua volta di
quella Maria moglie di Cleofa che i
Sinottici indicano appunto come madre di
Giacomo e di Giuseppe.
L'importanza dell'iscrizione, se è autentica, è nella cura che i parenti di Gesù ponevano
nel ricordare il loro rapporto
con Lui anche nella seconda generazione. In effetti noi sappiamo da Egesippo
che i discendenti di Cleofa
ebbero grande peso, fino agli inizi del II secolo,
nella Chiesa di Gerusalemme:
non sorprende pertanto che per un nipote di Cleofa si indicasse, nella sua
iscrizione funeraria, che suo padre Giuseppe era parente di Gesù.
Si è detto che questa era la
prima testimonianza "materiale", cioè non letteraria, sull'esistenza
storica di Gesù: essa partecipa, come capita spesso alle testimonianze
"materiali", a carattere epigrafico
o archeologico, come capita in particolare alle testimonianze "materiali" riguardanti le origini cristiane (penso alla Sindone, al titulus Crucis, al
cosiddetto editto di Nazareth) al rischio delle contestazioni sull'autenticità
o sull'interpretazione: a questo rischio, come si è visto dalle osservazioni del
Thiede, neppure l'epigrafe dell'ossario di Giacomo si sottrae. Le fonti
letterarie, non solo gli scritti del Nuovo Testamento, alla cui storicità io
credo fermamente, ma anche le testimonianze pagane (di Tacito e di Mara Bar
Sarapion) e giudaiche (di Giuseppe Flavio) ci forniscono in definitiva la
certezza più sicura
Bibliografia
·
Lemaire, Burial Box of James
the brother of Jesus, Biblical
Archaeology Review, nov-dic 2002, 26/70
·
C.P. Thiede, L’ ossario
di Giacomo, in Avvenire, 12 dicembre 2002, Agorà
·
M. Sordi, Chi è davvero
il Giacomo di quell’ urna ? In Avvenire, 13 dicembre 2002, Agorà-
·
I. Ramelli, I parenti terreni
di Gesù, in corso di pubblicazione su Vetera Christianorum 2003.
© Il Timone,
n. 27 del 2003, http://www.iltimone.org/
“Un'ultima notizia, apparsa di
recente, afferma che, contrariamente a quanto affermato inizialmente, sembra che alcune lettere
della scritta siano
illeggibili. A questo
punto non ci resta che aspettare l'American Academy of
Religion Meeting, che si terrà nel mese di Novembre a Toronto, perché alcune
voci dicono che in quell' occasione l'urna verrà esposta al pubblico.
Più passano i giorni
più si fanno strada dubbi su questo
ritrovamento. Innanzitutto cominciano a venir fuori alcuni retroscena mai rivelati prima.
Il ritrovamento dell' urna è vecchio di 15 anni e il valore di acquisto ( avvenuto in un mercato!)
si aggirava fra i 200 e i 700 dollari. Briciole, in confronto a quanto
potrebbe valere ora! Questa è la
tesi degli invidiosi. O forse dei meglio informati, chissà!
Viene contestata anche la tesi del
prof. Lamairie che sosteneva che il nome del fratello nell'iscrizione: "Giacomo, figlio di Giuseppe, fratello di Gesù" era abbastanza rara e quindi
indicava un'importanza notevole del Gesù citato. In realtà il prof. Kyle
Mc Carter della Johns Hopkins Univerity sostiene che il nome potrebbe essere
stato aggiunto in quanto il Gesù citato era il proprietario della tomba o forse
era anche colui che aveva gestito la cerimonia di inumazione.
A noi non resta che aspettare per le prossime
novità.... http://www.jewsweek.com/myturn/320.htm
Continuiamo citando
un intervento questa
volta fatto da un fratello
pentecostale nel sito interneet
MSN Difendere la vera fede.
Nel messaggio n. 8 del forum "Giacomo, fratello di Gesù" Serafino scriveva: "Cara Caterina, non sono stato
io a scrivere in aramaico sulla cassetta ossario: ”YA’AKOV BAR YOSEF AKHUI YESHUA” Cioè: Giacomo fratello di Gesù"
Prendo spunto
proprio da questa
affermazione per presentare un successivo articolo
che mette seri dubbi sull'iscrizione. Verrebbe da dire:
OK, Serafino, crediamo che non hai
scritto tu quella frase. Ma chi l'ha
scritta?" Sì, perché dal testo che vi allego sembra che la scritta sia
stata falsificata!
Lo afferma Rochelle I. Altman,
esperto di storia della scrittura, che esaminando la scritta ha notato che la
scrittura sull'ossario sembra fatta da
due mani diverse. Diverse sia come abilità che come grafia. Diversi
sembrano anche essere gli attrezzi usati per scolpire e incidere le lettere.
Per farla breve sembra che la prima parte (Giacomo figlio di Giuseppe) sia
stata scritta da un intagliatore professionista mentre la seconda
(fratello di Gesù) sembra scritta
da un'altra persona
che, oltretutto, non era
neppure padrona dell'aramaico.
Non ho avuto il tempo di tradurre
il testo (magari
se Serafino vuol farlo sicuramente farà un lavoro migliore di quanto potrei fare io)
ma il senso dell'articolo è già compreso nel titolo: L'ossario è autentico, l'iscrizione è stata falsificata.
Le ultime notizie sul ritrovamento dell' urna erano queste:
l'urna è stata esposta
al Royal Ontario
Museum nel Canada
fra la fine di Novembre
e i primi di Dicembre del
2002 ma dovrebbe essere portata in Israele nel mese di Febbraio per un esame accurato.
Il prof. Lemaire continua a
difendere l'autenticità del reperto e dell' iscrizione ma aumenta il numero
degli studiosi che sostengono che nella scritta è molto evidente sia
l'intervento di una seconda mano che di un secondo attrezzo
usato per incidere
le ultime lettere.
Fra questi ci sono il professor Kyle Mc Carter dell' Università
dell' Università Johns Hopkins e il professore di Storia della Chiesa della BYU ( Brigham
Young University?) Jeff Chadwick.
Quest'ultimo ha affermato che a Toronto
non era il solo a pensare ad un falso ma che almeno la metà degli esperti presenti sosteneva
che la scritta potesse essere stata alterata.
La cosa più incredibile è che durante
il trasporto da Gerusalemme a Toronto, una vecchissima crepa ha cominciato ad espandersi e ha
causato altre crepe da un'altra parte dell'ossario. Indovinate dove? Proprio
dove c'è la scritta "fratello di Gesù". Questa parte della scritta è
attualmente nascosta sotto una specie di colla di colore beige (come l' urna)
messa dal museo per bloccare la crepa stessa.
Tuttavia Chadwick
è stato in grado di esaminare la scritta prima che fosse coperta e sta scrivendo un dossier nel quale elenca almeno
20 motivi che dimostrerebbero che la scritta
è stata fatta negli ultimi 5
anni (vale a dire dal 1995 ad oggi).
Per il momento l'unica cosa
certa è che quest'urna, acquistata per 200 dollari e valutata circa 500 dollari prima dell'annuncio del prof. Lemaire,
adesso ha un valore approssimativo di circa 5 milioni
di dollari.
Solo per l'esposizione il museo canadese
ha pagato 25.000
dollari al proprietario dell' urna, un collezionista di Tel Aviv.
La notizia è stata pubblicata dall' ANSA
E' falso l'ossario attribuito al fratello di Gesù', Giacomo
(ANSA) - TEL AVIV, 15 GIU - E' falso l'ossario reperito
un anno fa e attribuito a ''Giacomo, figlio di Giuseppe, fratello di Gesù'''.
Lo ha stabilito una commissione di studiosi nominata dal Dipartimento israeliano per le antichità. La stessa
commissione ha giudicato falsa anche una
lapide attribuita a ''Yehoash (Josia), re di Giudea'', anch'essa tornata alla
luce di recente.
2003-06-15 - 22:09:00
La notizia proviene
dal sito della
CNN in data 18 giugno
con questo titolo: 'Jesus box' exposed as fake
Wednesday, June 18,
2003 Posted: 9:28 AM EDT (1328 GMT)
A panel of experts agreed the
inscription had been added to the box at a much
later date.
Anche il famoso biblista
padre Gianfranco Ravasi
si è occupato della faccenda,
leggiamo cosa scrive.
Gesù
e i suoi "fratelli"
di Gianfranco
Ravasi
(da Avvenire,
Agorà, 24 novembre
2002)
Tutti i giornali
hanno dato notizia di un articolo apparso sul numero di ottobre-novembre “2002 della Biblical Archaeology
Review in cui un noto studioso francese, André Lemaire, informava sulla
scoperta dell'iscrizione aramaica: “Giacomo, figlio di Giuseppe, fratello di
Gesù”, incisa sul lato di un'urna funeraria databile al I sec. d.C. e appartenente
a una collezione privata. In attesa di una documentazione più ampia e specifica
(la rivista in questione, anche se settoriale, è divulgativa), l'attenzione s'è
spostata sull'antica questione dei “fratelli” di Gesù. Ricostruiamo gli
antefatti storici della questione, partendo
da un paio di passi
marciani. Gesù passa
dal suo villaggio, Nazaret. E' sabato e va da
buon ebreo in sinagoga ove tiene un discorso che impressiona tutti.
Scattano subito le reazioni tipiche di un piccolo
paese e lo stupore si trasforma in ironia e sospetto: “Da dove gli vengono queste doti? E che sapienza è quella che gli è
stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname,
il figlio di Maria, il fratello di Giacomo,
di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle non stanno qui con noi?” (Mc
6, 2-3).
Attenzione alle parole usate dagli evangelisti, gli ebrei
meravigliati delle doti di Gesù potevano benissimo esclamare “Non è costui uno dei figli
di Maria…”, invece
dicono “Il figlio
di Maria”, c’è una bella differenza a volerci
riflettere bene.
Allo stesso modo, né Maria, né
Giuseppe vengono mai esplicitamente chiamati madre o padre di Giacomo,
Joses, Giuda e Simone o di qualcuna
delle innominate sorelle,
mentre Maria viene spesso indicata come madre di Gesù:
Tutti questi erano assidui
e concordi nella preghiera, insieme
con alcune donne e con Maria, la madre di Gesù e con i fratelli di lui . (At 1, 14)
Sarebbe poi strano che ad uno dei figli della coppia
fosse stato dato lo stesso nome del padre, Giuseppe.
Fin dalle origini cristiane ci si
è interrogati proprio sull'identità di questi “fratelli e sorelle” rispetto ai
quali Gesù sembra prendere le distanze anche in un'altra occasione. Un giorno,
infatti, gli comunicano: “Ecco, tua madre, i tuoi fratelli
e le tue sorelle stanno
fuori e ti cercano!” E Gesù: “Chi è mia madre e chi sono i miei
fratelli?” Poi, dopo aver girato lo sguardo sugli uditori, continua:
“Ecco mia madre e i miei fratelli! Chi fa la volontà di Dio, costui è per me fratello,
sorella e madre” (Mc 3, 31-35). Anche lo storico
giudaico Giuseppe Flavio (I sec.) nella sua opera Antichità giudaiche (XX, 200)
parla di Giacomo, responsabile della Chiesa di Gerusalemme, come di un
“fratello di Gesù detto il Cristo”.
Una prima e antica
identificazione di questi “fratelli” appare in uno scritto apocrifo (cioè non
accolto nel Canone delle Sacre Scritture) composto nel II secolo, il cosiddetto
Protovangelo di Giacomo. In esso Giuseppe, al momento del matrimonio con Maria,
confessa: “Ho figli e sono vecchio, mentre lei è una ragazza!” (9,2). I
“fratelli” di Gesù sarebbero per quest'opera “fratellastri”, nati da un
precedente matrimonio di Giuseppe (questa tesi è accettata dalle chiese
d’oriente, ma non dalla Chiesa cattolica. Sempre nel II secolo un autore
cristiano di origine palestinese, un certo Egesippo, nelle sue Memorie parla di
“parenti” di Gesù che furono processati dai
Romani sotto l'imperatore Domiziano, quindi sul finire del I secolo.
Questa tesi fu accolta anche dal famoso traduttore latino della
Bibbia, san Girolamo, che nei “fratelli” e nelle “sorelle” di Gesù vide in
pratica i cugini, cioè gli appartenenti al clan familiare di Maria. Egli
sostenne questa tesi nell'opera De perpetua virginitate polemizzando aspramente
contro un tale Elvidio, suo contemporaneo (IV secolo), che affermava trattarsi
invece di figli avuti da Maria e Giuseppe successivamente rispetto a Gesù, tesi
sostenuta anche da alcuni esegeti moderni. Uno degli argomenti addotti era la
frase del Vangelo di Luca in cui si dice che Maria “diede alla luce il suo
primogenito”, Gesù (2, 7). E', però, da notare che il termine “primogenito” ha di per sé valore giuridico
e sottolinea i diritti biblici connessi alla primogenitura.
Curiosamente in un documento
aramaico del I secolo si parla di una madre (di nome Maria essa
pure) che morì dando alla luce “il suo figlio primogenito”.
Abbiamo visto che l'esegesi storico-critica moderna ha
fatto notare poi che nell'aramaico o nell'ebraico il termine “fratello” ('aha'
e 'ah' ) indica sia il fratello, sia il
cugino, sia il nipote, sia l'alleato: nella Genesi Abramo chiama il nipote
Lot “fratello” (13, 8), come fa Labano col nipote Giacobbe (29, 15). Inoltre
l'espressione “fratelli del Signore” nel Nuovo Testamento (Atti 1, 14; 1Corinzi
9, 5) designa un gruppo ben definito,
quello dei cristiani di origine giudaica legati al clan nazaretano di Cristo.
Essi costituirono una specie di comunità a sé stante, dotata di una sua
autorevolezza al punto tale da poter proporre un proprio candidato come primo
“vescovo” di Gerusalemme, Giacomo (Atti 15, 13; 21, 18). Nel brano sopra citato
(Marco 3, 31-35) Gesù sembra ridimensionare
i loro privilegi e ridurli
all'orizzonte più generale
e più significativo della fedeltà
alla volontà del Signore. Per altro essi non sono mai chiamati, come
Gesù “figli di Maria”.
A questo punto, però, entra in scena la nostra iscrizione ove si avrebbe
“figlio di Giuseppe”
e quindi si inviterebbe a
considerare Giacomo come fratello carnale di Gesù, magari come figlio avuto da
Maria dopo aver generato Gesù. Prescindendo dal discorso teologico sulla
verginità di Maria attestata dalla fede cristiana antica, e rimanendo nell'ambito
puramente storico-critico, bisogna essere in realtà molto cauti. Lo stesso
Lemaire riconosce che “tenendo conto del numero di abitanti di Gerusalemme (ca. 80.000) e dell'onomastica dell'epoca, vi potevano essere
almeno una ventina
di Giacomo che avevano un padre chiamato Giuseppe e un fratello
denominato Gesù”, trattandosi di nomi comunissimi. Supponendo pure che
l'espressione “fratello di Gesù” – piuttosto inattesa in un'epigrafe funeraria
– sia stata introdotta proprio per rimandare a Cristo, figura nota, non si
potrebbe però storicamente escludere né la tesi della paternità solo legale di
Giuseppe nei confronti di Gesù, paternità attestata dal Vangelo di Matteo, né
la tesi di una precedente prole di Giuseppe, attestata dall'antica tradizione
apocrifa.”
Esaminiamo ora l’episodio già citato di Mc:
Entrò in una casa e si radunò di nuovo attorno
a lui molta folla, al punto
che non potevano
neppure prendere cibo. Allora i suoi, sentito questo, uscirono per
andare a prenderlo; poiché dicevano: E’ fuori di sé . (Mc 3, 20-21)
Il termine i suoi si riferisce ai suoi fratelli, come chiariscono i versetti successivi:
Giunsero sua
madre e i suoi fratelli e, stando
fuori, lo mandarono a chiamare. (Mc 3, 31) Supponiamo per assurdo che Gesù avesse
dei fratelli carnali.
Da Lc (e, indirettamente, Mt) noi
sappiamo che essi avrebbero dovuto essere fratelli minori, in quanto Gesù era
il primogenito: Diede alla luce il suo
figlio primogenito (…). (Lc 2, 7)
Per quanto già enunciato in
merito ai diritti del primogenito, in una società patriarcale, profondamente gerarchizzata anche a livello
familiare, come quella
ebraica, era impensabile che i fratelli minori si potessero permettere di criticare,
redarguire, insultare ( E fuori di sé ) e
mettere le mani addosso al fratello maggiore (uscirono per andare a prenderlo).
Tali diritti spettavano al solo padre,
mentre i fratelli
minori dovevano essere sottomessi al primogenito.
Il fatto che i fratelli di Gesù
non sembrino affatto mostrare a lui il rispetto dovuto (anche quel lo
mandarono a chiamare suona tanto come una convocazione, un ordine di comparizione emesso
da chi ha maggior autorità) può significare solo che essi erano più
anziani di lui e, quindi, che non potevano essere suoi fratelli carnali.
Notizie archeologiche
E' finita nella maniera
più triste la farsa dell' urna di Giacomo che doveva dimostrare che Gesù aveva avuto
dei fratelli carnali.
Il proprietario dell 'urna è stato arrestato e l'urna, che dopo il riconoscimento di falso aveva perso
tutto il suo valore, è stata recuperata da dove era stata conservata: il
gabinetto di casa Golan!
Questo è il testo originale in lingua inglese
dell' articolo apparso
il 24 luglio su una rivista
archeologica:
ARCHAEOLOGY MAGAZINE ONLINE NEWS July 24, 2003
OSSUARY DETHRONED
”The James Ossuary, from left, making its world debut on the
cover of the November/December 2002 Biblical
Archaeology Review; before an audience of nearly 100,000 at the Royal Ontario
Museum last fall (Corbis); and in a
filthy Tel Aviv toilet,
July 2003 (Israel
Antiquities Authority). [Emphasis added. For photos see site.]
he once-celebrated James Ossuary, heralded
by the international press last fall as the first physical evidence
for the existence of Jesus Christ, was found Monday, July 21, in a filthy
rooftop bathroom during a police raid on ossuary owner Oded Golan's Tel Aviv
apartment building.
The ossuary was
returned to Golan after the Israel Antiquities Authority (IAA) tested it in March 2003 and determined its inscription, "James, son of Joseph, brother of Jesus," to be a forgery.
The IAA today
released a photograph of the lidless ossuary, insured by Golan for $1 million,
sitting on a plank atop a toilet seat. The damage incurred by the "artifact" during
its shipment to the Royal Ontario Museum in November 2002 is clearly visible.
The ossuary has been confiscated by the police, along with other materials collected from an
alleged rooftop forgery lab owned by Golan. The 51-year-old engineer is being
held on a four-day detention order at
a Jerusalem police lockup and is
not available for comment.
In a press release
posted after Golan's arrest, the Royal Ontario Museum [ROM] stated: "Until the ROM receives convincing evidence to
the contrary, we stand by our opinion
that the James Ossuary is not a forgery."--KRISTIN
M. ROMEY
For the events
and issues behind the arrest
of Oded Golan,
see "Faking Biblical
History," by Neil Asher Silberman and Yuval Goren in our forthcoming
September/October issue.--The Editors”
© 2003 by the Archaeological Institute of America http://www.archaeology.org/online/news/ossuary3.html
COME GIACOMO,
DETTO FRATELLO DEL SIGNORE, SUBÌ IL MARTIRIO.
“Dopo che Paolo aveva fatto appello
a Cesare ed era stato
mandato da Festo
a Roma, i Giudei, vista cadere ogni speranza nella congiura
ordita contro di lui, si volsero contro Giacomo, fratello del Signore, che
sedeva, per designazione degli apostoli, sul trono episcopale di Gerusalemme, e
osarono compiere queste azioni contro di lui
Condottolo in mezzo a loro, gli domandarono di rinnegare davanti a tutto
il popolo la fede in Cristo, ma egli, contro le aspettative di tutti, parlò di
fronte a tutto il popolo con voce più libera di quanto essi si attendessero,
proclamando che il Salvatore e Signore nostro Gesù e figlio di Dio. La folla,
non tollerando la testimonianza di fede di quell'uomo, che riteneva tuttavia il più giusto di tutti per la
sua non comune saggezza e pietà,
di cui dava prova nella vita, lo uccise avvalendosi della momentanea anarchia,
dovuta alla morte di Festo governatore della Giudea, avvenuta proprio in quei
giorni, che lasciò quella provincia senza governo e senza governatore.
Le parole già citate
di Clemente narrano
come si svolse
il martirio di Giacomo che, dice,
fu gettato
dal pinnacolo del Tempio e bastonato a morte. Racconta questi avvenimenti
con la massima precisione Egesippo, uno storico vissuto
al tempo della
prima successione degli
apostoli, nel quinto libro delle sue Memorie, dicendo: "Riceve la direzione
della Chiesa insieme
agli apostoli Giacomo, fratello del Signore, detto da
tutti il "Giusto" dai tempi del Signore fino ai nostri, per
distinguerlo dai molti altri che portavano lo stesso nome Egli era santo già
nel ventre materno, non beveva né vino, non mangiava carne di animali, non
passava mai il rasoio sulla testa, non si spalmava mai di olio, non prendeva
mai i bagni. A lui solo era possibile accedere al santuario, infatti non
indossava abiti di lana, ma di lino. Entrava solo nel Tempio e lo si trovava
genuflesso a supplicare il perdono per il popolo. Poiché adorava Dio e chiedeva
il perdono per il popolo sempre in questa posizione, gli erano venuti i calli
alle ginocchia come i cammelli. Per la sua estrema giustizia fu detto "il
Giusto" e "Oblias", che tradotto in greco significa
"fortezza del popolo e giustizia", come i Profeti affermano di lui.
Alcuni poi delle sette fazioni
presenti fra il popolo, di cui ho già parlato" (nelle Memorie), "gli
chiesero quale fosse la porta di Gesù, egli disse che era il Salvatore. Da ciò
alcuni credettero che Gesù è il Cristo. Ma le fazioni suddette non credevano né
alla resurrezione né che Cristo sarebbe ritornato sulla terra per dare a
ciascuno secondo le sue opere, quanti credettero in ciò lo fecero grazie a
Giacomo. Poiché dunque molti anche dei capi credettero, Giudei, Farisei e
Scribi si ribellarono, dicendo che si correva il rischio che tutto il popolo
ritenesse Gesù il Cristo. Andati allora da Giacomo, gli dissero "Ti
avvisiamo, controlla il popolo che tu hai ingannato su Gesù, facendogli credere
che egli è il Cristo. Ti chiediamo di persuadere riguardo a Gesù tutti coloro
che si sono radunati per celebrare il
giorno di Pasqua, tutti noi infatti abbiamo fiducia in tè, dal momento che,
insieme a tutto il popolo, diciamo che tu sei giusto e imparziale, persuadi
pertanto la folla a non ingannarsi sulla persona di Gesù, poiché tutto il
popolo e noi tutti abbiamo fiducia in tè. Mettiti dunque sul pinnacolo del
Tempio affinché tutto il popolo, riunito in tutte le fratrie e le tribù in
occasione della Pasqua, possa vederti e udire le tue parole" Allora gli
Scribi suddetti e i Farisei spinsero Giacomo sul pinnacolo del Tempio, e
gridando gli dissero: "O Giusto, in cui tutti dobbiamo avere fiducia,
poiché il popolo
ha cominciato a seguire opinioni
errate su Gesù crocifisso,
rivelaci qual è la porta di Gesù".
Ed egli rispose dicendo a gran
voce: "Perché mi fate domande sul Figlio dell'uomo? Egli siede in cielo
alla destra della grande potenza, e sta per ritornare sulle nuvole del
cielo". . Molti credettero profondamente
alla testimonianza di Giacomo, esclamando: "Osanna al figlio di Davide". Allora gli Scribi e i
Farisei dissero fra di loro: "Abbiamo fatto male ad offrire a Gesù una
simile testimonianza. Ma saliamo a buttare di sotto Giacomo, affinché il
popolo, impaurito, non creda più in lui". E gridavano dicendo: "Oh
oh, anche il 'Giusto' è caduto in errore!", dando così compimento a quanto
è scritto in Isaia: Uccidiamo il Giusto, perché è per noi dannoso; allora
mangiano i frutti delle loro opere. Saliti dunque, scaraventarono giù il
Giusto"; poi dissero fra loro: "Lapidiamo Giacomo il Giusto", e cominciarono
a scagliargli sassi, perché quella rovinosa caduta non lo aveva ucciso. Ma
egli, voltatesi, si inginocchiò dicendo: "Ti prego, Signore Dio Padre,
perdona loro perché non sanno quello che fanno". Così, mentre egli veniva
lapidato, uno dei sacerdoti, figlio di Rechab ", figlio di Rechabim, di
cui si ha testimonianza nel profeta Geremia , disse gridando: "Fermi, che
fate? Il 'Giusto' prega per voi". Allora uno di loro, un sobillatore del
popolo, preso il legno col quale batteva gli abiti, colpì alla testa il
"Giusto", che subì così il martirio. Fu poi seppellito in un luogo
vicino al Tempio, dove, ancora oggi, si può vedere la sua lapide. Costui fu
testimone verace ai Giudei e ai Greci che Gesù è il Cristo. Subito dopo
Vespasiano cinse d'assedio la città ".
Nella narrazione di questi
avvenimenti, che riporta in tutto il loro svolgimento, Egesippo concorda
pienamente con Clemente. Così, dunque, Giacomo era uomo meraviglioso e noto a
tutti per la sua giustizia, tanto che i più assennati fra i Giudei ritennero la
sua morte causa dell'assedio di Gerusalemme, che avvenne subito dopo il suo
martirio. Esso, credevano, non aveva altra origine se non quell'empia
uccisione. Giuseppe con sicurezza conferma questo pensiero nella sua opera,
dicendo: "Queste sciagure si riversarono sui Giudei come punizione della
loro efferatezza nei riguardi di Giacomo il "Giusto", fratello di
Gesù detto il Cristo, che essi uccisero, sebbene fosse l'uomo più giusto" . Lo stesso autore, nel ventesimo libro
delle Antichità, racconta la sua morte con
queste parole: "Cesare, appresa la notizia
della morte di Festo, nominò
Albino prefetto della Giudea
Anano il giovane, come ho già detto, deteneva il sommo sacerdozio. Egli, uomo
di carattere impudente e oltremodo audace, era un membro della setta dei
Sadducei, che sono, come si è già affermato, i più perversi fra tutti i Giudei
nei loro giudizi . Anano dunque, che era un uomo di tale indole, avendo pensato
di trarre vantaggio dalla morte di Festo e dal fatto che Albino era ancora in
viaggio, radunò il Sinedrio giudicante davanti al quale trascinò il fratello di
Gesù detto il Cristo, il cui nome era Giacomo, e alcuni altri, che fece
ingiustamente lapidare con la falsa accusa di aver trasgredito la Legge. Ma
quanti in città sembravano più moderati e rispettosi della Legge, mal
tollerando l'accaduto, mandarono di nascosto nunzi al rè a chiedergli di
intimare ad Anano di non commettere più simili azioni; non era la prima volta
infatti che si comportava così stoltamente.
Alcuni di loro andarono incontro
ad Albino, che giungeva da Alessandria, dicendogli che non era lecito ad Anano
radunare il Sinedrio senza il suo consenso. Albino, persuaso dalle loro parole,
scrisse adirato ad Anano, promettendogli che lo avrebbe
punito; per questo
il rè Agrippa lo destituì dal sommo sacerdozio, da lui
detenuto da appena tré mesi, nominando in sua vece Gesù, figlio di Dammaio".
Questo è ciò che accadde a Giacomo, a cui si attribuisce la prima delle lettere dette "Cattoliche".
Abbiamo fin qui esposto tutte ipotesi e tesi riguardanti i presunti fratelli di
Gesù, si parla di fratellastri, di parenti, ma nella Bibbia appare chiaro e
incontestabile che Gesù non ebbe altri fratelli carnali.
Chi poi vuol continuare a negare l’evidenza, lo faccia con sua cosciente responsabilità.
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